di Giuliano Ferrara (da Il Foglio)
Un anno senza Pannella. Triste perché manca anche solo il brusio e una certa sconclusionata grandezza degli ultimi tempi. Che la domenica pomeriggio non si possa più ascoltare il bla bla bla letterario, surreale e incantato, che teneva con Massimo Bordin, ecco, è un lutto vero una mancanza di quelle assolute.
“Marco, abbiamo poco tempo, bisogna stringere, restano solo quaranta minuti”. Per non dire delle scelte iperpolitiche e sovrapolitiche, civili, lucide, che hanno punteggiato la sua vita di profeta e di predicatore e di leader di una grande ditta di immaginazione politica e culturale, il Partito radicale in tutte le sue più bizzarre e autorevoli incarnazioni.
Diceva sempre che i radicali erano quelli del divorzio e dell’aborto, che definiva conquiste civili senza sapere di mentire o sapendolo fin troppo bene. Primo perché furono costruzioni alla fine tremendamente politiche, contro le quali le sue truppe si pronunciarono per assenza di spirito appunto radicale e libertario nelle leggi che regolavano in modo abborracciato i due protocolli della distruzione della civiltà. Poi perché lo consegnavano alla storia, con tutto il suo spirito di intrapresa e di avventura, ma una storia che per primo sapeva essere carica di dubbi insopprimibili.
Volle credere alla balla del divorzio come soluzione al problema del matrimonio, mentre è una moltiplicazione dissipativa del problema, e il contrario del matrimonio non è il divorzio, come tutti sanno, ma il non-matrimonio. Quanto all’aborto come risorsa contro la clandestinità assassina, era troppo intelligente per non avere nel profondo dell’animo la consapevolezza dell’abisso di sordità morale cui fummo condannati, perfino da una legge di “tutela sociale della maternità”, fatta salva l’impunibilità di un atto di autolesionismo e di cattiveria che non è individuale ma generale e collettivo.
Ma la Corte suprema americana aveva decretato per tutta la cultura occidentale una strana forma di privacy, puoi aspirare e scaricare come rifiuto ospedaliero ciò che hai generato, una vita. E Pannella, in nome della politica, della caratura cinica di un progetto collettivo e personale che sopravanzava vita e morte, sapeva infondere la sua peculiare religiosità anche nelle scelte nichiliste. Libertarismo e nichilismo andavano d'amore e d‘accordo, un'unione civile ante litteram, e Pannella celebrò un matrimonio laico fatale ma nel senso della conformità alla storia. Sapeva essere anche un conformista, un dogmatico del conformismo.
La sua voce era ovunque. Era terribilmente petulante. Ma grande oratore torrenziale, sbrodolone, ellittico fino all’impossibile, in aggiunta, e scrittore fumoso ma spontaneo, la parola era comunque la sua gloria. Era di un attivismo incandescente, senza vacanze perché inteso non come lavoro, ma come Beruf, vocazione.
Era autoritario, paternalista, buono, capace di amicizia nel dissenso, combattivo, al di sopra della media italiana perché mulo abruzzese e mezzo svizzero, un vero europeo che parlava un francese d'altri tempi, Celebrati i suoi vizi: il digiuno, le rillettes, l’abbuffata da voracità, anche non gourmet, il fumo praticato fino alla fine longeva in spregio a ogni possibile moralismo una nozione fantastica e pregevole del libero amore corroborata da affetti sponsali mai rinnegati, anzi coltivati con inaudita tenerezza.
Che tipo unico. Con i suoi successi variopinti, chiassosi, con la sua incredibile durata che rendeva effimeri i progetti politici ben altrimenti sostanziati dei partiti e delle leadership tradizionali. Con le sue lealtà inossidabili e con le proditorie slealtà verso chi sbagliava il tratto politico e strumentale di cui menava vanto, considerandosi da sempre, lui e il suo partito, una forza dirigente e di governo del paese, non un’adunata protestataria.
Con le sue sconfitte, prima tra tutte quella dell’amnistia, sacrosanto traguardo impossibile di una repubblica inciprignita nel suo indecoroso giustizialismo a spese altrui, in particolare dei detenuti che non cesseranno mai di amarlo possessivamente. Non c’è caso e causa celebre nella quale non abbia fatto la scelta giusta, e perfino per Toni Negri bisogna riconoscere, mi costa parecchio, che per quanto tradito da un comportamento indecente non aveva tutti i torti.
E non parliamo di Tortora, una storia che abbiamo cancellato solo per moltiplicarla indegnamente, fino alle recenti chiassate manettare contro il “Parlamento degli inquisiti” che Pannella convoco da vero Robespierre, da vero Incorruttibile borghese e laico, e protesse finché poté.
Pannella andava col diavolo, poteva civettare perfino con un Grillo o un Casaleggio, e diffidava delle battaglie angeliche. È un suo merito storico, anche per chi non abbia mai avuto lo stomaco di seguirlo e abbia preferito la stupidità della testimonianza alla sottigliezza della manovra. Sapeva riconoscere la poesia della vita in ogni anfratto dell’esistenza sua e degli altri, e indulgeva senza compiacimento a una colleganza d’amore con i suoi pari, cioè con tutti.
Fu superbo nell’umiltà e molto umile in tutte le sue superbie. Torreggiava. Agitava la coda di cavallo. Esibiva le dita fumanti. Aveva occhi vigili e bellissimi. Come diceva un mio vecchio amico quando Pannella compariva sempre in televisione protestando perché era escluso dalla televisione, si vestiva da morto.
Cravatte e giacche improbabili, doppi petti da sballo. Ma poteva vestirsi da morto perché era un tipo davvero molto vivo, un capo naturale, un testardo, un uomo geniale che non può che mancare a un paese lasciato, anche da lui - diciamolo - nel caos del più totale rincretinimento.
* (da Il Foglio)