La vicenda del cantante Fedez ha tenuto la scena per due giorni e oltre, su giornali, televisione, web, radio, finendo per far accantonare tutti gli altri temi che l’agenda politica, istituzionale, sanitaria, sociale sta vivendo.
Pandemia, Recovery, Giustizia (con il caso Palamara e quello più recente Amara) sono scivolati in secondo piano per qualche giorno.
È un paradosso che ha le sue ragioni nel modello deontologico e culturale del nostro sistema infomativo, in particolare del mezzo, quello televisivo, che occupa lo spazio più consistente nel processo di comunicazione dopo la quasi morte della carta stampata e il carattere di traino che ha sulla rete nel bailamme di contributi spesso alterati dei frequentatori dei social network.
La questione è nota. Nel concerto del Primo Maggio su Rai 3 il cantante, marito della fashion influencer Chiara Ferragni, ha attaccato la direzione di quella rete televisiva pubblica per averlo censurato, o almeno così dice.
La questione offre lo spunto per una riflessione più seria sul mezzo televisivo e sul ruolo che la Tv pubblica (a cui si accodano le reti televisive private Mediaset, Sky, la7, Discovery) esercita da anni: quello di esser la segreteria politica, un tempo dei partiti ora degli accrocchi che li hanno sostituiti, con le conseguenze devastanti di mirare più a tentare di formare che informare i cittadini…
Di questo discute Giuseppe Rippa, direttore di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale, sollecitato come di consueto da Antonio Marulo, nella rubrica Maledetta Politica.
- Maledetta Politica. Rai e politica, una professione di Fedez
(Agenzia Radicale Video)