«La costruzione di una nuova Europa è innanzitutto una grande questione democratica, e proprio per questo deve investire l'opinione pubblica e non essere un affare per pochi». A sostenerlo è Emma Bonino, vice presidente del Senato, autrice assieme a Giuliano Amato, Jacques Attuali e Romano Prodi del manifesto-appello «Il federalismo che può salvare l'Europa».
Perché e come il federalismo potrebbe salvare l'Europa?
«Una premessa è d'obbligo. Quella a cui stiamo assistendo oggi è una tregua che non dobbiamo sprecare ma utilizzare non solo per dare soluzione alla crisi ma anche e soprattutto per gettare le basi di una unione politica in tempi brevi».
Questa la premessa. E la prospettiva strategica per cui il federalismo può salvare l'Europa?
«Innanzitutto per dimensione di scala. Nel senso che in un mondo globalizzato, nessun Paese europeo da solo, neppure la potente, per ora, Germania, ha le dimensioni adeguate per essere influente. Ma al di là di questo dato che oggi è più evidente a tutti il federalismo rappresenta il superamento di quella peste bubbonica che è il nazionalismo ovunque nel mondo e che è stato in Europa. Tant'è che nostri padri fondatori avevano in mente gli Stati Uniti d'Europa "proprio per la pace"».
Si tratta dunque di una questione politica e non «contabile»?
«Assolutamente sì. Dall'inizio della crisi non mi stanco di ripetere che essa non è tanto finanziaria ma è una crisi di governance politica. Non è mai esistita al mondo una moneta unica, stabile e forte, senza uno Stato di riferimento. Helmut Kohl (il cancelliere della riunificazione tedesca e del Trattato di Maastricht, ndr) disse: Oggi abbiamo l'accordo per la moneta, la politica seguirà».
E invece?
«Di fatto l'euro è stato un tale successo che la necessità dell'integrazione politica si è come anestitizzata. Tanto è vero che c'è stato un lunghissimo periodo in cui anche solo dirsi federalisti era una cosa a metà tra peccato e reato. E siamo rimasti in pochissimi in questo periodo a tenere viva e necessaria l'integrazione europea».
Quali passaggi concreti per rafforzare questa prospettiva federalista?
«Il primo passaggio concreto, per me, è l'informazione all'opinione pubblica: dar vita a una campagna per una nuova Europa che consenta un vero dibattito europeo sulle elezioni del 2014. L'integrazione non può essere solo burocratica o finanziaria, ma deve avere procedure ed istituzioni democratiche in cui i cittadini europei possano riconoscersi per davvero. Penso ad una integrazione politica che, facendo tesoro delle lezioni di questa crisi, arrivi, ad esempio, ad una politica estere e di difesa comune.
Di una cosa sono arciconvinta: la costruzione di una nuova Europa è innanzitutto una grande questione democratica, e proprio per questo deve investire l'opinione pubblica e non essere un affare per pochi e di pochi. Mi pare cresca la consapevolezza che aver ri-nazionalizzato tutte le scelte, da quando è scoppiata la crisi, è stata la scelta sbagliata. Oggi tutti sembrano rendersi conto che si è agito troppo poco, troppo tardi, senza avere una chiara visione del futuro».
Muoversi sulla strada di una Europa federale non implica cessione di sovranità nazionale da parte dei singoli Stati del l'Ue?
«Certamente implica una cessione di parte di sovranità nazionale verso e per una sovranità accresciuta con tutte le garanzie democratiche necessarie. Non è una perdita di sovranità nazionale, è un accrescimento di sovranità condivisa. Il federalismo europeo oggi è l'unica strada per salvare l'Europa. E lo è anche perché l'evoluzione del pensiero federalista ha superato i confini dei piccoli gruppi»
Jacques Attali, parla di federalismo di necessità
«Non è la mia definizione. Per quanto mi riguarda, e non certo da oggi, preferisco parlare di un federalismo per convinzione».
Umberto De Giovannangeli
(da L'Unità del 1 agosto 2012)