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17/11/24 ore

Spataro: «No ai muri contro la riforma sulla Giustizia. Va messa alla prova prima di bocciarla»



di Virginia Piccolillo (Corriere della Sera)

 

 

Nel corso della sua lunga carriera di magistrato, non sono mancati i distinguo con Armando Spataro da parte nostra. Ugualmente, però, gli abbiamo sempre riconosciuto di non ricorrere a mistificazioni o a posizioni di pregiudizio fanatico sulle questioni inerenti alla giustizia. Se ne trova conferma anche in questa intervista rilasciata al «Corriere della Sera» che qui riproponiamo.

 

Vi si trovano affermazioni importanti, come questa: “I cittadini hanno diritto di conoscere la durata del processo, che deve essere ragionevole…  Va trovata una soluzione corretta che non è l’abolizione della prescrizione dopo la prima sentenza, che allunga a dismisura i tempi”. 

 

Frasi nient’affatto scontate, dal momento che tanto altri magistrati, quanto il coro cantato su giornali e tv insiste a riproporre invece le deformità proprie di una barbarie del diritto. Non a caso le considerazioni di Spataro sono state prontamente silenziate, evitando sia di commentarle e sia di farne oggetto di un confronto ragionato sui problemi che concernono il processo penale in Italia.

 

 

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«Non si può dire che non ce la faremo, senza averci prima provato. Non si devono erigere muri trumpiani. Serve determinazione e coraggio per far sì che questa riforma funzioni».

 

Armando Spataro, ex procuratore di Torino impegnato contro mafia e terrorismo, non grida alla «tagliola che manderà al macero centinaia di migliaia di processi». 

 

Perché?

 

«È un’affermazione “facile” che però non tiene conto delle molte misure adottate per accelerare i tempi».

 

L’ufficio del processo, con neolaureati?

 

«Saranno assunti magistrati, cancellieri e assistenti giudiziari in numero consistente. Se poi i magistrati sapranno guidare quanti non solo neolaureati vi saranno destinati, si otterranno ottimi risultati. Come negli Usa. Certo si deve trattare di strutture stabili, non temporanee».

 

Bastano 2 anni per l’appello e 1 per la Cassazione?

 

«Non sempre. Ma c’è da fare una premessa».

 

Ovvero?

 

«I cittadini hanno diritto di conoscere la durata del processo che deve essere ragionevole. Lo dicono la Costituzione, la legge Pinto. E la Cedu che ha più volte condannato l’Italia. Va trovata una soluzione corretta che non è l’abolizione della prescrizione dopo la prima sentenza, che allunga a dismisura i tempi».

 

E quindi?

 

«Se è questo l’obiettivo, utile anche per gli aiuti del Recovery fund, il processo penale va seriamente riformato senza farsi distrarre da improponibili soluzioni referendarie».

 

E se poi non ce la si fa e scatta l’improcedibilità?

 

«Il rischio c’è, ma è per questo che è necessaria una norma transitoria per verificare prima l’effetto degli aumenti del personale e del miglioramento delle strutture e dei tanti strumenti previsti dalla proposta di riforma. Poi si potrebbe lavorare sulla lista dei reati che consentono un aumento dei termini di improcedibilità. Ed i termini stessi potrebbero a loro volta essere di poco aumentati».

 

C’è chi propone di lasciare al giudice la decisione.

 

«Mi pare un po’ più complicato. Ma si può studiare di far scattare la decorrenza dei termini dalla notifica della citazione del giudizio. Dopodiché si parla molto del processo digitale. Ma deve funzionare».

 

Non funziona?

 

«Purtroppo il software è spesso elaborato da tecnici informatici ministeriali cui manca una conoscenza approfondita dei reali problemi della giustizia. La managerialità non basta».

 

Resta la mole enorme di arretrato. Che fare?

 

«Non sarei contrario a un’amnistia per reati minori. Del resto sono già previsti riduzione dell’appellabilità (ma nel rispetto della parità di accusa e difesa), aumento della perseguibilità a querela di molti reati, estensione della non punibilità per fatti di lieve entità».

 

Obiettano: e l’allarme sicurezza? E le parti civili? 

 

«Rispetto l’obiezione. Ma parliamo di reati in cui spesso manca anche la parte offesa per cui basterebbe una sanzione amministrativa. E non è vero che parti offese ed imputati sarebbero penalizzati: se il giudice d’appello dichiara l’improcedibilità può inviare tutto al giudice civile per la conferma o meno dei risarcimenti già disposti in primo grado. E il condannato che vuole l’assoluzione può rinunciare all’improcedibilità».

 

Quindi condivide appieno la riforma?

 

«I problemi esistono, ma vanno affrontati con discussione leale e coraggiosa. Non mi convincono, però, alcune proposte. La prognosi di condanna — sia pure formulata in termini lessicalmente diversi — sostanzialmente già esiste per richiedere o disporre il rinvio a giudizio. E non mi convince affatto che un giudice possa attestare al di fuori di un pieno contraddittorio che certamente ci sarà una condanna. Ritengo inaccettabile la pretesa della politica di interferire, in tema di azione penale, sulle linee di indirizzo delle priorità. Già oggi esistono regole e circolari del Csm: la competenza del Parlamento costituirebbe un attentato alla separazione tra poteri dello Stato al di là del fatto che le priorità non sono uguali in tutti i distretti ed una legge non potrebbe disciplinarle in modo omogeneo».

 

Riformare il processo non per una visione strategica ma per i soldi del Recovery fund non è sbagliato?

 

«Il quesito è corretto. Ma non credo che l’unica ragione sia quella: contano i principi già citati. Alla fine la ragionevole durata del processo sarà utile per tutti. Per questo credo che occorra ascoltare tutti gli attori della giustizia: magistrati ed avvocati».

 

 

(da Corriere della Sera 21 luglio 2021)

 

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Approfondimento:

 

Crisi della giustizia e altro. Abstract della conversazione tra Armando Spataro e Giuseppe Rippa 

(Agenzia Radicale Sabato, 08 Dicembre 2012)

 

 


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