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30/12/24 ore

Gli ortodossi in Israele (3)


  • Elena Lattes

La popolazione israeliana ha superato recentemente gli otto milioni di persone di cui circa  il 75% sono ebrei, poco più del 20% arabi (tra musulmani e cristiani) e il resto appartenenti ad altre minoranze (Bahai, Circassi, Drusi, Cristiani non arabi, ecc.).

 

Anche la maggioranza ebraica è di per sé molto variegata, ma a grandi linee, a parte diverse correnti di ebraismo riformato tendenti sostanzialmente a sacrificare quasi tutti i precetti in nome della modernità e i cui atti giuridici, come matrimoni, conversioni e così via, non vengono quasi mai riconosciuti dal rabbinato ortodosso (mentre può accadere l'opposto), dal punto di vista dell'osservanza, si può suddividere fra Charedim, i più “ligi”, che sono circa il 10%, moderatamente religiosi (in inglese vengono definiti “modern orthodox”) e una maggioranza, circa il 60%, molto lontana o perfino atea.

 

Per quanto riguarda i charedim (che si potrebbero più correttamente definire in italiano come “timorosi in soggezione verso la Maestà Divina”), sono in gran parte di usanze ashkenazite (originarie dell'Europa orientale) e visti da fuori potrebbero sembrare erroneamente appartenere ad un unico movimento compatto. Al contrario, esistono numerose correnti di pensiero che a volte generano aspre divergenze.

 

Partendo invece dall'interno, una prima distinzione si potrebbe effettuare tra chassidim e mitnagdim. Il primo gruppo fu fondato dal Baal Shem Tov in una piccola cittadina ucraina al confine con la Polonia nel diciottesimo secolo e sottolinea l'importanza dell'esperienza religiosa e della spiritualità rispetto agli studi e all'attività intellettuale. Per questo sono tendenzialmente più gioiosi, usano molto cantare e ballare, perché essere allegri e positivi è un grande precetto.

 

I mitnagdim, principalmente originari dalla Lituania, si definirono in questo modo in contrapposizione ai chassidim che ritenevano potessero seguire una nuova e pericolosa corrente messianica che avrebbe potuto condurre gli ebrei ad idolatrare un determinato leader (quello che avvenne con Shabbetai Zvi e i suoi seguaci che alla fine si convertirono all'Islam).

 

Oggigiorno questa suddivisione è inesistente in molte comunità e al di fuori del mondo più ortodosso, ma a volte è lacerante in alcuni quartieri di Gerusalemme e in pochi altri luoghi.

 

Anche il mondo chassidico a sua volta si può suddividere in tanti sottogruppi, ognuno dei quali spesso ha uno o più leader carismatici con una propria filosofia e specifiche tradizioni. Riguardo al loro rapporto con il moderno Stato di Israele, ci sono, per esempio, chassidim che hanno accettato il Sionismo, altri che ne sono rimasti indifferenti e altri che continuano a combatterlo (come abbiamo visto nel precedente articolo sui Neturei Karta).

 

Quasi tutti hanno famiglie numerosissime, in molte delle quali la donna lavora anche fuori casa, l'uomo studia i Testi sacri per la maggior parte del tempo e i bambini piccoli sono affidati ai fratelli più grandi. Per questi motivi spesso vivono sotto o al limite della soglia di povertà.

 

I più integralisti non guardano la televisione, ascoltano canali radio e leggono giornali autogestiti e dedicati a loro, parlano comunemente l'yiddish, relegando l'ebraico alle preghiere e allo studio perché ritengono che sia una sorta di profanazione usare la lingua sacra nella vita quotidiana.

 

In quest'ultimo gruppo, degno di nota, non per la loro consistenza numerica e nemmeno per la rilevanza sociale, ma soltanto per la peculiarità del loro estremismo sorto soltanto pochissimi anni fa, sono le Nashot Taliban, ovvero le Madri Talebane, così definite da tutti gli altri israeliani (compresi gli altri charedim) per il loro abbigliamento che ricorda il fondamentalismo islamico. Gli aderenti sono circa un centinaio, per lo più concentrati nella cittadina di Bet Shemesh a trenta chilometri da Gerusalemme, le donne indossano una sorta di niqab che copre loro anche il volto e non parlano né agli uomini, né in pubblico.

 

I giovani di quasi tutti i gruppi non svolgono né il servizio militare né quello civile (che per gli altri è invece obbligatorio), ma la situazione sta cambiando e alcuni hanno cominciato ad arruolarsi o a prestare una sorta di collaborazione in campo sociale. Altri, invece, sono molto impegnati in nobili attività, come per esempio i volontari di Zaka, associazione fondata vent'anni fa, che intervengono in seguito ad incidenti e attentati per ricomporre i cadaveri e dare loro una degna sepoltura. Negli ultimi anni la loro opera si è estesa al pronto soccorso a feriti ed infortunati. Sono aperti alla collaborazione con gli arabi e condannano pubblicamente ogni tipo di violenza da qualsiasi parte provenga.

 

Anche i ruoli femminili hanno intrapreso in molti casi la via del cambiamento: ci sono gruppi di donne che rivendicano il loro diritto ad occuparsi di politica e di questioni pubbliche, altre, singolarmente e di propria iniziativa, partecipano a concorsi televisivi come Xfactor o Masterchef.

 

In conclusione, quindi, anche se alcuni rimangono rinchiusi in un mondo di ostilità e diffidenza in entrambi i sensi (sono spesso visti come “parassiti”) altri, probabilmente la maggior parte, sono destinati ad una progressiva apertura che conduce ad una sempre più frequente ed intensa collaborazione, partecipazione e integrazione con il resto della cittadinanza.

 

- Neturei Karta, i “Guardiani della città” di Gerusalemme (1)

- Israele, il “prezzo da pagare” all'estremismo di Tag Mehir (2)

 

 


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