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18/11/24 ore

Climatisti estremi: ‘Vandali. Senza scuse’



di Rosa Filippini 

 

(da l’Astrolabio Newsletter degli Amici della Terra)

 

Diciamo subito che sarebbe un errore inasprire le norme penali contro i vandali sia perché, come dimostra la procura di Padova con l’incriminazione di un gruppo di attivisti, le norme penali esistono già in abbondanza e sia perché una proposta di legge d’iniziativa del governo o del partito della Premier non costituisce uno strumento di deterrenza efficace.

 

Anzi per i capi degli attivisti costituisce un riconoscimento esclusivo, l’attestato di essere interlocutori e perseguitati, una prima vittoria. Nel giro di pochi mesi, da sconosciuti sono diventati personaggi con un’agenda zeppa di impegni televisivi.

 

E infatti, dichiarano soddisfatti che non si fermeranno, che non si spaventano e che sono pronti ad andare in galera come si conviene a chi comincia a credere davvero di essere il salvatore del pianeta.

 

Un secondo grande equivoco, infatti, riguarda l’informazione. I giornalisti che accreditano come azioni nonviolente o di disobbedienza civile i flash mob con danneggiamenti dei beni culturali che abbiamo visto da qualche mese, fanno anche loro un danno grave alla cultura, alla politica e alla storia.

 

Il nonviolento è uno che espone in positivo le proprie convinzioni, uno che difende il bene pubblico, che non prende in ostaggio nessuno, né persone né cose, e che, semmai, assume su di sé il peso e le conseguenze delle proprie convinzioni e della propria azione di disobbedienza. Io l’ho imparato da Pannella ma la letteratura è vasta, da Gandi a Capitini, basta documentarsi. In caso di dubbio, basta ricordarsi che “il fine è nei mezzi come l’albero nel seme”: sintetico ed efficace per capire che, se sei una persona civile, non puoi danneggiare un bel niente.

 

La reazione generalizzata è che “sono ragazzi! la protesta è giusta ma i modi sono sbagliati” anche da parte di quelli che hanno tifato Nardella nel suo mitico scatto fisico in difesa di Palazzo Vecchio e che, anzi, lo avrebbero sostenuto anche se si fosse fatto scappare qualche calcio in culo.

 

Ma è proprio qui l’equivoco più importante: la protesta non è giusta e gli esponenti di Ultima Generazione non hanno ragione né nei metodi né nel merito.

 

Tranquilli, non sto negando i cambiamenti climatici. E, in questa sede, non mi interessa nemmeno mettere in discussione gli obiettivi di decarbonizzazione, né i tempi per raggiungerli. Facciamo finta che sia tutto chiaro.

 

Vorrei soffermarmi solo sul cuore della protesta che non può essere, come dicono i telegiornali “per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica”: sono ormai una decina d’anni che il clima è l’argomento principe della politica a tutti i livelli, nazionali e globali per l’Onu, per i G7 e i G20, per l’OCSE, per l’IEA, per l’Unione Europea. E anche per la cultura, per il Papa, per l’informazione, per la scuola, per l’impresa, per i sindacati, per l’alta finanza e i fondi di investimento.

 

Non c’è problema la cui causa non venga indicata nella crisi climatica che rischia, semmai, di diventare un alibi per ogni tipo di inadempienza, dalle politiche di prevenzione del rischio sismico alla tutela della biodiversità. Palesemente, l’attenzione c’è.

 

Infatti, ora la parola d’ordine principale è “Non state facendo niente!”. Ma anche questa fa acqua da tutte le parti.

 

Prendiamo una fonte che ci consente di semplificare i dati. La Climate Policy Initiative (CPI), è un gruppo di ricerca indipendente che da più di un decennio monitora gli investimenti primari globali da parte di attori pubblici e privati in attività che riducono le emissioni e migliorano l'adattamento e la resilienza ai cambiamenti climatici. Non è sospetta di “negazionismo climatico”, semmai del contrario.

 

Ebbene, nell’ultimo rapporto disponibile, CPI sostiene: ”I finanziamenti globali per il clima sono quasi raddoppiati nell'ultimo decennio, con un totale di 4,8 trilioni di dollari di finanziamenti per il clima impegnati tra il 2011 e il 2020 o una media annua di 480 miliardi di dollari (…) i finanziamenti per il clima sono aumentati a un tasso di crescita medio annuo cumulativo (CAGR) del 7%,”

 

Figura 3: Finanziamenti per il clima da fonti pubbliche e private nel 2011-2020 (miliardi di USD) Fonte: CPI, Panorama globale della finanza climatica

 

Certo, coerentemente alla sua missione, CPI aggiunge che “gli attuali livelli di aumento non sono sulla buona strada per soddisfare uno scenario di riscaldamento globale di 1,5°C. Abbiamo bisogno di almeno 4,3 trilioni di dollari di flussi finanziari annuali entro il 2030 (CAGR 21%)”. Tuttavia, il rapporto consente, anche attraverso le immagini, di farsi un’idea di uno sforzo finanziario pubblico e privato poderoso e inedito verso un obiettivo globale indicato dall’ONU. 

 

Entrando parzialmente nel merito, CPI aggiunge: “i finanziamenti per le energie rinnovabili hanno fatto i progressi maggiori, mentre i finanziamenti per l'adattamento e la resilienza sono in netto ritardo. Il settore delle energie rinnovabili è stato trasformato in un settore consolidato e competitivo con un ritorno sull'investimento 7 volte superiore rispetto ai combustibili fossili (IEA, 2021).

 

Il sostegno del settore pubblico è stato particolarmente cruciale per gli investimenti nelle energie rinnovabili, sostenendo e consentendo la riduzione dei costi della tecnologia, oltre a fornire incentivi come meccanismi di sovvenzione limitati nel tempo quando i mercati sono diventati autosufficienti. I trasporti sono il settore in più rapida crescita, in parte grazie al sostegno politico ottenuto dall’industria”

 

Figura 8: finanziamento della mitigazione del clima per soluzioni (miliardi di USD) Fonte: CPI, Panorama globale della finanza climatica

 

Certo, non è sufficiente.  Ma, i benpensanti che, approvando le finalità della protesta vandalica – pur disapprovandone i modi - nei fatti la avallano, dovrebbero convenire che: “non state facendo niente!” è un’affermazione totalmente falsa e che la finalità dei climatisti estremi non è il clima ma l’atto clamoroso in sé e tutto quello che ne consegue in termini di popolarità e ruolo politico.

 

Quindi, usciamo dall’idea romantica della protesta pura e innocente che porta fatalmente a giustificare qualche eccesso giovanile (sic!) ed entriamo nella dimensione propria del confronto politico sul merito delle scelte, con tutto ciò che ne consegue.

 

Ad esempio, sarebbe legittimo per chi è convinto di avere davanti a sé solo pochi anni prima dell’apocalisse, accusare: “state sbagliando tutto! Dovete fare altro!”  ma qui i toni dei climatisti estremi si fanno più sfumati perchè questo costringe a fare i conti con la complessità del problema e ad argomentare “cosa” esattamente andrebbe fatto, cambiato, corretto, in che tempi, con che risorse, sacrificando cosa.

 

Ad esempio, sarebbe necessario prendere atto del confronto fra i diversi sistemi di produzione energetica scelti dai paesi europei che, sulla base dei dati consolidati in oltre 60 anni di esperienza, non lasciano dubbi: l’intensità carbonica – e i tempi e i costi necessari per ridurla – della Francia nucleare sono decisamente inferiori a quella della Germania che ha fatto i più grandi investimenti nelle rinnovabili. Se l’obiettivo finale è la riduzione della CO2 e l’abbandono dei fossili e non gli interessi dell’industria eolica e fotovoltaica, occorre schierarsi. Se la sentono i nostri eroi?

 

Elaborazione di Giuseppe Zollino da dati BP Energy Review

 

Ma prendiamo l’Italia. Dopo l’investimento epocale nelle fonti rinnovabili di oltre 220 miliardi di euro stanziati e spesi nel decennio trascorso, ora il governo si appresta a spendere, entro il 2026, oltre il  40% dei fondi del PNRR per combattere il cambiamento climatico. Entro il 2030, in base ai programmi europei recepiti dall’Italia si prevede l’installazione di 80 GW di eolico e fotovoltaico. Per farlo, tutta la politica (i governi, i partiti, le amministrazioni che si sono succedute negli ultimi 10 anni) non ha esitato a strizzare l’occhio alla speculazione, viste, ad esempio, le tariffe di 185 euro a Mwh proposte per l’eolico off shore.

 

Centinaia di nuovi progetti per migliaia di nuovi tralicci e pale e per migliaia di ettari di fotovoltaico su terreno agricolo fertile e pianeggiante stanno per essere approvati senza alcuna discussione, visto che le nuove leggi e direttive (imposte dalla politica europea e nazionale) hanno demolito una normativa di salvaguardia territoriale costruita in 70 anni di storia e non l’hanno sostituita nemmeno con i criteri per identificare le aree idonee e non idonee alle installazioni.

 

Ecco, cari climatisti estremi, la totalità dei partiti (eccetto Sgarbi) e delle vecchie associazioni ambientaliste (tranne gli Amici della Terra e le associazioni di Coalizione articolo 9) hanno l’impudenza di dire che tutto questo non è abbastanza, che le rinnovabili non sono abbastanza e che bisogna farne ancora di più. Voi che dite? Siete anche voi alla guida delle ruspe che spianeranno i paesaggi italiani?

 

(da l’Astrolabio Newsletter degli Amici della Terra)

 

Foto di copertina (da Prima di Tutto Milano)

 


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