C’è stato tanto clamore per il Nobel per la letteratura conferito al cantautore americano di musica country e di protesta Bob Dylan, con una fioritura di commenti, tra cui il migliore è il sarcastico “ …. mi leggo il suo ultimo disco!”.
Sì, perché Bob Dylan non ha al suo attivo pubblicazioni di testi scritti e in questo senso può effettivamente apparire strano che sia stato premiato, è fuori dalle “regole”; per questo capisco che il premio abbia lasciato tutti stupiti.
Quello che invece non ho capito è il dibattito che ne è scaturito, comprese le autorevoli prese di posizioni che ci sono state. Repubblica ha fatto un bell’articolo, dove riprendeva alcune rime delle sue canzoni, che per me è stato molto toccante, perché mi ricordavano quando le manifestazioni contro la guerra in Vietnam erano veri e propri scontri sociali; oltre agli slogan ci stavano le canzoni di protesta e quelle di Bob Dylan erano le più cantate. Si dovrebbe riparlare di altri artisti che come lui hanno contribuito alla rivendicazione dei diritti e contro le disuguaglianze con le canzoni di lotta.
Ricordiamo per esempio Joan Baez che a Roma cantava dopo i cortei dei Radicali …. Il camioncino palchetto dei Ribelli con tanto di strumenti musicali e amplificazione, su cui Demetrio Stratos cantava avvolto dalle nuvole dei lacrimogeni, perché nel frattempo erano in corso gli scontri con la polizia. In Italia c’era Dario Fo che, a coronare le manifestazioni nazionali, concludeva con un suo spettacolo teatrale in piazza, come pure c’era il Living Theatre, ecc. La morte di John Lennon fu dovuta in parte alla sua spericolata esposizione pubblica perché voleva continuare a portare lo spirito di protesta delle sue canzoni esibendosi a Times Square accompagnato solo dalla moglie con concerti improvvisati, ecc.
Dico questo perché erano personaggi quasi eroici propri di un periodo in cui la militanza era di importante rilevanza, anzi più che artisti erano riferimenti sociali per il loro atteggiamento rivoluzionario, e per questo le parole di Bob Dylan avevano tanto peso, tanta importanza.
Ma ditemi: chi di quei tromboni che alla notizia del premio Nobel a Bob Dylan hanno tuonato dal loro piedistallo di grandi poeti fatto di centinaia di pubblicazioni, premi vinti e stravinti e migliaia di recensioni osannanti, ha mai scritto una parola o un verso che noi ricordiamo? Quale folla o sparuto assembramento ne ha tuonato la rima?
Questa cultura in realtà produce riti solipsistici, che per autocompiacimento fanno sì che alcuni eletti siano considerati artisti, e serve solo ad un mercato perverso che crea ricchezza per pochi furbi.
Gian Antonio Stella nella “Casta” non ha messo i poeti, quelli che hanno i contratti con famose case editrici con le quali stampano libri di dubbia diffusione; artisti della parola notissimi agli specialisti e agli adepti della setta culturale a loro dedicata, ma che, appena fuori dal giro, non sono nessuno, eppure è gente che fa la vita agiata piena di prestigio, perché … sono poeti, ma quelli della casta non quelli che si vedono nei circoli dei pensionati che si riuniscono per diletto.
Tutti sappiamo delle enormi crudeltà che si perpetrano in questa società, delle discriminazioni e delle disuguaglianze, altro che poesia; il sentimento, la sensibilità, l’amore sempre meno ci appartengono e l’influenza dei poeti purtroppo è inesistente, perché sappiamo solo di violenze, di omicidi, di stermini …
Forse la giuria del premio Nobel era impossibilitata a scegliere tra questi narcisi, talmente ingombranti che ha preferito sgusciare dalla trappola della decisione con una scelta scandalistica; magari forse ci ha creduto veramente, non lo so. Quello che so è che se la poesia non viene recitata, non viene rammentata nei momenti di gioia o di sconforto, ma solo venduta per essere letta da pochi, beh, forse c’è ben poco da premiare e sono meglio i cantautori.