di Camillo Maffia
Le indagini su "Mafia Capitale" hanno messo in luce la realtà di un sistema mafioso indissolubilmente legato in prevalenza a una parte dei nuclei della sinistra romana, dalla politica all’assistenzialismo. Il coinvolgimento di esponenti della giunta di centrodestra, pur centrale, s’inserisce nella stagione di passaggio in cui questa ha governato la città. Ma il sistema politicamente nasce nel 2002 con Veltroni e prosegue fino alla Giunta Marino.
Per buona parte della stampa, della politica e purtroppo anche dell’opinione pubblica, questo è semplicemente inaccettabile. La mafia è di destra, non può essere di sinistra. Non c’è una ragione per questo: è la parodia di un dogma, una certezza incrollabile del tutto priva di fondamento.
Eppure il modo in cui si sono sviluppati gli interessi malavitosi in relazione a Rom e immigrati è molto semplice da capire. Il primo passo falso viene compiuto dalla giunta Rutelli tra il 1996 e il ’97. Il "compromesso nomadi" fra An e PdS conduce infatti a un’infausta idea che non potrà non aprire la strada alle speculazioni.
Ma andiamo con ordine. Lo scenario è quello di politiche errate che si vanno concretizzando: innanzitutto, la distorsione crescente di quella tutela del nomadismo che aleggia nelle leggi regionali e che si manifesterà nella creazione di spazi-ghetto noti come "campi nomadi". Con l’ordinanza 80/1996 nascono quindi i campi "tollerati", insediamenti nati spontaneamente regolamentati da tale provvedimento, che si differenziano da quelli abusivi, giudicati non regolari: la mappatura mostra un totale di 51 insediamenti per 5.467 Rom censiti, dato già all’epoca contestato dall’Opera Nomadi che ne stimava di più.
L’assurdità di immaginare insediamenti idonei alla sistemazione in campi dei nuclei familiari Rom senza fissa dimora porta a una soluzione che, prevedibilmente, non potrà non condurre alle speculazioni avvenute sotto le giunte successive: comprare i terreni. Mentre la perplessità spinge perfino esponenti di An a chiedersi se non sarebbe più utile spendere dei soldi per sistemare i senzatetto in strutture abitative piuttosto che sborsare denaro pubblico per far accampare la gente sulla nuda terra, i campi nomadi a Roma diventano, da zone temporanee con alloggi di fortuna, una vera e propria soluzione abitativa con tanto d’investimento da parte del Comune e, inevitabilmente, di ampie possibilità di guadagno (a cominciare dai proprietari terrieri) direttamente proporzionali al numero di "anime" da alloggiare: un’idea del tutto simile a quella che costituisce la base del celebre romanzo di Gogol’ "Le Anime Morte" (il quale, pur satireggiando la Russia del suo tempo, lo scrisse quasi interamente durante il suo soggiorno a Roma).
E’ questo il meccanismo che scatena le speculazioni, dai campi nomadi allestiti sui terreni tossici ai roghi dei rifiuti scaricati abusivamente dalle ditte, dalle cooperative di gestione che vedono una polizza a vita nel disagio delle comunità Rom a quelle di manutenzione delle aree e delle strutture.
Il salto di qualità avviene con Veltroni, il cui piano nomadi del 2003 era già definito un "giallo" dal "Giornale" del 6 dicembre 2005: il progetto prevedeva 18 insediamenti regolari e una spesa di ben 3,5 milioni di euro, ma all’epoca Sergio Marchi (AN) dichiarava: «Del piano non sappiamo nulla, non è mai arrivato in consiglio comunale. Tantomeno sappiamo qualcosa sui soldi spesi». Ricordiamo che siamo nello stesso periodo (2003) in cui gli ex poliziotti Pascale e Fierro vengono bloccati, secondo la loro ricostruzione, dopo aver scoperto quello che oggi è emerso dall’inchiesta di Mafia Capitale.
Per capire quali siano le politiche della giunta Veltroni, è sufficiente guardare il caso del campo nomadi "La Cesarina". Nel 2002 Cesare Galli viene arrestato per favoreggiamento all’immigrazione clandestina e sfruttamento della manodopera. Quello che passerà alla storia come "lager degli immigrati" è un luogo di selvaggia disperazione, dove oltre 100 immigrati clandestini sono segregati, pagando un salato affitto per il terrore di essere scoperti, in condizioni disumane, dormendo sul pavimento fra cumuli di rifiuti.
Da gestore del "lager degli immigrati", Galli viene subito promosso a gestore della "Cesarina", che assurge al rango di "villaggio della solidarietà" mentre l’area è ancora sotto sequestro. Il comune paga l’affitto del terreno a Propaganda Fide, dato in concessione al Cesare. Qualche cifra: secondo una nota (dolente) di due consiglieri di AN, il Comune dal 2003 al 2007 stanzia 2.538.100 Euro tra il canone elargito alla holding vaticana e i servizi; residenti nel solidalissimo lager di lusso, 153 Rom bosniaci deportati dal campo della Muratella il 27 agosto 2003.
Il sistema si sviluppa tra il 2003 e il 2007, anno in cui il campo di Castel Romano finisce, secondo la ricostruzione della Procura, nelle mani di Salvatore Buzzi. Ed è in questa situazione che, dopo l’elezione di Alemanno nel 2008, la "emergenza nomadi" dichiarata nel 2010 dal governo Berlusconi piove come una manna dal cielo sui più ingordi. La giunta neoletta riuscirà infatti, grazie a quell’emergenza che consente di agire in deroga alle norme vigenti aggirando di fatto i controlli, a spendere oltre 60 milioni di euro con appalti senza gara.
E’ evidente che un sistema nato sotto Veltroni si consolida con Alemanno. E se la Cesarina è l’emblema dell’amministrazione Veltroni, Castel Romano lo è dell’amministrazione Alemanno e della continuità della stessa con la precedente. Dalle intercettazioni risulta infatti che il grande affare di Castel Romano iniziato con la giunta Veltroni, quando il capo di gabinetto del sindaco Claudio Odevaine avrebbe invitato Salvatore Buzzi a comprare i terreni, decolla secondo la procura con la «nuova emergenza nomadi del 2010 e la conseguente offerta di Buzzi ad Alemanno di ampliare il campo di Castel Romano» e «sulla redditività dell’investimento sostenuto o comunque un rientro dello stesso attraverso una maggiorazione delle effettive presenze nomadi».
Dov’è quindi il trucco? In base alla ricostruzione, il Campidoglio paga per due persone quando in realtà il campo ne ospita solo una. Nel corso dell’amministrazione Alemanno, grazie a sgomberi mostruosi come quello ormai noto di Tor De’ Cenci, il campo nomadi di Castel Romano supera la quota 800 residenti.
E questa è la situazione quando viene eletto Marino. Cosa fa allora Marino? A meno di tre mesi dalla sua elezione, con una città in cui il problema dei micro-insediamenti è diventato annoso proprio in virtù di quegli sgomberi forzati che hanno condotto al triplicarsi dei campi, spende 150.000 euro con un inaudito spiegamento di forze per sgomberare solo ed esclusivamente le 40 famiglie Rom fuggite da Castel Romano.
La comunità in questione aveva documentato una realtà di vessazioni e soprusi all’interno del campo, con richiesta di spostamento protocollata datata marzo 2012 e un video che viene inviato alla Commissione politiche sociali. Il dramma dei Rom fuggiti suscita l’intervento di personalità sensibili come Moni Ovadia, che scrive una lettera aperta al sindaco Marino per invitarlo a non effettuare lo sgombero. Marino chiama Ovadia e lo invita a incontrarsi in Campidoglio: l’artista prende un aereo da Milano, a sue spese, e si reca a parlare con il sindaco, il quale lo rassicura spiegandogli però che "bisogna essere cauti".
Chi scrive conosce bene questo senso della cautela della giunta Marino, che effettuerà comunque lo sgombero il 12 settembre 2013 ribadendo il trasferimento obbligato a Castel Romano. Un mese prima, infatti, il portavoce della comunità Dragan Trajkovic mostrava inutilmente al vice-sindaco Luigi Nieri le minacce di morte ricevute sul suo cellulare: "Quando torni a Castel Romano, ti ammazziamo". Ma benché il portavoce, essendo fuggito con la sua comunità e avendo denunciato apertamente i meccanismi interni al campo, chieda di poter essere trasferito in qualunque posto che non sia Castel Romano, Nieri è irremovibile; e alla domanda "Riporteresti un pentito dal boss?", urla senza rispondere.
Non a caso, la giunta Marino spende oltre 23 milioni di euro per la gestione dei campi nomadi nel solo 2013; decide di stanziare due milioni di euro per la mai effettuata "ristrutturazione" della suddetta Cesarina; effettua oltre 50 sgomberi illegittimi; il nome di Nieri ricorre nell’inchiesta "Mafia Capitale"; l’assessore alla Casa Daniele Ozzimo è costretto a dimettersi dopo le rivelazioni sul suo coinvolgimento; la continuità Veltroni – Alemanno – Marino è insomma talmente evidente che anche un bambino potrebbe notarla. Eppure, qualcosa non torna. Marino inaugura una nuova giunta, mantenendo peraltro il vicesindaco al suo posto, fa un rimpastino, s’inventa un "assessore alla legalità" pagato dai contribuenti e tutto finisce a tarallucci e vino.
La stampa plaude: Marino è santo, la giunta è santa. Circa un mese fa la stessa giunta stanzia 600.000 euro per la riqualificazione dei campi nomadi: pochi si scandalizzano. Tutto è bene, insomma, quel che finisce bene.
Torturato e sepolto vivo al 41 bis, il "fascista" Massimo Carminati, che dalle intercettazioni emerge insieme a Buzzi come "capo" di "Mafia Capitale" e che, avendo avuto a suo tempo rapporti coi Nar, viene presentato dalla stampa come membro del gruppo, pur non essendolo mai stato. Così, scrivendo "Massimo Carminati Mafia Capitale" su Google News, nella prima pagina di risultati non trovi certo il nome di Luigi Nieri, bensì quello di Valerio Fioravanti. Addirittura, in seguito all’elezione di Mattarella e alla rievocazione dell’omicidio del fratello, digitando le stesse chiavi di ricerca esce Fioravanti in relazione al delitto Mattarella, da cui peraltro fu assolto.
Ma poco importa: qui non si tratta di lui, e in fondo neanche di Carminati. E’ la necessità disperata che ogni storia di Mafia e di Regime, dalla strage di Bologna in poi, si concluda caricando sui fascisti tutti i peccati, secondo i casi colpevole o innocente in relazione ai fatti, e mandandolo nel deserto. Del resto, come accettare la verità su "Mafia Capitale"?
Una totale continuità di regime in cui il confine tra delinquenza e mala gestione si fa labile e si annienta, la coniugazione perfetta fra assistenzialismo e corruzione, le responsabilità in primis della sinistra romana di aver creato e incentivato consapevolmente un sistema ventennale fatto fruttare anche dal centrodestra, l’inevitabile conclusione che sia impossibile riporre la benché minima fiducia nei nostri governanti. Un pensiero inaccettabile, che creerebbe instabilità sociale, rabbia, forse perfino ribellione. Meglio credere invece di essere sempre stati dalla parte giusta.
La sinistra è innocente per antonomasia, e si può dormire sonni tranquilli. Qualche mela marcia, forse: ma la colpa appartiene a una mafia dipinta in modo fumettistico, al boss che trama nell’ombra attraverso i suoi tentacolari alleati fascisti. Cala così il sipario su "Mafia Capitale", con la sepoltura di Carminati, l’improbabile rievocazione di Fioravanti e la meritata ma sbilanciata gogna eretta per Alemanno da un lato del palcoscenico; dall’altro lato, Veltroni opinionista sulle stesse testate che hanno trascorso gli ultimi vent’anni a gridare alle dimissioni del centrodestra, mentre gli esponenti di sinistra a più livelli collegati con Salvatore Buzzi restano saldamente al loro posto, a spendere altre centinaia di migliaia di euro per i medesimi scopi con analoghe modalità.
E al centro del palco, meraviglioso e beckettiano, il sindaco Ignazio Marino, che sorride scendendo dalla bicicletta. Guarda verso il pubblico, s’inginocchia, e comincia a mungere la mucca Carina della Coldiretti. Sipario.