Che la giustizia costituisca lo snodo fondamentale per comprendere quanto sia importante affrontare la “questione liberale” (a sinistra come a destra) nella politica italiana, è argomento che andiamo ripetendo da tempo. Di seguito proponiamo una nota che ci ha inviato l’architetto Gerardo Mazziotti che affronta il tema, riflettendo su come vi è di fatto una parzialità, travestita ora da libero convincimento ora da esercizio dell’obbligatorietà dell’azione penale, che a suo avviso contraddistingue ormai gran parte dell’amministrazione della giustizia nel nostro Paese.
I processi che hanno riguardato Berlusconi e l’ex sindaco di Napoli, Antonio Bassolino, sono indubbiamente diversi per la loro natura. E si può ammettere che l’accertamento delle responsabilità nel disastro ambientale provocato dalla gestione dei rifiuti risultava quanto mai complesso. Talmente complesso che il suo esito era forse nelle cose.
Tuttavia, qui importa rilevare la differenza fra i modi in cui i due casi sono stati trattati dal sistema dei media e come, nel secondo, sia del tutto mancata la fenomenale sinergia fra procure e giornalisti, che avrebbe certamente contribuito a evitare l’affondamento nella palude della prescrizione di un’inchiesta così importante per la società come quella sui rifiuti nel napoletano, che tanto scandalo procurarono nel mondo intero. Nessun articolo uscì per allertare l’opinione pubblica napoletana che il tempo scorreva inesorabilmente.
Al di là delle vicende politiche di questi giorni e di quanto abbia inciso la cosiddetta guerra dei vent’anni tra Belusconi e la magistratura, la controproduttività della nostra giustizia è un dato acquisito. Non serve alcuna campagna denigratoria perché essa sia avvolta dal discredito: basta il modo in cui è esercitata, all’insegna di scelte arbitrarie, che calpestano quella stessa legalità che dovrebbe difendere. Non prenderne atto, fingere che non ci sia alcun problema nell’operato del nostro sistema giudiziario, è un modo per soprassedere alla risoluzione della “questione liberale” e di condannarsi a un ruolo di oggettiva subalternità alla conservazione. [L.O.R.]
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Due PM della procura di Milano hanno sentore nel 2003 che Mediaset ha commesso gravi irregolarità nell’acquisto di films dalle Major hollywoodiane e decidono di iniziare una procedimento penale a carico di Silvio Berlusconi, quale maggiore azionista dell’azienda televisiva ma non proprietario. E che, in quell’anno, è anche presidente del Consiglio dei ministri. Un particolare trascurabile, secondi i PM. Che decidono di tener fuori dal processo il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri.
Eppure quando si trattò di perseguire la Fiat per certe irregolarità di bilancio (fondi neri e falso in bilancio) la Procura torinese inquisì e condannò a 11 anni e 10 mesi di reclusione il presidente Cesare Romiti e non il proprietario Gianni Agnelli (la pesante condanna venne poi annullata dalla Cassazione). Il processo Mediaset inizia il 21 novembre 2006 presso la 1^ sezione penale del Tribunale di Milano per frode fiscale e falso in bilancio (ma non si continua a dire che Berlusconi l’ha fatto cancellare e che bisogna ripristinarlo?) e si conclude, dopo sei anni di dibattimento, il 26 ottobre 2012 con la condanna a 4 anni di reclusione ( di cui 3 condonati) e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.
La Corte di Appello conferma la condanna l’8 maggio 2013 e trasmette subito gli Atti alla Cassazione per la sentenza finale. Non ho alcun dubbio che i cinque giudici della sezione feriale ne fossero edotti ma sta di fatto che un giornalista del Corriere della Sera, specializzatosi nei processi al Cavaliere, sente il bisogno di scrivere il 16 luglio lungo articolo per avvertirli della necessità di decidere entro il 1° agosto “per evitare il rischio che il processo si estingua per prescrizione”. E così è avvenuto. Con conseguenze devastanti nella vita politica del Paese. Con sviluppi imprevedibili che mi fanno ricordare l’insegnamento di Francesco Carnelutti, secondo il quale “necessità e opportunità devono informare le sentenze di un giudice saggio“.
Due PM della Procura di Napoli indagano negli stessi anni sulla vicenda dei rifiuti a Napoli e in Campania. La stampa di tutto il mondo denuncia “ la vergogna napoletana”. E Percy Allum, Remo Bodei, Patrizia Gentilini, Fulco Pratesi, Franca Rame, Nicola Tranfaglia, Gerardo Marotta, Alex Zanotelli, Tommaso Sodano, Raffaele Raimondi e tantissimi altri lanciano nel febbraio 2007 “L’allarme sanitario e ambientale nella regione Campania”.
Il Manifesto denuncia il fallimento della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, l’aumento delle malattie tumorali causato dall’avvelenamento delle campagne con il seppellimento di rifiuti tossici, lo spreco di ingenti risorse economiche nella costruzione di inceneritori inutili e dannosi. In questo contesto ha inizio il 14 maggio 2008 il processo a carico di Antonio Bassolino, nella sua qualità di presidente della regione Campania, e di altri 27 imputati (Impregilo, Fibe,Fisia e vari funzionari regionali), accusati di “truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, traffico di rifiuti, abuso d’ufficio, frode in forniture e falso”.
Ma cinque anni di dibattimento sulle violazioni contrattuali, favorite dall’organo commissariale con ordinanze ad hoc, sulla differenziata al palo, sugli impianti mal funzionanti, sulle cataste di ecoballe, sulla proliferazione di discariche, sui cdr non a norma, sui costi aggiuntivi e su altre malefatte non sono bastati per arrivare a una sentenza.
Il 10 giugno 2013 la Pubblica Accusa “ritiene che Antonio Bassolino abbia concorso nella perpetrazione dei reati ma chiede la pronuncia di prescrizione per tutti i capi di imputazione a lui attribuiti”. Un esito stupefacente che non ha indignato né i firmatari dell’Appello sull’ allarme sanitario né l’opinione pubblica né la stampa italiana e straniera. E nemmeno i paladini dell’art.3 della Costituzione sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Viene spontaneo chiedersi perché nessun giornalista ha avvertito il bisogno di lanciare l’allarme della prescrizione. Per evitare che “l’immane tragedia campana” non avesse un responsabile.
Gerardo Mazziotti ( Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. )