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16/11/24 ore

Israele, il “prezzo da pagare” all'estremismo di Tag Mehir


  • Elena Lattes

Israele è un Paese enormemente composito e variegato, dove grandi contraddizioni riescono a convivere in un clima spesso conflittuale, ma che non raggiunge quasi mai scontri particolarmente violenti. Fondamentalmente laico, ha al suo interno forti componenti religiose: si tengono spesso oceaniche e coloratissime manifestazioni di gay pride, ma è anche il più importante punto di riferimento per tante religioni (ebrei, cristiani di tutte le confessioni, musulmani, centro mondiale dei Bahai) e nella cui capitale la spiritualità si respira quotidianamente. A volte i vari gruppi vivono fianco a fianco, si alleano o esprimono reciproca solidarietà, altre, al contrario, ostilità, rivalità, arrivando, per fortuna raramente, a compiere addirittura azioni violente.

 

Israele è il Paese per eccellenza dove il passato si fonde con il presente e il futuro: è giovane, pieno di interessanti stimoli per bambini e ragazzi, ma anche molto attento al rispetto degli anziani e degli invalidi. In continua e in incessante evoluzione, è sempre pieno di cantieri e di altissimi grattacieli, soprattutto nelle città centrali, la cui economia oggigiorno si basa sull'industria dell'hi-tech, ma dove ci sono anche tanti giardini, parchi, riserve naturali, musei, scavi archeologici, teatri e cinema.

 

E' il Paese che gran parte del mondo arabo e islamico vorrebbe cancellare dalle cartine geografiche, ma l'unico in tutto il Medio Oriente dove i musulmani godono di pieni diritti, al pari di tutti gli altri cittadini. Perfino nel Parlamento siedono, o si sono sedute in passato, persone che si rifiutano di riconoscerne il diritto all'esistenza e vanno in visita ai leader terroristici residenti in Stati che non hanno mai riconosciuto Israele. Attaccato da numerosi decenni con guerre e tragici attentati, i suoi cittadini anelano alla pace e non mancano di esprimere questo desiderio in ogni forma e in ogni occasione.

 

Negli ultimi mesi, tuttavia, si sono verificati alcuni episodi gravissimi, compiuti da estremisti appartenenti a piccoli gruppi marginali che non trovano molto consenso in patria, ma riescono ad entrare nelle cronache mondiali, un po' perché più aggressivi, un po' perché in alcuni casi sono molto strumentalizzati da anti-israeliani e antisemiti. Pur essendo diversissimi tra loro e pur non avendo niente a che fare l'uno con l'altro, in queste ultime settimane possono aver dato l'impressione, soprattutto all'estero, al lettore mediamente distratto, di essere molto più simili e vicini che nella realtà.

 

Il primo di questi è il Tag Mehir, il cui nome significa “prezzo da pagare”, composto sostanzialmente da adolescenti o poco più, spesso in rotta con le proprie famiglie che si propongono di “difendere” ogni centimetro di terra aggredendo chiunque tenti di impedirglielo. I loro componenti, chiamati anche “giovani delle colline” o “i ragazzi del Lego”, costruiscono illegalmente e in brevissimo tempo case prefabbricate nelle zone dei territori contesi, devastano le proprietà palestinesi, distruggono edifici e piante, infastidiscono gli arabi, si scontrano con soldati e poliziotti e ultimamente hanno elevato notevolmente il loro livello di violenza: a giugno due o forse quattro (due sono stati riconosciuti colpevoli e condannati, sugli altri si sta ancora indagando) sedicenni hanno appiccato il fuoco in Galilea, vicino al Lago di Tiberiade, ad una delle più importanti basiliche del Paese, quella in cui, secondo la tradizione cristiana, Gesù moltiplicò i pani e i pesci, provocando l'intossicazione di due persone; poco più di due settimane fa hanno incendiato un'abitazione palestinese, uccidendo un bambino di un anno e mezzo.

 

Naturalmente gli atti sono stati condannati da tutti i leader politici e religiosi, molti dei quali sono andati a prestare visita ai familiari in lutto, i media li hanno definiti terroristi e da più parti sono state avanzate richieste di pene particolarmente severe per i colpevoli. Cresciuti nell'idea che non dovrà mai più accadere un ritiro come quello da Gaza, sono tuttavia molto difficili da combattere tanto che uno degli agenti dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno allo Stato, ha spiegato che è più facile reclutare gli informatori tra i fondamentalisti di Hamas o della Jihad Islamica che tra i giovani delle colline.

 

Oltre ad essere invasati e violenti, sono anche molto determinati: uno dei suoi leader ha dichiarato tempo fa alla stampa: «La polizia deve capire che qualunque intervento contro di noi ha un costo altissimo».

 

Di altri gruppi ed episodi si scriverà in un prossimo articolo.

 

 


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