“Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri”.
Anche Giovanni Falcone sottolineava così l’importanza di perseguire la separazione della carriera di giudice e da quella di Pubblico ministero. Ed è proprio questo l’oggetto del sesto e ultimo quesito referendario sulla giustizia di cui i Radicali e il Comitato promotore si sono fatti portavoce.
La proposta sulla quale saranno i cittadini a esprimersi perché si arrivi al superamento dello status quo attiene l’abrogazione di alcuni punti importanti delle leggi vigenti e che regolamentano “il passaggio – attualmente consentito - dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti”.
La separazione della carriera dei giudici da quella dei Pm vorrebbe dire attuare nel nostro ordinamento “il modello processuale del Giusto Processo” sancito dalla Costituzione all’articolo 111, motivano i promotori del referendum. Il sistema vigente prevede invece una sovrapposizione tra le due figure e ciò è oltretutto “in contrasto con quanto avviene in tutte le democrazie occidentali”.
Perché la giustizia sia davvero perseguita, la figura del giudice deve essere del tutto separata da quella della difesa e dell’accusa. Il Pm deve rappresentare l’interesse generale dello Stato e, perché quest’obiettivo non sia minato, chi sostiene questa battaglia auspica che si affermino due centri di interesse totalmente diversi e che non ci siano rischi di influenze sul giudizio finale espresso.
La minaccia che viene vista nel sistema vigente è quella di uno sbilanciamento delle parti del processo: da una parte l’avvocato dell’imputato e dall’altra la funzione requirente del Pm, collega del Giudice. Il rischio è che quest’ultimo si lasci influenzare da una figura piuttosto che dall’altra dal momento che fa capo allo stesso Consiglio Superiore della Magistratura del Pm e può aver rivestito in passato uguale funzione.
Se non sarà superato questo nodo insito nel processo penale italiano, “non sarà possibile disporre nel nostro paese - secondo quanto affermava sempre Falcone - di un’amministrazione della giustizia realmente efficace e democratica”.
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