Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/12/24 ore

Pio Monti. L’orecchio da mercante


  • Giovanni Lauricella

In questo periodo di stasi dovuto alla pandemia non è strano che ripresentino in mente i ricordi delle volte che ti trovavi in luoghi affollati di gente, i ricorrenti eventi romani che scandivano un ritmo intenso di iniziative che facevano tanto interessante la città.

 

Più di tutti la cultura aveva questa necessità di pubblico: i dibattiti, le conferenze, le mostre, gli happening, le performance, tutte occasioni che riempivano grandi sale, cineteche, musei, strutture pubbliche varie o private, prima fra tutte le gallerie che avevano visto la città di Roma invasa da un fiorire di nuove sedi, una più interessante dell’altra, che proponevano artisti in quantità mai viste in passato.

 

Si poteva ben dire che Roma, come altre città italiane, aveva una specie di movida culturale, un consistente numero di persone che abitualmente si riversava nei luoghi sopra citati, alimentando l’interesse di tanti operatori culturali che alacremente tentavano di accattivarsi questo pubblico.

 

Uno degli incontri romani più piacevoli è sempre stato quello alla galleria di Pio Monti, che porta il nome di una tra le persone che più di tutte recentemente hanno dato vita al mondo dell’arte. Non che le altre gallerie non facessero nulla del genere, ma gli eventi da Pio Monti avevano quel particolare connotato di happening familiare che li faceva sentire appuntamenti immancabili nell’agenda di ogni appassionato d’arte.

 

Un dato che forse al tempo non poteva risultare rilevante perché di assembramenti artistici del genere ce n’erano tanti, ma quella galleria di Pio Monti era un particolare spaccato culturale della città dove affluivano gli amici per stare uniti insieme in un’ atmosfera da comunità, senza dubbio tra le più piacevoli che avevamo fino a poco tempo fa.

 

Animatore di questa scena artistica era proprio il titolare, Pio Monti, un contraddittorio ed atipico personaggio che, pur non provenendo da Roma, si considera un «marchigiano espatriato», e nemmeno dal mondo artistico, si è affermato nella nostra difficile capitale ai massimi livelli con artisti quali: Gino De Dominicis, Emilio Prini, Jannis Kounellis, Vettor Pisani, Giulio Paolini Ceroli, Schifano, CyTwombly, Kounellis, Marotta, Pascali, Vasarely, Le Parc, Bill, Munari, il Gruppo T e Soto, Kosuth, Paolini, Merz e Sol LeWitt, Joseph Albers, Max Bill, Accardi, Dorazio, Turcato, condividendo esperienze con Capogrossi, il filosofo Martin Heidegger,  Andy Warhol, Robert Rauschenberg, il gallerista Lucio Amelio e tanti tra i più importanti critici e storici dell’arte; per non farla lunga potevamo semplicemente dire tutti e basta. 

 

Con Pio Monti ha avuto in comune i primi anni di esordio proprio l’artista più difficile e astruso di tutti, che è stato al contempo il più assiduo amico, Gino De Dominicis, il quale ha condiviso l’appartamento per un periodo a Palazzo Taverna, nel centro storico di Roma.

 

Cosa atipica, per un gallerista. Insaziabile di fare nuove conoscenze, non disdegnava di improvvisarle come quando nel 1974, a Parigi, scorse Man Ray in un caffè e sfrontatamente si presentò, riuscendo addirittura ad andare all’atelier a prendere alcune sue opere grafiche e a farsi una foto, accovacciato ai suoi piedi, che uscì più tardi su «Uomo Vogue». Rischiando brutte figure, ci si cacciava dentro e le risolveva brillantemente, atteggiamenti veramente spericolati in un ambiente molto chiuso e selettivo. 

 

Non ha mai avuto i modi di fare che si conoscono da altri galleristi, eppure, ad esempio, con Capogrossi andò a Locarno a parlare con Martin Heidegger dell’opera di Gino De Dominicis Il Tempo, lo sbaglio, lo spazio. Come tutti sanno, Martin Heidegger è l’autore di Essere e tempo, quel libro che provocò un grande terremoto nel pensiero filosofico, i cui concetti base sono  l’esser-ci (Dasein) il tempo, la morte, l’angoscia (esistenzialismo), tutti temi in cui si cimentava proprio  Gino De Dominicis.

 

 

Frequentando nel 1969 Michelangelo Pistoletto e sua moglie Maria Pioppi, vide il lavoro del gruppo teatrale «Lo Zoo», assistette a «Uomo nero» da Sperone, così lo portò a Macerata;  successivamente nel ’71 conobbe anche  Ben Vautier  tramite Daniel Templon, trasformando la sua città in una importante meta di teatro d’avanguardia e performance.

 

Pio Monti ha avuto una vita artistica a 360°; come pochi altri, a fasi alterne e in differenti ruoli  ha condiviso molti successi con l’importante gallerista Liliana Maniero, ma non voglio fare la biografia; altri l’hanno già fatta e bene, probabilmente si potrà leggere in un suo prossimo libro. 

 

Quello che mi interessa dire, in un periodo particolare che stiamo attraversando dovuto alla pandemia dove tutto è fermo, è la sua forza vitale, l’anima “popolare”, quella che, ad esempio, lo faceva assiduo frequentatore dei “Giovedì dell’Arte” da Camponeschi, il bar del famoso ristorante a piazza Farnese, approdo serale di tutti gli artisti che volevano tirare a far tardi, ideato da Achille Bonito Oliva e Umberto Scrocca, con Enzo Cucchi come  artista “residente”, tanto era fissa la sua presenza. 

 

Pio Monti esercitava quella condotta che lo portava al di fuori delle comuni concezioni, proprio perché si sentiva libero e con il suo fare liberalizzava a sua volta le consuetudini ostacolanti, un atteggiamento simile a quello di Andy Warhol che tra l’altro è persino riuscito a trascinare nelle sue Marche per portarlo a Macerata, nel percorso  l’artista americano si volle fermare alla Santa Casa di Loreto al Palazzo Apostolico per ammirare i quadri di Lorenzo Lotto.

 

Si potrebbero elencare tanti episodi, ma quello che emerge è che tutto questo faceva parte di un mondo in fermento, di un continuo avvicendarsi di eventi che sarà molto difficile ricostruire e soprattutto riavere a breve.

 

Pio Monti, come tanti che ho elencato qui sopra sono stati, l’humus sul quale è fiorita tutta la storia dell’arte di questi ultimi decenni, una necessaria vitalità di cui avremo bisogno.

 

Per adesso accontentiamoci, quando uscirà, di “Orecchi da mercante”; sì, perché quelli che sono riusciti a vendere sono stati proprio quelli che hanno dato benessere a un mondo che come tutti vive di soldi, e in questo Pio Monti può essere ritenuto un buon interlocutore di riferimento per i magri mesi che ci aspettano.

 

 


Aggiungi commento