Ormai l’arte è una grande operazione finanziaria che sempre più aggrada abili professionisti della truffa anche se celati dietro nomi blasonati, incarichi prestigiosi e società che hanno accesso a musei, case d’aste e gallerie: tutte belle” persone, che fanno più o meno i cialtroni per fare business, questa magica parola che spesso nasconde l’illecito. Famoso è al riguardo il film "Vacanze intelligenti" con il mitico episodio di Alberto Sordi.
Un simile fenomeno, fortunatamente, non riguarda la maggioranza delle opere d’arte, e nemmeno i tanti artisti che vanamente cercano di vendere le proprie opere per raggiungere un barlume di successo/sopravvivenza.
Mi viene in aiuto a supporto di quel che ho appena detto il libro di Pierluigi Panza Storia, intrighi, misteri del quadro più costoso del mondo, dove, con dovizia di ricercatore scientifico, l’autore riesce a documentare in maniera dettagliata il più colossale dei bluff della storia delle truffe nell’arte.
Parla del famoso caso del ricco sceicco arabo, che è caduto mani e piedi in una trappola tesa a puntino. Per farlo è bastato mettere all’asta nella più prestigiosa sede di New York di Sotheby's un quadro di poco valore, il Salvator mundi di non unanime attribuzione a Leonardo Da Vinci. L’astuzia è stata quella di metterlo all’asta d’arte contemporanea, dove si sa che i compratori non conoscono le dinamiche e la storia delle opere d’antiquariato.
Così il pollo è stato spennato. Tanti soldi che hanno fatto entrare un quadro d’antiquariato del ‘500 nella leggenda delle più straordinarie opere artistiche, il tutto dovuto alla conquistata quotazione di ben 450 milioni di dollari. Una vendita così sensazionale che, come se non bastasse, è diventata addirittura un musical di Broadway, giustamente, perché è stato un grande show.
Secondo Christie's, a metterlo in vendita è stato il fondo di famiglia del miliardario russo Dmitri Ryobovlev, che lo comprò nel 2013 per 127,5 milioni di dollari, ma in origine costava molto meno perché fu trovato da un rigattiere da Charles Robinson e acquistato per la collezione di Francis Cook. Il quadro del Salvator Mundi era ridotto così male da essere impresentabile e, siccome venne considerato ingombrante, per disfarsene fu messo all’asta da Sotheby’s nel 1958 per 45 sterline. Notate la differenza, da 45 sterline a oltre 450 milioni di dollari!
Eppure la magia del mercato offre anche alle cose di poco valore una speranza: infatti, con questa quotazione raggiunta verrà esposto al museo di Dubai come il quadro più costoso al mondo e sarà meta turistica di migliaia di curiosi che vorranno vederlo, compresi tutti quelli che penseranno sia, come si dice in dialetto romano, ‘na sola, una fregatura per l’appunto. Paradossalmente con questa copia il così detto business è andato in porto anche per chi è stato truffato: magia dell’arte.
La verità è che tutto si può copiare e vendere ad alto prezzo, basta che trovi chi ti fa sponda nel cerchio magico ed è tutto risolto: quotazione, prestigio, cultura e successo sono garantiti in partenza.
Meglio ancora se le opere copiate, come nel caso del Salvator Mundi che ha giudizi contrastanti, non sono riconosciute come tali da chi riveste il ruolo del sapere, per incapacità o ignoranza, e qui parlo degli addetti: critici, storici dell’arte, operatori culturali ecc. Così facendo hai tutto spianato per ottenere quello che vuoi, perché, come si dice, occhio non vede (e non sa), cuore non duole.
In questo caso, forse è meglio sostituire i cervelli umani con stringhe di linguaggio informatico, così almeno gli errori di memoria verranno meno, come sostiene la filosofia Postumana che giocherà brutti scherzi ai casi di amnesia.
Questa storia in verità ci insegna molto, perché il valore dell’opera è la valutazione ufficiale indipendentemente da quello che è l’opera stessa. Tante opere d’arte di inconsistente significato prendono quotazioni da capogiro e tanti artisti, se sono in vita, ne beneficiano enormemente.
Se si va ai vertici di questo Guinness dei primati, si trovano opere che ignoreresti ma che invece sono le più pagate al mondo come ad esempio Portrait of an Artist (Pool with Two Figures) di David Hockney, dipinto nel 1972, che è stato venduto da Christie's nel 2018 per la cifra record di 79,9 milioni di dollari (763,23milioni di euro). Un quadro che dice ben poco a chiunque, certo molto meno di tanti quadri che si vedono in giro ma che è praticamente impossibile possedere per l’alto valore raggiunto.
Ma rimaniamo nell’ambito della copia e delle opere copiate: e qui non voglio parlare solo di quello che si faceva in passato da parte degli allievi di bottega come nel caso di Salvator Mundi, ma di un fenomeno che esula dalla concezione di bottega d’artista e che fa dell’arte, contemporanea in questo caso, una grande “bottega” affollata di “allievi”.
Vi ricordate la grande trovata di Cattelan, che recentemente si è fatto un manichino con le sue sembianze intitolato “You”, esposto impiccato nella casa Corbellini Wassermann della galleria De Carlo a Milano?
Con l’arte ci si fanno i soldi, altro che cultura e infatti, l’artista Robert Gligorov ha denunciato Cattelan perché ha rifatto una sua opera del 1997 dove compare anche lui impiccato, quando già nel 1996 Gino De Dominicis aveva fatto la stessa cosa alla Galleria Nuova Pesa a Roma prima di tutti. Insomma, storie d’impiccati eccellenti.
E non parliamo di corda in casa dell’impiccato, ma di soldi…
Gligorov, invece, non è nemmeno la prima volta che si trova ad essere riferimento precedente di un’opera che attira grandi riconoscimenti. Un clamoroso plagio risale al 2009, quando al duo Michael Elmgreen & Ingar Dragset, allora curatori del Padiglione della Danimarca alla Biennale di Venezia e attualmente esposti alla Fondazione Prada di Milano, fu conferita una “menzione speciale” per l’opera “The Collectors”, che presenta un uomo (di gomma) morto che galleggia in piscina.
Quest’opera, in dimensioni diverse, era un allestimento identico a quello realizzato da Gligorov nel 2000 intitolato “Like a Rolling Stone”: era stato esposto, manco poco, a Verona, Cuneo, Bruxelles e documentato in un catalogo.
Alla recente Biennale di Venezia nel padiglione Italia Gian Maria Tosatti ripete la scena delle macchine da cucire fatta da Kounellis sei anni fa all’Avana; al modico prezzo di più di due milioni di euro, tutto riciclo di materiale dismesso da fabbriche chiuse e abbandonate.
Copiare per fare soldi non è proprio necessario, anzi è meglio non fare niente. È di questi giorni la notizia che l’ artista danese Jens Haaning dopo aver ricevuto 72 mila euro per un’opera è scappato, e intervistato dice: E’questa la vera performance. O vogliamo parlare dei murales mai fatti a Tor Bella Monaca dove l’artista è anche reo confesso “si ho sbagliato” …?
Rimanendo nell’ambito delle copie che si fanno riciclando la stessa opera con un altro nome, ricordiamo quanto segue.
Una finestra nel parco dei Daini, installazione davanti al Teatro barocco di Villa Borghese a Roma, viene presentato come "un’opera ispirata ad una finestra reale che affaccia su Piazza della Rotonda, in cui suggerisce un movimento potenziale che confonde il sottile confine tra il possibile e l’impossibile.” (Sovraintendenza di Roma)
Poi la stessa, trasportata sul Belvedere di Firenze, viene promossa come "una finestra incorniciata e completata da una scala che invita lo spettatore a doppiare idealmente la potenzialità dello sguardo.” (la Repubblica)
Peccato che l’idea “Finestra sul mare” sia già stata realizzata trentatré anni prima, quando l’aveva fatta Tano Festa per ricordate suo fratello Lo Savio morto precocemente: tra l’altro manco è piccola (18x18 metri) e nemmeno tanto ignota, perché è una famosa meta turistica di un tour siciliano vicino Messina.
Secondo alcuni per tirare a campare tutto è lecito: c’est la vie, ma indubbiamente non è l’arte che desideriamo e se chi la pratica crede che siamo tutti ignoranti come loro:”Tanto chi lo sa? ”, la risposta è: Noi. E ve lo diciamo.