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16/11/24 ore

Bonino. Gioia Tauro, sono male informati, quel porto ha già gestito sostanze tossiche simili



di Danilo Taino (Corriere della Sera - 17 gennaio 2014)

 

Il ministro degli Esteri Emma Bonino dice che «tutte le opzioni sono sul tavolo», per quel che riguarda la vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due fucilieri di Marina trattenuti in India accusati di omicidio. Soprattutto se fossero imputati sulla base di una legge che prevede la pena capitale. Tra le opzioni non escluse, anche un'offensiva per allontanare l'ipotesi che New Delhi ottenga un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: una promozione allo status di potenza alla quale i governi indiani tengono molto.

 

 

In questa intervista Bonino parla anche della scelta del porto di Gioia Tauro come luogo di trasbordo da una nave a un'altra dei materiali provenienti dall'arsenale di armi chimiche della Siria che ha sollevato forti proteste. «Il sindaco di Gioia Tauro - dice - forse non ha tutte le informazioni: nel 2013, il porto ha gestito 29.802 tonnellate, su 1.508 container, di sostanze tossiche categoria 6.1, che è la stessa di quella del materiale in arrivo dalla Siria, cioè 560 tonnellate di puro trasbordo».

 

Iniziamo con i due marò. La petizione dell'Italia alla Corte suprema indiana finalizzata allo sblocco del processo ha cambiato qualcosa?

 

«Abbiamo chiesto alla Corte suprema di chiarire come mai la Nia (l'agenzia investigativa antiterrorismo indiana, ndr) non abbia saputo dare corso alle indicazione della Corte stessa che il 18 gennaio di un anno fa indicava il luglio successivo come data di inizio del processo. Il dato di fatto è che ora l'atteggiamento indiano è cambiato: il ministro degli Esteri ha espresso il suo imbarazzo ed è venuta alla luce in modo pubblico la divergenza tra il ministero degli Esteri e quello degli Interni».

 

Cosa può rispondere la Corte?

 

«Può anche ribadire che il Sua Act (la legge che prevede la pena di morte per terroristi, ndr) non è applicabile ai fucilieri».

 

Se gli indiani decidono invece di procedere con il «Sua Act», l'Italia è pronta a rispondere?

 

«In quell'eventualità tutte le opzioni sono sul tavolo. Domani (oggi per chi legge, ndr) ci sarà una nuova riunione della "squadra marò" del governo, con Enrico Letta, Staffan de Mistura, l'avvocatura dello Stato, i rappresentanti dei ministeri degli Esteri, della Difesa, dell'Interno e della Giustizia. Si tratta di una squadra messa in piedi con il preciso scopo di evitare che ci siano inerzie e prime donne. Un metodo che condivido molto».

 

Ma il governo è pronto a internazionalizzare la questione?

 

«Sul piano diplomatico è già internazionalizzata. Semmai si tratta di rafforzarla, ma la questione non è più solo italiana. Ne è coinvolta l'Unione Europea, il consiglio dei ministri degli Esteri della Ue ne tratta da tempo, gli americani sono stati coinvolti. Ho scritto una lettera a Navanethem Pillay (l'alto commissario dell'ONU per i diritti umani, ndr) per testare la situazione. E altre strade possono essere esplorate, oltre a quella di arrestare i colloqui di liberalizzazione commerciale tra Ue e India: strade più politiche».

 

Per esempio? Tra le opzioni rientrano anche possibili iniziative sulla riforma dell'ONU?

 

«Speriamo di non arrivare a tanto. Certamente il comportamento dell'India nel caso dei fucilieri non la facilita agli occhi della comunità internazionale. Ci sono questioni internazionali che non si muovono molto: le possiamo raffreddare di più».

 

Una delegazione del Parlamento dovrebbe partire per Delhi. Positivo?

 

«Se vanno come squadra, guidati dai presidenti delle commissioni Esteri e Difesa è positivo. Non lo è se torniamo alla modalità delle prime donne».

 

In Italia c'è chi boicotterà i festeggiamenti per la festa della Repubblica il 24 gennaio.

 

«Niente di male a fare notare la propria profonda insoddisfazione. Quel che mi irrita molto sono invece gli insulti e i toni sguaiati contro di me da persone e partiti che nella vicenda hanno responsabilità ben maggiori delle mie».

 

Veniamo a Gioia Tauro. Il sindaco dice che si opporrà.

 

«La scelta non l'ho fatta io, ma mi pare che, dal punto di vista dei requisiti, l'indicazione del porto di Gioia Tauro sia conseguente. E' un porto di eccellenza e le ragioni portate dal ministro Lupi mi sembrano convincenti».

 

Ma i pericoli?

 

«Tutto sarà condotto con la ricerca della massima sicurezza. Ma per essere chiari va detto che stiamo parlando di materiale tossico, non di armi chimiche. Nei container l'agente chimico e gli inneschi sono ovviamente separati: diventano armi solo se vengono messi assieme, di solito nella testata del razzo. Il trasbordo, che avverrà da banchina a banchina, senza stoccaggio, impiegherà più o meno 48 ore».

 

Quando?

 

«Le operazioni sono un po' in ritardo per problemi in Siria il trasbordo sulla nave americana Cape Ray, a Gioia Tauro, dovrebbe avvenire a fine mese o a inizio febbraio. La Cape Ray poi distruggerà i materiali in acque internazionali mediante idrolisi. I residui saranno trasferiti in Germania e Gran Bretagna per essere convertiti in sostanze utilizzabili dall'industria».

 

Ma dovevamo proprio accettare il passaggio in un nostro porto?

 

«Fin dall'inizio abbiamo portato avanti la linea di uno sforzo internazionale per la più grande operazione di distruzione di un arsenale chimico da dieci anni. Una volta ottenuta, un Paese serio ci partecipa. Come ci partecipano Germania, Regno Unito, Danimarca, Norvegia e altri Paesi».

 

(Corriere della Sera - 17 gennaio 2014)

 

 


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