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05/12/25 ore

Anna Mahjar-Barducci: ‘Ecco perché l’ayatollah Ali Khamenei non è stato ucciso’


  • Anna Mahjar-Barducci

di Nello Scavo

 

(da Avvenire)

 

A questo punto della storia, «Israele non farebbe contro l’Iran una mossa che non sia accettata da Trump. Per questo motivo, l’ayatollah Ali Khamenei non è stato ucciso. Le parole di Anna Mahjar-Barducci, capo ricercatore del “Memri”, cadono in un momento cruciale. Autrice di interventi per testate internazionali tra cui l’israeliano “Haaretz”, la studiosa italo-marocchina da Gerusalemme guida le analisi dell’Istituto di ricerca sui media del Medio Oriente. Un centro che tra i suoi consiglieri ha almeno due ex capi della Cia, e poi imam, docenti universitari, esponenti dell’ebraismo, della Chiesa cattolica, ex premier di diversi Paesi. Il fondatore è Yigal Carmon, una leggenda tra gli agenti segreti israeliani, fra l’altro consigliere di Yitzhak Rabin, il leader israeliano insignito nel ‘94 con il Nobel per la Pace e assassinato il 4 novembre 1995 da un fanatico dell’ultradestra ebraica. Il Memri, inascoltato, aveva previsto con largo anticipo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

 

Dalle informazioni di cui dispone, i fatti delle ultime due settimane possono indebolire il regime iraniano?

 

Il premier Benjamin Netanyahu ha informato che Israele ha raggiunto gli obiettivi dell’operazione e accettato il cessate il fuoco. Lunedì sera, l’Iran ha risposto prendendo di mira la base Centcom degli Stati Uniti in Qatar. L’attacco missilistico era stato preannunciato dagli iraniani agli Stati Uniti. È stata una risposta a simbolica, come quella che aveva seguito l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani. Dopo l’attacco simbolico, era chiaro che il presidente americano Donald Trump avrebbe annunciato il cessate il fuoco.

 

Trump ha un piano per l’Iran?

 

Il “regime change” e il “nation bulding” (la ricostruzione a tavolino delle relazioni interne all’Iran, ndr) non sono mai stati gli obiettivi di Trump e di conseguenza nemmeno di Netanyahu. In Israele, c’era sicuramente una speranza che i popoli dell’Iran si potessero sollevare, ma così non è stato per una serie di motivi. Trump ha scritto sul suo social “Truth” che se gli iraniani vogliono il cambio di regime, spetta a loro ribellarsi, ma non sarà l’obiettivo della sua amministrazione. L’obiettivo di questi dodici giorni di guerra è stato la denucleraizzazione dell’Iran, che – anche se forse non completamente raggiunto – ha portato indietro di anni il progetto del regime di ottenere la bomba atomica.

 

A quali condizioni si potrà davvero giungere a un cambio di regime a Teheran?

 

L’amministrazione americana non finanzierà il “nation building” né promuoverà altre figure come è stato Ahmed Chalabi in Iraq. Nei corridoi di Washington, si è escluso il sostegno a figure della diaspora persiana, come il figlio dello Shah, Reza Pahlavi. Se avverrà il “regime change”, per Trump deve nascere dall’interno e senza intervento americano, come vuole la sua base elettorale.

 

I gruppi della dissidenza iraniana, persiani e non persiani, potrebbero saldarsi temporaneamente per estromettere gli ayatollah?

 

L’opposizione persiana in Iran non è organizzata militarmente. Gli unici a essere organizzati e addestrati alla lotta armata sono i non persiani (curdi, baluchi, ahwazi, etc.), che in totale compongono quasi il 50 per cento della popolazione. Il problema è che per iniziare un sollevazione, che possa portare a un “regime change”, hanno bisogno di armi, droni e la promessa di non essere traditi dall’Occidente una volta abbattuto il regime (Washington, dopo tutto, ha abbandonato i curdi in Siria, durante la prima amministrazione Trump). L’amministrazione americana non è però disposta ad aiutarli, perché ciò comporterebbe impegnarsi in un “nation bulding”.

 

A cosa ambiscono i non persiani?

 

Vogliono una confederazione, che poi possa portare eventualmente all’indipendenza delle loro nazioni. Durante l’amministrazione Bush, è stato scelto a tavolino di non sostenere i non-persiani, per mantenere intatti i confini dell’attuale Iran. A ciò si aggiunge la recente visita a Washington del Field Marshal Asim Munir, il vero leader del Pakistan, apprezzato – almeno a parole – da Trump. Durante l’incontro con il presidente americano, ha affermato che se l’Iran dovesse crollare a causa della guerra, il Balochistan (che si trova diviso fra Iran e Pakistan) si solleverebbe, diventando un problema per la stabilizzazione del Pakistan, che è una potenza nucleare. Trump pertanto vuole evitare ogni cambiamento provocato dall’esterno, per non perdere il sostegno della base “Maga” che non vuole un presidente neocon. Il leader del “Free Balochistan Movement”, Hyrbyair Marri, ha detto che le parole di Asmin Munir sono fuorvianti, dato che “le vere fonti di instabilità nella regione sono le repubbliche islamiche dell’Iran e del Pakistan”. A Washington, durante i dodici giorni di guerra, si vociferava però che l’unica alternativa accettabile all’attuale regime sarebbe stata una figura militare che si sarebbe ribellata a Khamenei. In quel caso ci saremmo ritrovati con regime simile a quello pakistano.

 

Intanto in Siria sono stati attaccati i cristiani a Damasco, Gaza non è più sotto i riflettori come un tempo, e le minacce alla sicurezza e alla stabilità economica internazionale sono sempre più concrete. Cos’altro possiamo aspettarci da questa crisi che non è solo regionale?

 

Un consolidamento di Turchia e Qatar come amici dell’amministrazione Trump nella regione, nonostante le loro politiche dannose e subdole.

 

(da Avvenire)

 

 


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