di Adriana Dragoni
Mi capitò, tempo fa, di proporre di avvicinare il nome di Napoli agli affreschi, detti pompeiani o romani, che sono stati scoperti nell'hinterland napoletano e che l'eruzione del Vesuvio del 79 d. C., coprendoli, ci ha conservato. Infatti, ragionavo, all'epoca si dipingevano a Neapolis affreschi dello stesso tipo. Non trovai facili assensi; anzi mi fu detto che queste pitture si devono chiamare romane perché a Roma convenivano gli artisti e da Roma la civiltà artistica si è poi diffusa.
Non riuscii a fare osservare che, prima che questo accadesse, Neapolis c'era, da secoli. Che era una delle città magnogreche che dipingevano pareti e vasi molto prima di essere conquistate da Roma. Che le pitture vascolari, riconosciute ufficialmente, queste si, magnogreche, sono gemelle degli affreschi “pompeiani”. E che i Romani, un tempo, erano piuttosto rozzi. Tanto che erano razionali ma non ragionevoli. Si, perché la loro ratio significava soltanto far di conto e facevano di conto contando le palline lungo le diritte asticelle dell'abaco. Solo più tardi ratio significò logica con la quale ragionare. Ma rimase sempre la diritta ragione.
“Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano, ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo.” scrisse Friedrich Nietzsche in “Così parlò Zaratustra”. Immagino che, arrivati a Neapolis, i Romani siano rimasti, a tutta prima, sconcertati da quel golfo tutto circolare e dall'insania mentale di quegli strani abitanti che giocavano, ovvero, come ancora si dice a Napoli, pazziavano (da paizein= giocare) facendo fare ampi giri irregolari a un sacco di pelle, un otre (follis, in latino), gonfio di aria. Giudicarono, perciò, pazzi e folli questi napoletani.
Ma poi anche loro scoprirono il gioco del pallone e tante altre cose ancora che avevano ignorato. Se, nel dire questo, mi baso su un immaginifico excursus glottologico, nessun dubbio, però, che poi i Romani, nelle terre conquistate, affermarono il loro diritto e diffusero quella cultura e quell'arte che avevano dapprima appreso dalla Magna Grecia e solo più tardi dalla Grecia balcanica, con la quale fecero esperienza dell'arte classica, che molto ammirarono, perché la tendenza egemonica dell'Atene del V secolo gli era consentanea.
Un'esperienza che riversarono, aggiungendovi un pizzico in più della loro gravitas, nelle statue marmoree che sistemarono nei luoghi pubblici. Solo più tardi la scultura marmorea diventerà di tipo ellenistco, più morbida, umana o mitica, e creerà opere straordinariamente belle come il Toro Farnese, il mitico gruppo marmoreo che ornava una fontana nelle terme di Caracalla e che, facendo parte della collezione Farnese ereditata dal re Carlo di Borbone, ora è in mostra al MANN.
Imperatori e Senatori compresero anche come la cultura, la musica e l'arte potevano dar loro prestigio e li potevano rallegrare. Amarono e abitarono Napoli e i suoi dintorni e ornarono le loro abitazioni con le pitture magnogreche, con le quali anche la gente del luogo ornava le proprie case.
Pensavo a queste cose mentre mi dirigevo a un appuntamento con Paolo Giulierini, il nuovo Direttore del Museo Archeologico Nazionale Napoletano, un enorme, fantastico scrigno che contiene una delle più importanti raccolte di antichità, anzi la più importante raccolta di pitture greche del mondo.
Era un martedì, che è, buono a sapersi, giornata di chiusura del MANN. Il MANN è un magnifico edificio, negli ultimi decenni talmente trascurato che, per il G7 del 1994, si dipinse solo la facciata principale, mentre quella laterale rimase sporca e annerita dallo smog, giacché non sarebbe stata alla vista dei Grandi della Terra. Per arrivare al direttore, attraverso gli enormi spazi abbandonati della ex Sovrintendenza Archeologica. Il Direttore ha l'apparenza di un ragazzo: l'agile corpo irrequieto, gli occhi luminosi, l'espressione fervida e attenta lo fanno sembrare molto giovane, tanto che vien da pensare che abbia più anni di quanti ne dimostra.
E' una persona semplice, bene educata, gentilissima e sprizza simpatia. Mi parla, chiaro e conciso, dei suoi piani per la conduzione del museo. Innanzi tutto considera importante il rapporto con la Città e con le Istituzioni. E mi descrive gli interventi che ha in animo di realizzare. Giudica necessario migliorare i servizi di base, come i bagni, che vanno rifatti e dare una diversa disposizione alle opere museali, riservando maggiore spazio all'esposizione delle pitture. Ricordo come, invece, queste siano state, per anni, vietate ai visitatori, con grande delusione soprattutto di quelli venuti da lontano apposta per vederle.
Inoltre l'ala del palazzo ora in disuso sarà riattivata, per aumentare il numero delle sale espositive e per alloggiarvi una caffetteria e un ristorante. Un lavoro che durerà almeno un paio di anni e quindi, nel frattempo, si adotterà la più modesta soluzione di un piccolo punto di ristoro. Per facilitare la visita delle sale, vi saranno più chiare didascalie e l'uso della “realtà aumentata”, un accessorio tecnologico che consiste nell'adozione di mezzi digitali che guidino i visitatori e gli diano le informazioni che richiedono, per esempio dotandoli di lenti capaci di mostrare il luogo dove l'oggetto è stato trovato o di far vedere completa una statua monca.
Un'iniziativa modernizzatrice che potrà piacere molto ai giovani e anche a quegli stranieri che vengono da altre culture e quindi hanno una altro tipo tipo di percezione. Nel frattempo, io penso alla modernità straordinaria degli affreschi del museo, dove è in nuce tanta parte della cultura figurativa europea, ovvero mondiale. E penso alla Flora di Stabia, di una strepitosa grazia “botticelliana” e alle pitture di vasi di vetro contenenti acqua, strepitosa anticipazione dei vasi dipinti da quei fiamminghi che, secondo dotti critici, nel Quattrocento, avrebbero insegnato ai napoletani come li si dipinge. Penso anche agli anticipi dell'arte optical nei mosaici e mi viene in mente un piccolo quadro musivo in cui è rappresentato, probabilmente in un corteo bacchico, il ciuccio napoletano, simbolo della squadra di calcio del Napoli. Saranno, penso, motivo di iniziative promozionali per il vulcanico Direttore, il quale non nasconde la necessità di procurare degli sponsor, degli aiuti economici, per promuovere il museo.
Il 15 marzo, mi annuncia, vi sarà appunto la riapertura dei giardini storici, mentre, nella stessa data, si inaugurerà, nel magnifico salone della Meridiana, la mostra “Mito e Natura”, già presentata a Milano. Ma già l'8 marzo, vi sarà al museo una manifestazione del FAI. Poi, il 19 e il 20 marzo, si potrà visitare Sing Sing, cioè i locali del sottotetto, dove sono conservati una grande quantità di reperti, molto interessanti e anche misteriosi. Il 7 ottobre, poi, vi sarà la tanto attesa riapertura, dopo decenni, del museo Egizio, che, secondo per importanza in Italia, segue a ruota quello di Torino, dove andrà una mostra, da Napoli, dei Misteri isiaci. Il 13 dicembre, poi, si potrà visitare la Stamperia Borbonica.
E ancora mostre sono previste a Tokio, Toronto e New York, mostre che diffonderanno la conoscenza della nostra arte e del MANN nel mondo. A tal fine sarà rinnovato, rendendolo più accattivante e completo, il sito del museo. Ci sarà anche bisogno di un nuovo logo. E se si indicesse una gara per stabilire il logo migliore?