di Gianni Carbotti e Camillo Maffia
La scorpacciata di notizie, ghiotte intercettazioni, umilianti pettegolezzi e squallidi dejà-vu si è appena conclusa. Sazi e soddisfatti, i giornalisti se ne tornano ciascuno alla propria dimora: sono state emesse le condanne di primo grado, la festa è finita e ci si rivedrà tutti alla prossima occasione, quando ci sarà l'appello – ma sarà una festicciola minore, una ripetizione che in fondo non è tale dell'evento trascorso. La sala stampa, che fino a poco fa echeggiava di ebbre risate e ruttini soddisfatti, è ora immersa in un lugubre silenzio.
Lontano, sepolto nella foresta della riserva naturale che si stende a perdita d'occhio sulla via Pontina, Castel Romano non è più lo scenario dello show intitolato “Mafia Capitale”: il grande successo di pubblico ha compensato la critica divisa, lo spettacolo è concluso e le luci sono spente. Letteralmente: nel campo nomadi che un tempo era gestito da Salvatore Buzzi ci sono problemi con la corrente, non c'è acqua potabile né un presidio sanitario.
Oltre mille persone trascinano le loro esistenze circondate da ratti, parassiti, cinghiali e serpenti lunghi fino a due metri: al mattino si alzano, tentano di lavare i loro figli con le taniche, poi rinunciano a condurli presso la scuola che frequentavano fino all'anno scorso, per timore che con le loro malattie contagino altri bambini.
È il destino delle comparse. Una donna mostra i morsi della scabbia; suo figlio indica un topo che corre veloce da un container all'altro, attraversando la distopia post-atomica ironicamente denominata “villaggio della solidarietà”: due anziani insistono nel voler mostrare i referti che attestano il numero di morti per tumore che attribuiscono senza ombra di dubbio alle esalazioni venefiche del sottosuolo. Una cisterna è esplosa in seguito alla spinta dei liquami tossici delle fognature che, com'era prevedibile, hanno ceduto al sovraffollamento e alla mancata manutenzione. I rifiuti si stendono come una ragnatela ad avvolgere in un unico manto d'immondizia quel che resta del campo di Castel Romano dopo la gestione Buzzi.
È il destino delle comparse. Attualmente, quelle 1076 persone non sono più funzionali a nessuno: non si può più lucrare sulla loro pelle, non fruttano voti né favori, insomma sono escluse dal concetto di accoglienza caro alla sinistra e ai suoi sodali, ma anche al centrodestra che ha saputo sfruttarli come e meglio degli altri.
La stampa? Se ne frega, è naturale: dopo aver mostrato qualche immagine senza troppa compassione dei bambini che non possono accedere all'acqua, è tornata ad occuparsi di altro. La giunta Raggi, dal canto suo, rivela proprio a Castel Romano il suo vero volto.
Se in quel luogo sinistro, spettrale, abbandonato da tutto e da tutti, che scavalca il concetto di desolazione per collocarsi in un abisso dove l'indifferenza stessa annega nel silenzio che fende la boscaglia invasa dai liquami e dai rifiuti tossici; se in quel posto, com'è accaduto, vi fossero fondati sospetti che si consumassero reati di corruzione, malversazioni, addirittura “mafia” (qualunque significato abbia assunto ormai questa parola nell'epoca post-savianica): allora lo show potrebbe continuare.
L'indignazione regnerebbe sovrana, e quei rom, nonostante la loro etnia, sarebbero vittime, innocenti sfruttati, anime morte. Ma i crimini ben più gravi e dagli esiti devastanti che a tutt'oggi, in queste ore, continuano ad essere perpetrati nell'assoluta impunità nel campo nomadi di Castel Romano hanno a che fare con il lento e accertato eccidio di un gruppo rinchiuso per motivi razziali in un luogo che avrebbe dovuto già essere evacuato, con la mancanza di acqua potabile e corrente elettrica per riscaldarsi, con la presenza di fauna nociva, la distruzione ambientale, la diffusione di malattie fra i bambini che, come attestano i dati sulla mortalità infantile e l'età media della minoranza, hanno molte meno speranze dei loro coetanei di diventare adulti.
E poiché sono questi i reati, non c'è giudizio né punizione. La sete lussuriosa di una nuova Tangentopoli non può essere placata dalla lenta strage che sta colpendo quello che è ormai in modo inequivocabile la versione cyberpunk di un campo di concentramento nazifascista; i giornali si sono già occupati di Castel Romano ad nauseam, hanno pubblicato tutti gli SMS ricevuti da Salvatore Buzzi e, affinché la figura costruita con cura (benché senz'arte) dell'antieroe delle cronache si stagliasse in tutta la sua malvagità sulle prime pagine dei quotidiani, non hanno mancato di dipingere con altrettanto manierismo il fondale e le comparse. Ma, per l'appunto, era solo un fondale. E il destino delle comparse, nelle loro stesse parole, è ora uno solo. Morire.
- Castel Romano campo rom: il destino delle comparse - Oltre la desolazione (Agenzia Radicale Video)