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18/11/24 ore

Paolo Mieli. Giustizia: toghe e doppie verità



di Paolo Mieli

(da Corriere della Sera)

 

Colpisce che il cento per cento dei magistrati che si sono fin qui pronunciati sulla riforma Cartabia abbiano espresso dissenso. Dissenso manifestato senza il ricorso ad eufemismi, anzi in termini assai impegnativi. È vero che due o tre di questi magistrati (quattro se comprendiamo Luciano Violante) hanno aperto qualche spiraglio al progetto messo a punto dalla ministra della Giustizia assieme a un gruppo di valenti giuristi.

 

Ma erano toghe in pensione: quelle tuttora in servizio hanno sparato alzo zero contro il provvedimento che, secondo i loro calcoli, avrebbe consentito il ritorno in libertà di centinaia di migliaia di delinquenti. Proprio così: centinaia di migliaia. E avrebbe altresì provocato la fine dello stato di diritto nonché, forse, della democrazia riconquistata con la Resistenza. Anche personalità fino ad oggi conosciute come poco inclini alle esagerazioni hanno fatto ricorso a quel genere di toni. Sia come singoli che come capi delle organizzazioni di categoria.



Ripetiamo: il cento per cento dei magistrati in servizio, presa la parola, si è pronunciato contro il progetto Cartabia votato all’unanimità dal precedente Consiglio dei ministri sostenendo che se fosse rimasto com’era e non fosse stato cambiato con una seconda decisione unanime, quella di ieri sera, avrebbe provocato al nostro Paese danni incalcolabili.


In casi come questo si è soliti sostenere che non tutti i magistrati la pensano come quelli che intervengono pubblicamente. Ma tenderemmo a escludere che ciò corrisponda al vero perché, se così fosse, dopo quasi trent’anni di riproposizione di questo copione, dovremmo pensare che tra pubblici ministeri e giudici non ce ne sia uno, neanche uno, capace di manifestare il proprio dissenso dal pensiero prevalente tra i colleghi. Tutti senza coraggio? Impossibile. Più verosimile che, con maggiore o minore intensità, siano d’accordo tra loro. 

 

A questo punto si pone una domanda: cosa ha reso possibile questa unanimità delle toghe contro Mario Draghi e Marta Cartabia? La risposta può essere di due tipi. La prima - con maggiori probabilità di esser vicina al vero – è che il precedente accordo raggiunto dalla ministra avesse un carattere eccessivamente compromissorio; che lei e i saggi che l’hanno affiancata non si rendessero conto dello spropositato numero di mafiosi, terroristi e malfattori di ogni specie che grazie al loro provvedimento (nella prima versione) avrebbero riacquistato libertà; e che l’intero Consiglio dei ministri avesse concesso luce verde a questo piano nell’intima (e cinica) certezza che qualcun altro l’avrebbe rimesso in discussione. Fosse vero, dovremmo ringraziare quei parlamentari del M5S che con rapidità, resisi conto dei rischi, hanno ottenuto il nuovo compromesso che impedirà a mafiosi, terroristi e delinquenti d’ogni risma di uscire di prigione. E che risparmierà all’Italia un provvedimento che avrebbe «minato la sicurezza del Paese».

 

L’altra ipotesi di spiegazione – assai meno plausibile della precedente, anzi, ammettiamolo, quasi inverosimile – è che la magistratura italiana sia ormai divenuta un corpo malato. Un insieme in cui uomini e donne si lasciano rappresentare da avanguardie impegnate a combattersi le une contro le altre a colpi di dossier. Che le loro istituzioni, a cominciare dal Csm, stiano sprofondando, anzi siano già sprofondate nel più assoluto discredito.

 

Che correnti e sottocorrenti abbiano standard di moralità minori di quelli che avevano i partiti politici all’epoca della loro massima degenerazione. Che procure, passate alla storia come templi della legalità, siano oggi sconvolte da lotte fratricide in cui è consuetudine l’accoltellamento alla schiena. Luoghi in cui sarebbe divenuto lecito nascondere le prove a vantaggio degli imputati.

 

Dove è pratica corrente spedire anonimamente a colleghi e media verbali finalizzati a minare la credibilità di un qualche «nemico». E di servirsi in tal guisa di astutissimi «pentiti» ben consapevoli dei servizi che si prestano a rendere. In questi Palazzi di giustizia sarebbe venuto meno ogni spirito di lealtà nei confronti dei capi. Capi che verranno sì sostituiti ma continueranno ad esser nominati da un Csm abbondantemente avvelenato. 

 

Se la magistratura italiana fosse precipitata in questo abisso – cosa che non crediamo, anche se qualche rischio lo si può intravedere in lontananza – allora le prese di posizione di alcune toghe contro Draghi e la Cartabia andrebbero interpretate come un accorto posizionamento in vista di un cataclisma prossimo venturo.

 

Una scossa tellurica nel corso della quale potrebbero venire alla luce le malefatte di molti, talché alcuni togati avrebbero ritenuto conveniente assumere la postura di indomiti alfieri della legalità capaci di mettere con le spalle al muro l’ex Presidente della Corte costituzionale. Tali posture potrebbero valere, nell’immediato, per promozioni che verranno fatte con gli stessi criteri adottati in passato. Ed essere eventualmente considerate un titolo di benemerenza nel momento in cui giungesse l’ora del redde rationem.

 

Ma ora che il governo è stato in grado di giungere ad un secondo compromesso ci aspettiamo che i magistrati ne prendano atto e festeggino lo scampato pericolo. E che siano unanimi anche in questi festeggiamenti.

 

(da Corriere della Sera)

 

 


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