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18/11/24 ore

L’ombra di Putin su una debole Europa



di Angelo Panebianco

(dal Corriere della Sera del 13 gennaio 2017)

 

Una volta pronunciate le frasi di rito («I paralleli storici sono sempre rischiosi», «Le vicendesono tutte diverse», eccetera), è il caso di domandarsi se l’Europa, a fronte della Russia di Putin, non sia alla vigilia di una congiuntura che ne ricorda altre: per esempio, quella in cui si trovò Atene nel IV secolo avanti Cristo quando subì la politica espansionistica del re macedone Filippo II (il padre di Alessandro Magno).

 

Se il paragone vi sembra spericolato, considerate i fatti. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, un’altra grande potenza ha interferito nella campagna presidenziale per favorire, con i suoi cyber attacks, l’amico Donald Trump e danneggiare la nemica Hillary Clinton. Per giunta, forse Trump dice il vero quando sostiene di non essere ricattabile da parte dei russi e forse no. Anche nell’ipotesi migliore, gli Stati Uniti — il «Lord protettore» dell’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale — sono pronti, come Trump ripete, a stabilire una partnership permanente con la Russia. Non è difficile indovinare a spese di chi.

 

Il possibile tramonto delle relazioni atlantiche come le abbiamo conosciute può lasciare l’Europa allo scoperto, in una posizione di grande debolezza, può spingerla a un accordo con i russi alle condizioni di questi ultimi. Più in generale, hanno probabilmente ragione coloro che sostengono che la politica di Trump rischia di terremotare la sicurezza e l’economia.

 

La politica di Trump (anche per il suo atteggiamento pro business anziché pro mercato come ha scritto Luigi Zingales sul Sole 24 Ore, 8 gennaio), potrebbe smantellare quel sistema di relazioni politiche, economiche e di sicurezza — il «mondo libero» dei tempi della Guerra fredda — di cui gli Stati Uniti sono stati l’egemone e il garante. Accelerando così il declino, già in atto da tempo, della stessa potenza americana. Siamo forse alla vigilia di un cambiamento geopolitico radicale.

 

Si consideri poi la Russia. È una potenza continentale che, come tutte le potenze continentali della storia, ha sempre privilegiato l’espansione territoriale rispetto a quella commerciale, è abituata da secoli a imporsi sui vicini usando, se occorre, la forza militare. Storia e cultura la spingono in quella direzione. Prendendosi la Crimea con la forza (e violando così la regola, sulla quale si fonda la pace in Europa, secondo cui gli eventuali mutamenti dei confini debbano avvenire in modo consensuale) ha rispettato la tradizione, ha fatto ciò che un tempo fecero sia gli zar che i capi sovietici.

 

Certamente, Putin ha anche reagito ad errori di valutazione e ad arroganze occidentali ma questo non basta a nascondere il fatto che la dirigenza russa agisca seguendo, da secoli, lo stesso copione: agita la minaccia dell’«accerchiamento internazionale» per giustificare l’imperialismo territoriale e garantirsi così il consenso interno. La sua politica estera rispecchia la storia di un Paese che non ha mai conosciuto la democrazia liberale.

 

Oggi, si dice, ha forse conquistato, con Putin, il massimo di democrazia che le sia concesso. Ma si tratta di una democrazia autoritaria, non liberale, che spazza via con la forza gli oppositori interni più temibili. Poiché, come dicono gli esperti di Russia, Putin è comunque il meglio che ci sia su piazza, si immagini cosa potrà diventare la Russia dopo di lui. Una potenza continentale illiberale è un pericolo per le libertà dei suoi vicini.

 

Si consideri infine l’Europa. È divisa, confusa, spaventata. La sua integrazione è a rischio di sfaldamento a causa della potente crescita al suo interno di forze antieuropeiste. Subisce l’attacco del terrorismo islamico. Abituata per settant’anni a delegare la propria sicurezza agli Stati Uniti non è in grado di farvi fronte autonomamente. Quando arriverà il momento, Putin sarà pronto a offrire all’Europa non solo convenienti accordi commerciali, ma anche aiuti contro il terrorismo. E l’offerta sembrerà credibile tenuto conto anche del ruolo che la Russia si è conquistata in Medio Oriente. Messi di fronte alla possibilità che una — geograficamente vicina — potenza continentale illiberale scalzi a poco a poco, nel ruolo di «Lord protettore», l’antica potenza liberale, gli europei si divideranno fra pro russi e anti russi.

 

Il partito pro russi è già molto forte in Europa (e Putin lo blandisce e, in parte, lo finanzia). È alimentato da due correnti, il tradizionale antiamericanismo delle sinistre vecchie e nuove, e il cosiddetto «sovranismo» degli antieuropeisti: le forze contrarie all’Unione europea sono anche, quasi tutte, filorusse. In Francia poi non solo Marine Le Pen ma anche il favorito alle Presidenziali, il repubblicano Fillon, è filorusso. Si aggiunga che il partito pro russi è sostenuto da un’ampia coalizione di interessi economici che ha subito le sanzioni per la Crimea e vuole fare affari con la Russia liberamente.

 

Il partito contrario sarà soprattutto alimentato, plausibilmente, da quei Paesi (Polonia, Baltici, e altri) che hanno subito, fino a pochi decenni fa, l’imperialismo della Russia e temono una nuova crescita della sua influenza politica. Come nel caso degli ateniesi del IV secolo, ci saranno europei che vorranno saltare sul carro del vincitore e altri che cercheranno di resistere ricordando ai propri concittadini, come fece il grande oratore Demostene, che accettare le condizioni poste da una potenza autoritaria significa mettere a rischio, prima o poi, le proprie libertà.

 

Non si tratta di negare che una qualche forma di convivenza con la Russia debba essere cercata. Ma si tratta di capire che Russia e America non sono equivalenti e che stabilire un accordo con la prima senza la protezione e la garanzia della seconda significa rassegnarsi ad avere un’Europa per sempre debole e divisa (l’integrazione europea non conviene ai russi) e soggetta alle pressioni di un mondo illiberale.

 

È vitale che gli europei si rendano pienamente conto del cambiamento geopolitico innescato dal declino americano e accelerato dall’elezione di Trump (e da Brexit). Per non essere impreparati, per cercare di strappare agli americani il massimo possibile di garanzie politiche, quando Trump e Putin cercheranno di accordarsi.

 

(dal Corriere della Sera del 13 gennaio 2017)

 

 


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