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26/12/24 ore

Caso Tortora, Saviano 'sbianchetta' i radicali



di Rita Bernardini

 

Caro Roberto Saviano, con il tuo articolo a pag. 7 dell’Espresso in edicola hai fatto veramente un capolavoro. Nel voler riprendere il filo dell’esemplare lotta “gandhiana” di Enzo Tortora, privi Enzo della sua storia radicale, ometti la sua identità che lo portò ad affermare «ero liberale perché ho studiato, sono radicale perché ho capito». La tua è un’operazione di cancellazione che fa orrore.

 

Scrivi del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, omettendo di dire da chi fu promosso. Scrivi della battaglia “politica” di Enzo Tortora, omettendo di dire che fu Presidente del Partito Radicale. Parli della sua rinuncia all’immunità parlamentare, omettendo di dire che fu candidato alle europee nelle liste del Partito Radicale.

 

Scrivi del suo “difendersi nel processo e non dal processo”, omettendo di dire che solo una forza di militanti che credevano in lui e nella sua “estraneità” ai reati imputatigli da parte di chi lo accusava di essere “un cinico mercante di morte”, poteva, per esempio, recapitare in mezza Italia a tutti i 640 coimputati, le impugnazioni degli scandalosi atti processuali.

 

Ma più che con le mie parole, preferisco risponderti con quelle di Enzo Tortora. Pensa, sono di 29 anni fa e, per questa nostra povera Italia, attualissime.

 

“È ripugnante veder la parola "politica" (e "politica" in senso furbastro, da maneggioni o portaborse del potere) inserirsi adesso nel giudizio su quella mia scelta che qualcuno continua a considerare "scandalosa". Sono, lo premetto, solo punture di pidocchi, dopo le coltellate, vere, profonde, che la cosiddetta Giustizia mi ha sferrato. Ma qui i pidocchi contano.

 

Vorrei dire che, sinora, solo i pidocchi hanno contato. Sbarrai gli occhi, non so se più nauseato o indignato, quando lessi che un autorevole capotribù democristiano scriveva: "Mi auguro che Tortora riesca a dimostrare la propria innocenza", rivelando che la più mostruosa inversione del concetto di onere della prova era ormai avvenuta, nella coscienza di troppa gente.

 

Perché qui, ormai, è addirittura l'innocenza che, con fatica, strazio e anni di tormento, deve giungere a dimostrare di essere tale; non sono gli altri che, e con le prove e non con calunnie, devono in tempi rapidi provare la colpevolezza di un cittadino. Qualcosa di ignobile è avvenuto nella nostra legislazione. Sta avvenendo sotto gli occhi di tutti: e alla barbarie non si può più dare decentemente il nome di Diritto. Rifarei la scelta radicale tra un minuto.

 

La rifarei ogni minuto. Sono profondamente convinto che oggi, in Italia, solo questa sparuta pattuglia di profeti disarmati vede chiaro, vede lontano e osa chiamare le cose con il loro nome. Il “caso Tortora” dev’essere, soprattutto, simbolo e bandiera di un riscatto che non può più tardare. Ricevo, in queste ore frenetiche, che hanno trasformato in vita di uomo quella che era, sino al quattro maggio, solo la vita di un insetto, costretto a nutrirsi di consolatori elzeviri fati di carta e di parole, fiumi di lettere. Dal carcere e non dal carcere.

 

Ricevo ogni giorno testimonianze agghiaccianti sui soprusi, le infamie, le illegalità che quotidianamente vengono compiute. L’Italia è tutto un immenso “Muro Lucano”, che io eleggerei davvero a capitale di questa Repubblica fondata non più sul lavoro, ma sul sopruso, cementato nel silenzio.

 

Ho compreso, in questi giorni, come persino la verità, quando si tinge di parola “radicale”, diventi sospetta, non più vera, o meno di prima, e oggetto di attacchi velenosi, irresponsabili, abbietti. Spettacolo su spettacolo, film dopo film, io sto attraversando l’intera programmazione di un’Italia incredibile e invivibile, che mai come in questo momento, proprio perché l’ho vista, e la vedo vivere, sento il bisogno, sento l’urgenza di contribuire a cambiare.

 

Cambiare nel profondo, cambiare nelle sue strutture marcite e putrescenti: cambiarla non “contro”, ma per amore della democrazia. Una democrazia senza più bugie, senza più ipocrisie, senza più parassiti: una democrazia insomma fondata sulla vita e sulla speranza. Vederli oggi contorcersi, i cosiddetti partiti, nel fare a gara per attribuirsi meriti che non hanno, e primogeniture che non posseggono, è spettacolo melanconico.

 

Occorreva un uomo chiamato Tortora, esibito in catene come un trofeo di caccia, in un osceno carosello televisivo, per destare il Ministro Martinazzoli da un sonno lungo quanto quello di Aligi? E questo ministro democristiano che protesta con lettere e parole che dovrebbe rivolgere a se stesso, contro il “sussulto inquisitorio” che percorre l’Italia? Decrittato a dovere, l’etrusco, il mesopotamico, che è il vero linguaggio democristiano, dice quel che la gente dice in tram; oggi c’è la manetta facile in un paese dove tutto è diventato facile, tranne l’onestà, tranne il carattere.” […]

 

(fonte radicali.it)

 

 


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