Dal giorno del suo insediamento il ministro dell'Integrazione Cécile Kyenge è oggetto di un incessante e vergognoso tiro al bersaglio da parte della destra italiana più becera e razzista. Di fronte al dato di fatto incontrovertibile, per quanto in Italia sia un'impresa difficile, è necessario uscire dal pantano linguistico al quale leghisti e neofascisti hanno improntato il dibattito sull'immigrazione.
Gli insulti rivolti a Kyenge (“nullità” e “orango”, per citarne solo un paio) qualificano in maniera inequivocabile i suoi aggressori, ma poco ci dicono sul conto del ministro e della sua agenda politica.
"Non è Rosa Parks, ma una Condoleeza Rice dall'aspetto più mite". Terry McDermott, nel suo articolo del 29 luglio, apre un'altra prospettiva sulla questione. Il ministro Kyenge non sarebbe una paladina dei diritti civili, nonostante l'impegno decennale nell'associazionismo interculturale e la resistenza alle offese disgustose ricevute negli ultimi mesi, bensì una libera professionista che dal 2004 milita nel partito che pochi anni prima, con la legge Turco-Napolitano, aveva voluto e istituito i Centri di Permanenza Temporanea in seguito ribattezzati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione).
L'analisi di McDermott può non convincere, tuttavia ha un indubbio pregio: rappresenta la prima vera critica al politico Kyenge. Non è infatti (e non vuole essere) un attacco alla persona, quanto semmai la denuncia di un meccanismo anche mediatico che rischia di ridurre il ministro dell'Integrazione a un vuoto e inutile “santino”.
Un pericolo peraltro intravisto anche da altri. La scrittrice Igiaba Scego, pur se con affettuoso rispetto, ha chiesto a Cécile Kyenge se non ritenga opportuno dimettersi vista l'impossibilità di ottenere risultati concreti rappresentando un governo ostaggio del Popolo della Libertà e amico della Libia, nazione che notoriamente detiene in condizioni disumane i migranti.
Al netto delle oscenità leghiste il confronto sull'immigrazione è appena all'inizio. L'auspicio è che il ministro Kyenge, accanto ai reiterati (e finora inascoltati) appelli al Parlamento per l'approvazione di una legge sullo ius soli, aggiunga alla sua lodevole pacatezza maggiore fermezza nel pretendere il superamento dell'approccio paternalistico all'immigrazione che ha caratterizzato, anche a sinistra, la politica italiana degli ultimi anni.