Una presenza importante, quella radicale al MAMI (Meeting Arte Musica Intercultura) a Segni il 31 agosto, una manifestazione che si è protratta anche l’1 e 2 settembre e che vede musica, cinema, letteratura, teatro, pittura e fotografia al servizio dei diritti umani e dell’intercultura.
Con il prezioso contributo del sindaco di Segni Stefano Corsi e dell’assessore alla cultura Valente Spigone, grazie ai quali gli artisti e le personalità impegnate hanno avuto accesso ai servizi necessari a un evento così impegnativo, FederArteRom, un innovativo consesso di associazioni che costituisce quasi una start-up artistica e culturale, ha potuto dare vita senza alcun finanziamento a un importante momento di riflessione che spazia dalla politica alla valorizzazione del patrimonio identitario dei Rom, ma non solo, dato che il convegno mira all’interculturalità nella sua fattispecie, oltre ogni confine.
Patrocini come quello del Consiglio d’Europa, di Amnesty International e di Emergency attestano, se mai ce ne fosse bisogno, il raro valore dell’instancabile attività di quel vulcano d’idee che è il Prof. Santino Spinelli, presidente di FederArteRom, musicista, docente universitario, poeta e saggista, un barbiere di Siviglia la cui esplosiva gioia di vita e condivisione è riuscita ancora una volta a catalizzare le energie migliori verso l’imprescindibilità del dialogo sulla multiculturalità e sui diritti fondamentali dell’uomo.
Come ha ben sintetizzato Massimo Antonelli, Presidente dell’Associazione Calamus, il MAMI è “un lungo viaggio alla scoperta della unicità del nostro paese”. Non poteva quindi mancare la presenza di Radio Radicale al convegno nazionale “Un mondo a colori: arte, diritti umani e intercultura, quale prospettiva?” che ha inaugurato la kermesse e ha visto la partecipazione dell’on. Radicale Rita Bernardini, del Presidente della sezione italiana di Amnesty International Fernando Ghironda, dell’artista Miriam Megnaghi e altri fondamentali contributi che hanno avuto il pregio di portare il dibattito lontano dalla retorica senza dare nulla per scontato, ribadendo anzi le radici dei pilastri centrali su cui si fonda la convivenza civile. Perché come ha ricordato Santino Spinelli, “l’essere umano è unico nella sua trans-nazionalità e multiculturalità”.
“Marco Pannella è sempre stato vicino alla comunità Rom, anzi: direi che è un Rom”, ha esordito Rita Bernardini. “Sento il sapore di qualcosa di nuovo”, ha aggiunto, “nel vedere un sindaco che si impegna in questo modo a favore dell’arte, della musica e della cultura. In Italia stiamo vivendo tempi dei quali non so quanto ci sia la consapevolezza dei pericoli. Pericoli di dover tornare a tempi bui, tempi passati, momenti di orrore.
Quando il Parlamento approvò una legge sulla tutela delle minoranze, per quelle che definirei beghe non si è inserita tra le stesse quella Rom e Sinti. Un grande errore, senza il quale si sarebbe potuto risolvere molte sofferenze che abbiamo dovuto riscontrare e vivere in questi anni. Non vogliamo dimenticare i roghi, perché quelli recenti fanno più orrore di quelli passati. Non ci si rende conto della banalità del male, a volte per inconsapevolezza dentro di noi. Ho portato qui un’interrogazione che presentai nel 2009, alla quale il ministro degli interni non ha mai risposto. Ricorderete il rogo di Ponticelli e la vicenda del fantomatico rapimento”.
La storia di Angelica, la ragazza di quindici anni accusata del tentato sequestro di una bambina di sei mesi, una montatura denunciata dal gruppo EveryOne che è stata alla base dell’incendio nel noto quartiere napoletano, sancendo una volta per tutte l’istituzionalizzazione del razzismo nei confronti dei Rom e la supremazia della criminalità organizzata nella lottizzazione degli spazi in Italia.
“Quando gli avvocati decisero di intervenire per chiedere una detenzione che non fosse il carcere, ma una detenzione domiciliare presso una casa famiglia o presso la sua abitazione, voglio leggervi con quali parole il magistrato respinse la richiesta. Rispose in questo modo: ‘Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura Rom ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende concreto il pericolo di recidiva.
Va inoltre sottolineato che allo Stato l’unica misura adeguata alla tutela delle esigenze cautelari evidenziate appare quella applicata della custodia in istituto penale minorile. Sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano infatti misure inadeguate anche in considerazione dei già citati schemi di vita Rom, che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole’. Io credo che ci sia da inorridire se pensiamo che queste parole siano state scritte da un tribunale italiano. Alla mia interrogazione non ha mai risposto il Ministro degli Interni né quello della Giustizia”.
“In Italia ci sono solo 170.000 cittadini di etnia Rom, di cui 100.000 sono italiani: quanto fumo di persecuzione è stato messo soprattutto in occasione di campagne elettorali attorno a questa etnia, a questa cultura? La cultura diversa dovrebbe essere considerata un arricchimento. Viene considerata invece quasi una privazione della cultura principale, mentre è proprio il mescolarsi delle culture che rende un paese competitivo. Io faccio parte della commissione Giustizia, quindi giro molto le carceri, e mi capita spesso d’incontrare persone di etnia Rom e Sinti.
Persone che spesso non hanno l’avvocato per potersi difendere, che spesso non conoscono neanche la loro condizione processuale. Se andiamo in un carcere dove è prevista la presenza di donne con i loro bambini, troveremo mamme Rom. Il Parlamento non è stato nemmeno capace di trovare una legge per 54 mamme detenute con i loro bambini che evitasse lo scandalo di un bambino innocente costretto a vivere dietro le sbarre. Dalle carceri italiane, dalle 19.30 alle 20.00, ieri i detenuti hanno fatto una ‘battitura’ della speranza, da parte di qualcuno relegato in condizioni umilianti che vuole mandare un messaggio alle istituzioni. Questo messaggio arrivato dalle carceri ha un po’ il suono delle musiche che ascolteremo in questi giorni qui, nel comune di Segni”, ha concluso Rita Bernardini.
Un intervento che certo non riassume solamente le posizioni dei Radicali, ma sintetizza piuttosto una situazione pericolosa, cui ha fatto eco Fernando Ghironda, che coordina la campagna di Amnesty International contro la discriminazione in Europa: “La situazione dei Rom è preoccupante. Nonostante sia la minoranza più allargata del continente, è la più esclusa dal punto di vista sociale. Le politiche europee sono spesso fallite perché vengono contrastate a livello locale: l’Italia nel 2008 ha adottato la ‘emergenza nomadi’, e quel decreto ha spianato la strada per un’altra serie di provvedimenti locali che non hanno fatto che escludere le persone Rom.
Essendo discriminati, spesso i Rom non hanno accesso al lavoro. Dal lavoro io posso affittare una casa, mandare i figli a scuola, mangiare qualcosa di degno: non avendo questa possibilità sono di conseguenza escluso dai servizi di base. Abbiamo un’idea del Rom che vive nel campo perché quello è il suo luogo e abbiamo costruito dei meccanismi perché viva confinato, limitandogli gli accessi ai diritti.
Anche qui in Italia, ci sono persone come Santino Spinelli che vivono come tutti noi cittadini di questo paese, incluso me, che vengo dal Mozambico. Queste persone non vengono viste, perché è più facile vedere per così dire il ‘male’, perché abbiamo bisogno del bersaglio facile. Ricordiamo, nella campagna elettorale del 2011, quando è stato eletto il sindaco di Milano, i messaggi dell’allora primo ministro e della Lega (‘Via Zingaropoli’, etc.). Quel tipo di messaggio accresce il pregiudizio”, ha spiegato Ghironda.
“Il decreto ‘emergenza nomadi’ dava poteri speciali a cinque prefetti di altrettante regioni per derogare a leggi ordinarie con norme che secondo loro affrontavano la cosiddetta ‘emergenza’. Questo ha fatto sì che comuni come Roma adottassero un ‘piano nomadi’ che sgomberava le persone da un posto all’altro, che prevedeva la costruzione di cosiddetti ‘villaggi attrezzati’ togliendo quelli che sono definiti ‘campi abusivi’ o ‘tollerati’. Se tu sgomberi una persona da un campo tollerato e la metti in un altro campo a cui dai uno status legale, di fatto rimane sempre un campo: un posto chiuso dove le persone rimangono nelle stesse condizioni.
Il Consiglio di Stato lo ha dichiarato illegittimo, ma lo stesso governo Monti, che aveva dichiarato di non voler proseguire su questo profilo emergenziale, ha fatto ricorso contro la sentenza del Consiglio di Stato. Assistiamo a un’incoerenza tra quello che si dichiara di voler fare e quello che si fa. Questi sgomberi comportano violazioni dei diritti umani, perché anche in uno sgombero forzato ci deve essere un preavviso e un’alternativa di alloggio, che non comporti la divisione delle famiglie.
Da qui nasce l’appello di Amnesty al presidente del Consiglio, perché l’Italia introduca una legislazione che proibisca gli sgomberi che contrastano con le direttive internazionali. Non esistono linee guida nel nostro paese per chi conduce gli sgomberi. C’è infine un aspetto chiave, se si vuole guardare al futuro: è importante investire sulle nuove generazioni, i bambini. Fermare sì gli sgomberi, ma investire affinché i bambini possano andare a scuola, perché i minori che frequentavano un determinato istituto, una volta sgomberati e privi dei soldi necessari, abbandonano l’istruzione e si trovano nella stessa situazione dei loro genitori, senza sbocchi lavorativi perché privi di consapevolezza culturale. Queste generazioni sono il pilastro del futuro: se questi bambini cresceranno con la giusta istruzione, non vorranno più vivere segregati, ma dignitosamente, come tutti gli altri”.
Il dibattito è proseguito in una felice alchimia tra interventi lucidi come quelli già citati e le splendide musiche dei Manouches Bohemiens, che non hanno fatto mancare ai presenti il privilegio di trovarsi in un momento di riflessione politica e sociale pregnante, ma anche a un grande evento artistico, su cui il trio ha avuto il pregio di librare “l’ala del turbine intelligente”.
La cultura Rom, del resto, ha influenzato la grande musica europea, che di rado, come fece Ravel con la celebre “Tzigana”, le ha pagato il doveroso tributo, pur “saccheggiando” l’inesauribile miniera del violino zingaro. Santino Spinelli non si è fatto simbolo, ma incarna naturalmente l’emblema della identità Romani, che si fonda su un linguaggio verbale e musicale il cui passaggio ha arricchito e fatto proprio il patrimonio culturale europeo.
L’esatto opposto di ciò che il pregiudizio della propaganda vorrebbe, e spesso purtroppo riesce, a far credere all’opinione pubblica, descrivendo radici che sarebbero persino legate alla delinquenza assimilata e interiorizzata fino ad essere elemento portante di questo stigmatizzato e perseguitato popolo. Il confronto tra la sentenza di Ponticelli e le multiformi espressioni di FederArteRom viene spontaneo e marca il confine tra il preconcetto e la concettualizzazione di una cultura che è fra le più antiche e influenti della storia umana.
Su questa confusione si fonda il potere di calpestare impunemente i diritti dei Rom. Su questa bugia poggiano gli sgomberi senza preavviso con cui si butta giù la dimora di bambini innocenti e li si priva di un’istruzione adeguata nell’arco di una torrida mattinata. Se si parlasse di “emergenza ebrei” in Germania, o di “emergenza italiani” negli USA, si creerebbe come minimo una tragedia diplomatica: ma la “emergenza Rom” è invece possibile, e il timore che non sia una coincidenza il fatto che questa minoranza non abbia uno Stato potente alle spalle, con un nutrito esercito, appare purtroppo fondato e fa tremare le nostre convinzioni di aver superato il razzismo per crescita come europei e come italiani, facendo invece affiorare il sospetto che malattie dell’anima come l’antisemitismo siano in calo più per via d’Israele che per un aumento della consapevolezza dei diritti universali dell’uomo.
Un dubbio atroce che non vorremmo mai veder confermato, ma che la negazione dello status di minoranza ai Rom nel nostro paese sembra invece avvalorare. Fortunatamente, non è mai venuto meno il sostegno di quell’area politica che, brechtianamente, si ostina a sedersi dalla parte del torto perché tutti gli altri posti sono occupati: da Marco Pannella a Rita Bernardini, passando per Paolo Pietrosanti, nome che ancora suscita ricordi tra i Rom stipati nei campi capitolini, o Marco Perduca, Matteo Mecacci, il cui lavoro dentro e fuori del Parlamento per i diritti umani di Rom e Sinti continua nel silenzio mediatico, i Radicali hanno tuttora il merito di non aver abbandonato una causa particolarmente difficile, ma che è indispensabile combattere affinché non si crei quell’effetto-domino che, come la storia insegna, scatta ogni qual volta si varca la soglia della persecuzione di un’etnia.
Come ha sintetizzato in maniera inquietante, ma lucida, Moni Ovadia, parafrasando le parole di un rabbino: “Questa volta non cominceranno con noi, ma finiranno con noi”; inutile quindi chiudere gli occhi davanti alle violazioni nei confronti dei Rom, perché storicamente i pogrom non sono mai una fine, bensì l’inizio di qualcosa che come Europa vorremmo finalmente lasciarci alle spalle.
Camillo Maffia
(foto di Gianni Carbotti)
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