Il 7 luglio 2005, dopo quelli di New York e Madrid, il terrorismo di matrice islamista fece tappa a Londra: Sotto gli occhi dell'Occidente, dunque. Un Occidente stanco e svogliato a cui in una mattina di mezza estate è stato riservato un brutto risveglio. La dinamica degli attentati, ma soprattutto gli autori, cittadini musulmani di nazionalità britannica, fecero vacillare alcune presunte certezze sul modello di società libera, multietnica e multiculturale di cui Londra è la massima espressione.
Al tema Quaderni Radicali dedico il primo piano del numero 92 , per discutere di questioni legate a quelli che molti già allora consideravano la "terza guerra mondiale". Fra gli interventi, quello di Khaled Fouad Allam a colloquio con Anna Mahjar-Barducci e Giuseppe Rippa - che qui riproponiamo - risulta essere di strettissima attualità a distanza di quasi dieci anni e all'indomani del massacro di Charlie Hebdo.
Khaled Fouad Allam
a colloquio con Anna Mahjar-Barducci e Giuseppe Rippa
(da Quaderni Radicali 92 luglio-agosto 2005)
[RIPPA] A Venezia Lido un gruppo di intellettuali arabi liberali ha discusso, nel convegno promosso da “Non c’è pace senza giustizia” nello scorso luglio, della questione mediorientale, del mondo arabo, del conflitto al suo interno tra domande di modernità e democrazia e cultura tribale, del rapporto con l’Occidente. Qual' è la tua interpretazione di questo conflitto, riletto anche alla luce degli attentati di luglio? Nella relazione al convegno hai sottolineato - con rammarico - quanto sia sbagliato l’atteggiamento che l’Occidente ha, anche da un punto di vista antropologico-culturale, nei confronti della realtà araba. La sua diffidenza nei confronti di un modo di essere liberale da parte di settori sempre più ampi dell’Islam, ritenendo quest’ultimo agli antipodi di una cultura liberale...
(FOUAD ALLAM) La riflessione che ho avuto modo di avviare - anche se il tempo era molto breve - voleva sottolineare specificatamente che spesso noi chiediamo alla politica troppe cose, ma la politica e sempre un punto di arrivo che consacra l‘evolversi di situazioni che a monte preparano del cambiamenti. Senza dubbio è vero il fatto che una certa cultura in Occidente tende a chiedere al mondo arabo-islamico l’apertura alla democrazia e a valorizzare forze democratiche in questi Paesi; se pensiamo che i mass-media (giornali, televisioni) sono vettori importanti della creazione di uno spazio democratico, spesso però dimentichiamo che a monte dei processi di democraticizzazione ci sono dei cambiamenti che sono anche dei cambiamenti soggettivi, culturali – io li chiamo logici e antropologici - che non vanno dimenticati dalla politica, ma che all’inverso vanno aiutati dalla politica stessa.
Dimentichiamo spesso che la democrazia, nella sua storia e nella sua genesi anche in Occidente, è la consacrazione di un cambiamento strutturale nel rapporto tra uomo e comunità, la sua spaccatura. Questo processo ha fatto si che a partire dal ’600/700 tutta la cultura occidentale ha dato vita a questo tipo di uomo che e l’individuo. Questo processo antropologico è mancato nel mondo arabo islamico. Questo è probabilmente all‘origine della sua incapacità a pensare alla democrazia, e anche ai sistemi politici, in termine di promozione e di emancipazione dell’individuo. ll mondo arabo continua ad auto-pensarsi in termini di appartenenza a gruppi variegati. I motivi di questo stato di cose sono numerosissimi. C’è il fattore religioso, c’è certamente il fatto che l’assetto della società nel mondo arabo-islamico e stato veicolato essenzialmente da strutture sociali in funzione di appartenenza di tipo tribale, clanistico o di gruppi. Questo ha impedito il passaggio nel corso del ‘900 ad una democrazia compiuta. Si e utilizzata la parola democrazia soltanto pero da un punto di vista lessicale e formale non nei contenuti.
Quando analizziamo anche i sistemi giuridici che riguardano le persone, il diritto di famiglia, è palese ad esempio, che lo stesso diritto di famiglia - che è un diritto essenzialmente di matrice mussulmana - esprime il suo principale aspetto nel senso di appartenenza al gruppo e non il contrario. L’individuo si definisce in base all’appartenenza al gruppo. Questa e una caratteristica del modo di strutturarsi di queste società che oggi è totalmente rimesso in causa. E questo che la politica e il mondo occidentale dovrebbe capire.
Il rapporto tra individuo e gruppo ha tutta una sua storia. Nel ’900 il rapporto tra individuo e gruppo dimostra che le società arabo-islamiche hanno espresso più intensamente questa crisi, che e la grande crisi del mondo arabo-islamico nel nostro tempo. Da qui nasce l’esigenza della sua riformulazione.
Cosa si deve intendere per riformulazione? I vecchi vettori portanti dell’ideologia di appartenenza antropologica di gruppo sono andati in frantumi durante tutto il ’900 sotto diversi aspetti. L’aspetto dell’occidentalizzazione, quello diretto e indiretto della colonizzazione, l’aspetto del cambiamento: il mondo arabo-islamico non è più come quello dei miei genitori o dei miei nonni; e poi le culture urbane... Tantissimi elementi che fanno si che si e assistito durante il ’900 ad una destrutturazione di questo mondo. Questa destrutturazione ha fatto si che i vecchi modelli in cui il mondo arabo-islamico definiva la sua architettura politica e religiosa siano franati, senza accogliere totalmente ciò che era necessario al suo processo di modernizzazione, vale a dire la necessità di avere nell’elemento di formazione democratica l’individuo: il grande assente del mondo arabo. L`individuo come dato auto-politico e politico, presente in alcune forme di contestazione che sono ancora le contestazioni culturali presenti (vedi ad esempio la questione della letteratura araba contemporanea, sia femminile che maschile, è uno slancio verso la ricerca di libertà e di personalità dell’individuo), ma non interviene ancora come massa critica, come vettore portante di quello che potrebbe esser la reale costruzione di uno spazio democratico.
Tutti gli effetti di resistenza ad un processo di democratizzazione partono da questo enorme blocco antropologico. Nel mondo arabo-islamico, in tutto il percorso storico del ’900, lo Stato si è creato contro la sua propria società. Ha avuto una matrice di ideologia di gruppo, di identità collettiva, o attraverso un islam acculturato o attraverso il nazionalismo arabo, ma non ha mai promosso l'individuo che poteva realizzarsi nella propria società. Il risultato sono anche due tendenze contrastanti. Da una parte, sotto gli effetti dell'acculturazione/deculturazione del mondo musulmano, una ideologia che tende a rafforzare paradossalmente l’ideologia di gruppo (vedi fondamentalismo, radicalismo ecc.) e, dall’altra, - in modo minoritario - una tendenza che delinea una richiesta di promozione dell’individuo.
Le battaglie delle donne nel mondo arabo-musulmano vanno individuate essenzialmente nella promozione della donna come individuo, come soggetto autonomo e libero. Tutto questo va conquistato attraverso gli strumenti della democrazia, gli strumenti culturali che possono permettere la costruzione di questo spazio democratico. Dunque un mondo spaccato tra due tendenze: da una parte un mondo che non esiste più e dall’altra parte un mondo che non c’e ancora; che pero va costruito. Fra i due il pericolo della destabilizzazione del terrorismo, il ripiegamento di tipo comunitario di queste società.
[RIPPA] Partendo dallo scenario politico e culturale del mondo arabo-islamico che hai descritto, come giudichi l’altra crisi che sembra scorrere in parallelo e con caratteri profondamente diversi: la crisi europea? Si parla di declino dell’Europa, non solo geopolitico, ma psicologico. II vecchio Continente sembra sempre più fuori dagli scenari mondiali e sempre più impotente a dare forza ai valori di cui è nutrita la sua storia. Lo Stato di diritto, i diritti individuali, i diritti deIl’uomo; quelli che tu sottolineavi essere determinanti nel conflitto in corso, e che sono il perno della civiltà europea, sembrano evaporati nell’azione politica e strategica delle istituzioni comunitarie anche dei singoli Stati che compongono I’Ue. Perché I’Europa sembra indifferente alla domanda liberale del mondo arabo? Perché dubita che possa esservi una cultura arabo liberale e si muove tra demagogie, filosofie multiculturali confuse e pericolose e suicide spinte nazionalistiche...
[MAHJAR-BARDUCCI] Credo che I’Europa, e l'Occidente tutto, non si siano ancora accorti che nel mondo arabo esiste già un dibattito interno; portato avanti dai liberali arabi. Finché non se ne renderà conto, non avrà nessun intellettuale valido. Sono proprio gli arabi liberali che in questo momento vanno ascoltati. Il futuro dello stesso Occidente dipende da ciò. Se loro vincono o perdono ne va del futuro dell’Europa e di conseguenza di tutto l'Occidente. Sia nei media che nei giornali esiste già un dibattito. Ne ho accennato nel mio intervento a Venezia Lido... (vedi su questo numero della rivista l’intervento di Anna Barducci Mahjar su mass media e intellettuali arabi Iiberali - ndr). Una parte dell’Europa non crede che esistano intellettuali arabi liberali. Per altri il giudizio e sostanzialmente simile: non sono rappresentativi, sono una minoranza, non contano... E invece bisognerebbe operare con tutt’altro atteggiamento. Aiutandoli, facendoli parlare di più. Non si capisce infatti il motivo per cui altri - guarda caso portatori di idee fondamentaliste - vengono invitati dai nostri atenei a tenere conferenze. Ci sono pure i finti liberali adusi ad un doppio linguaggio.
[RIPPA] Dove si forma il terreno di coltura del terrorismo islamico fondamentalista? Come lo si può annullare nel suo mortale messaggio?
(FOUAD ALLAM) Ci sarebbero tante cose da dire, ma una cosa mi sembra importante nella logica del discorso che tengo spesso a fare. In realtà quando noi guardiamo alla sequenza della storia, dal ’900 fino all’11 settembre, appare evidente che l’Occidente ha abbandonato il mondo arabo. Non negli ultimi due o tre anni, ma da tempo, non avendo più provveduto a fornire allo stesso delle linee di lettura con la fine della guerra di Algeria; con gli accordi di Evian del 1962. Tutto ciò accadeva per una serie di motivi. Da una parte questi Stati si formavano all’interno di una logica geopolitica che era quella detta guerra fredda (Conferenza di Vandum, terzomondismo, non allineati ...). Fisicamente il mondo arabo non è più stato presente. Paradossalmente oggi si conosce molto meno del mondo arabo di quanto si conosceva ai tempi delle colonizzazioni. Non si conosce quasi più niente; e i lavori che facevano - per esempio – le amministrazioni militari civili erano molto più pregnanti da un punto di vista della comprensione, di lettura di queste società, di quanto sono oggi i nostri livelli di conoscenza. Oggi c'è il nulla. Non c’e più la permanenza di questi soggetti e non sarà una persona che fa un dottorato di ricerca per tre mesi, sei mesi o un anno che arriva a capire le modalità con cui funzionano queste società.
Il secondo punto e che l‘Europa è stata “furba". Ha preferito i dialoghi con i governi e non con i popoli. Questi sono elementi che fanno capire perche si è assistito ad un distacco progressivo - che io chiamerei epistemologico - nel senso di fornire dei quadri concettuali di questo mondo; per capire il modo in cui questo mondo poteva essere aiutato. Questa mancanza di quadri di riferimento ha determinato come un corto circuito della storia, si è utilizzato un circuito interpretativo legato a delle vecchie icone. Una rappresentazione stereotipata del mondo arabo-musulmano. Gli esempi più eclatanti sono di quei Paesi che vengono proposti nel modo più scontato (perche c’è una religione… perché c’è una storia millenaria… perché c’è una lingua...). E incredibilmente la visione “culturalista”. L’assenza di una cultura (di uno strumento critico cioè) ha fatto sì che l‘Europa sia caduta in una visione di tipo culturalista - e in fondo ideologica - che ha impedito di vedere la realtà. Per esempio che in questi Paesi ci sono delle lotte e di queste lotte nulla si conosce in Occidente.
Si possono fare numerosi esempi di persone che hanno scritto un verso, e solo per questo hanno fatto sei mesi di prigione, perché era una cosa che non piaceva al governo. Non aver saputo accogliere questo e stato un peccato per l’Europa. Qualcuno lo ha fatto. Forse un po’ tardi, ma lo ha fatto e lo sta facendo. Forse gli Stati Uniti lo hanno fatto. Poi si può criticare il discorso guerra e non guerra, questo è un altro discorso. Però hanno capito che c’erano delle lotte all’interno di queste società. Anche perché dimentichiamo spesso - per esempio - che quando sono andati via i Francesi dall’Algeria, ci sono state delle missioni antropologiche americane in Marocco, nella stessa Algeria, in Egitto molto importanti, che hanno cercato di capire il mutamento di queste società. Penso ad un antropologo che insegna a Berkley, che ha scritto un bellissimo saggio, è stato un allievo di Foucault e un suo assistente Paul Rubinoff.
[RIPPA] Questo approccio ci consente di rompere quel clima di convenienza intellettuale a cui l’Europa ha affidato il suo percorso in questi anni. Quest’Europa che si desertifica e che perde slancio e speranza, prospettiva e fermezza. Respira il clima suicida della prima e della seconda guerra mondiale. Non riesce e non sa darsi ruoli geo-politicamente rilevanti. Dove identifichi oggi il punto di crisi politico-culturale più grave per l’Unione europea e per le nazioni che la compongono?
(FOUAD ALLAM) Sempre in un’ottica comparativa devo dire che il punto è rintracciabile nell’incapacità dell’intellettuale a guardare la politica. Il fatto che questo riguarda principalmente l’Europa. Infatti mentre negli Stati Uniti si può criticare l'analisi politica degli intellettuali intorno all’attuale amministrazione, avere un giudizio di valore opposto a quello da loro espresso, e contro di essi si esprimono altri intellettuali che sul fronte contrario pensano alla politica, nel senso della polis non nel senso ideologico della parola, come popoli e culture possono convivere insieme, bene io trovo palese la dimissione dell’intellettuale in Europa. La loro incapacità a pensare ciò che il mondo è diventato. Non si sono accorti che gli esseri umani sono anche un po’ cambiati in questi ultimi trent'anni. Il non saper leggere questo - anche se nelle turbolenze, nei tormenti del tempo presente - è gravissimo. E gravissimo perché la politica non è un sapere assoluto, ha bisogno di strumenti critici. Questo è grave. Se gli strumenti di lettura non li forniscono gli intellettuali, ecco che si determina la gravità di una frattura tra politica e cultura. Se questo accade, la politica non e più capace di pensare agli strumenti di innovazione, di pensare a ciò che e la causa dei tormenti ma e anche la premessa del cambiamento. Gli uomini lottano; e io non posso non rilevare la figura di maggior coraggio che appare essere un Blair di fronte a tanti altri leader.
A dire il vero conosco poco la società inglese, e proprio per questo non mi sento di dare un giudizio complessivo. Ma se penso a quello che scrivono i Francesi, i Tedeschi, gli Spagnoli... gli Italiani, ebbene non posso non dire che e uno scenario veramente deludente. Non ci meravigliamo, dopo questa dimissione dell’intellettuale, che il discorso cada facilmente poi nelle immagini contro stereotipate, come ad esempio il discorso della Oriana Fallaci. E una conseguenza logica di tutto questo. ln quelle condizioni epistemologiche non ci si può aspettare altro.
[MAHJAR-BARDUCCI] Mi volevo collegare a quanto affermato da Fouad poc’anzi. Non bisogna leggere e associare l’idea del mondo arabo ad una realtà monolitica. Si tratta di realtà profondamente differenti. Il Maghreb è differente dalle altre realtà del Medio oriente, cosi come ovviamente la realtà che esiste in Tunisia è diversa da quella del Marocco. Quella della mancanza di libertà di stampa è un fatto assolutamente reale. Gli intellettuali liberali, risentono moltissimo questa realtà. Non riescono assolutamente ad esprimere la propria opinione. In Paesi come ad esempio la Tunisia, gli intellettuali arabi liberali sono strumentalizzati. Da un lato sono utili ai regimi perché contrastano il fondamentalismo, ma da un altro lato, proprio perché essi chiedono la democrazia, sono contrastati dai poteri autoritari dei cosiddetti Stati arabi moderati che hanno paura di perdere il potere (penso per citare un caso a Zine EI Abidine Ben Ali in Tunisia). Nei loro Paesi gli Arabi liberali non hanno piena libera di espressione, ma non l’hanno nemmeno in Occidente, poiché l’Occidente non li ascolta, li dimentica, non li considera...
(FOUAD ALLAM) Non sono ritenuti soggetti della storia. Lo stesso atteggiamento che gli Europei avevano avuto con gli intellettuali slavi, negli anni '50 e ‘60. Si pensava che il mondo slavo sarebbe stato un mondo del tutto refrattario alla democrazia e alla libertà. Non esisteva l’intellettuale slavo dissidente. Soltanto anni e anni dopo si è riusciti a spezzare questa cappa neri confronti dei processi del mondo. Oggi avviene nello stesso modo nel confronti del mondo arabo. Ma se si può in un modo ancora peggiore poiché c’è la questione del terrorismo.
[MAHJAR-BARDUCCI] Sì, la questione del terrorismo. È incredibile come l’Occidente non avverta che sono proprio gli intellettuali arabi liberali la chiave per parlare agli immigrati in Europa. In fondo tutto ciò che accade, nel villaggio globale, nell’era mediatica, si ripercuote inevitabilmente nelle comunità musulmane in Europa. Quindi essi sono una voce fondamentale per arrivare a quei giovani di seconda generazione, la cui identità è giudicata debole. Essi sono integrati al cento per cento nella vita sociale, ma quando ritornano a casa vivono la loro vita di marocchini, di tunisini, di magrebini che in Italia sono una comunità vastissima. Molto spesso si fanno trascinare da quello che è il rafforzamento dell’identità dell’lslam che viene strumentalizzato dai fondamentalisti. Accade che gli immigrati si vergognino anche delle proprie origini. Sarebbe necessario, da parte dei governi europei, comprendere tutto questo.
La lotta al terrorismo, la capacita di impatto che sugli immigrati di seconda generazione è giocata tutta nello scontro tra fondamentalisti e liberali. A Londra erano giovani londinesi gli autori degli attentati, musulmani, ma in questo caso pakistani e non arabi. Molti amici liberali arabi mi ripetono che l’Europa - che ritiene di aver avuto il suo illuminismo - non si è resa conto ha bisogno di un secondo illuminismo. Con l’immigrazione sono mutate molte cose, l’illuminismo sembra aver terminato la sua spinta propulsiva. Un’ultima considerazione sul discorso degli stereotipi, ad esempio quelli della Fallaci. Si sente spesso ripetere, alla televisione come scritto sui giornali: l’Islam moderato non esiste; non esistono islamici con cui dialogare. Di Islam non esiste soltanto uno. Come tutte le religioni, il cristianesimo, l’ebraismo, ha avuto tante facce durante la storia. Di una religione si può prendere, si può fare quello che si vuole. lo dico che esiste un Islam illuminato, esente un Islam delle riforme; delle persone nel mondo arabo che stanno lavorando per portare avanti delle interpretazioni che siano al passo con i tempi, che sappiano interpretare la domanda di modernità che viene dalle nuove generazione e che viene sopraffatta da governi dispotici e da fondamentalismi religiosi. Si tratta di posizioni che non sono in contraddizione coi principi dei diritti dell’uomo. La stessa Università Azeituna di Tunisi ha tagliato radicalmente i ponti con quelle che erano le interpretazioni e le tradizioni medioevali a cui si rifanno i terroristi dei nostri giorni. Se l’Europa non capisce che l'Islam liberale, la sua nuova interpretazione è la chiave di tutto e che lo scontro è tutto interno al mondo arabo e che bisogna schierarsi, rischierà molto.
(FOUAD ALLEM) Le slide che I’Europa non sa accogliere di fronte anche a queste emergenze, a questi cambiamenti, a queste turbolenze, sono un segno che non può non preoccupare. Anche nello stesso lessico, nello stesso vocabolario, noto che c’è una parola assente. Questa parola è Europa. All’interno dell’Europa essa è assente. E quello che si registra è che su molti dei fatti che accadono nel mondo prevale un ricorso a categorie ottocentesche, che sono le categorie dell’identità e della nazione. La grande slide e proprio quella, come negli Stati Uniti, di definirsi europei come li si definisce americani. Ancora non siamo riusciti. Fra i due tentativi, quello dell'Europa come insieme di nazioni, finisce per essere la registrazione di tutte le turbolenze della storia attuale. Noi potremmo, e dovrebbe uscire un po’ dalle direttive di tipo meramente culturale e arrivare ad un sistema di architettura politica che sia un sistema garante non solo di identità ma capace di offrire qualcosa di più. Questo qualcosa di più significa una democrazia allargata, ma |’utilizzo stesso della parola Europa è tristemente assente nel nostro vocabolario quotidiano. E la dice lunga sulle nostre resistenze e sulle nostre incapacità a pensare il mondo come dovrebbe essere pensato.
[MAHJAR-BARDUCCI] Vorrei aggiungere soltanto una cosa sulle riforme che molto spesso vengono liquidate come impossibili da realizzare. Bene non è cosi. Ho criticato spesso la Tunisia, ma non si può non riconoscere che li sono state realizzate importanti riforme strutturali che riguardano gli individui. In Tunisia é stata abolita la poligamia. Mohammed Abdu nel 1905 aveva dato una interpretazione del versetto coranico che parla della poligamia. Nel Corano c’è scritto che si possono dare soltanto una, due, tre, quattro mogli. Ma se l’uomo non sa essere giusto allora ne può sposare soltanto una. Mohammed Abdu disse: siccome l’uomo non può essere giusto, ecco che il Corano dice che l’uomo è monogamo. Se chiedo a qualche tunisino se abolire la poligamia vada contro il Corano, mi rispondono che no, esso prevede la monogamia. Ecco questo mi pare un perfetto esempio per dire che le riforme sono possibili.
(FOUAD ALLAM) Le riforme esistono, come hai detto giustamente, da oltre cento anni. Vi sono teologi che hanno pensato fin dall’inizio del ‘900 alla questione dell’attuazione dell’ermeneutica del discorso religioso e dunque del Corano. Il problema è quello di un sistema democratico in cui calare queste riforme. Come tradurre democraticamente queste riforme. E su questo che si gioca il problema politico. Il problema di aiutare chi lotta politicamente. La politica e dialettica, e lotta. Se non ci si accorge che c’è gente che lotta per questo o quel diritto, mi pare evidente che questi mondi si allontanano e diventano sempre più distanti.
(da Quaderni Radicali 92 luglio-agosto 2005)