di Federico Fubini
(da Corriere della Sera)
Per Yigal Carmon, nato in Romania 77 anni fa, è un incubo ancora peggiore. Lo è perché per la seconda volta aveva capito e gli allarmi non sono serviti. Nel 1973 Carmon era un giovane capitano nelle unità di raccolta di informazioni dell’esercito di Israele sul Golan e nel Sinai. Era fra coloro che avevano visto i preparativi di un attacco, ma lui e i suoi superiori furono ascoltati.
Da allora Carmon ha fatto molto altro: è stato consigliere dell’antiterrorismo di Yitzhak Shamir e di Yitzhak Rabin, capo dell’amministrazione civile dei territori palestinesi, colonnello dell’Aman (l’intelligence militare israeliana) e vicecapo della missione israeliana per i negoziati di pace di Madrid con la Siria.
In maggio, in agosto e ancora a inizio settembre scorsi Carmon aveva avvertito della minaccia imminente di Hamas in interventi circostanziati di Memri, il suo centro di analisi di fonti aperte del Medio Oriente. Aveva anche pubblicato le immagini delle esercitazioni di Hamas in settembre a Gaza, gli stessi piani poi attuati il 7 ottobre. Ma il governo di Benjamin Netanyahu non gli ha creduto.
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Carmon, perché i suoi avvertimenti sono caduti nel vuoto?
«Perché Bibi pensava di essersi comprato la tranquillità, credeva che Hamas non avrebbe avuto motivo di attaccare. In questo c’è stata una vera e propria complicità del governo di Israele: ha rifiutato di credere all’evidenza che si stava preparando un attacco».
Perché Nethanyahu pensava - secondo lei - di essersi comprato la tranquillità?
«La sua idea da almeno dieci anni era di lasciare che i vertici di Hamas ricevessero denaro dal Qatar e si arricchissero o almeno si concentrassero sul dominio di Gaza. Netanyahu aveva dato chiare indicazioni di non ostacolare il flusso di fondi del Qatar a Gaza e poi, apertamente, a Hamas stessa. Lo ha dichiarato lui stesso in incontri di partito. Il premier aveva persino fatto dire da Herzi Halevi quando era a capo del comando Sud dell’esercito israeliano - oggi è capo di stato maggiore - che quei finanziamenti andavano bene».
Pensava che Hamas non fosse una seria minaccia?
«Bibi si è lasciato ingannare. C’erano tutti i segni che Hamas stava preparando un attacco e che lo stava mettendo fuori strada. È lui che non ha voluto capire».
L’intelligence israeliana non si era resa conto?
«Certo che sospettavano qualcosa. Il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, la sera del 6 ottobre, un venerdì, capisce che qualcosa sta per accadere e convoca una riunione per il mattino seguente alle 8. Quella sera rimane persino a dormire in ufficio: molto inusuale per uno Shabbat. Purtroppo alle 8 di sabato era tardi per prevenire, l’attacco era già iniziato alle sei e mezzo del mattino».Qatar, Iran, Siria
Lei sottolinea spesso il ruolo del Qatar a sostegno di Hamas. Perché?
«Il Qatar è Hamas e Hamas è il Qatar. La sua influenza è superiore a quella dell’Iran. Ogni missile, ognuno dei 30 o 40 mila terroristi di Hamas, ogni drone, ogni arma, ogni proiettile e le centinaia di chilometri di tunnel: tutto viene dai fondi del Qatar, 1,5 miliardi dollari in dieci anni».
Era questa l’intenzione di Doha? In fondo il Paese è un alleato degli Stati Uniti, ospita una base militare americana.
«Quasi tutti gli occidentali, inclusi i governanti, non hanno idea. Il Qatar promuove organizzazioni terroristiche e fondamentalisti islamici da decenni. Non solo Hamas, anche i talebani, Al Qaeda e altre formazioni. Le prove sono molte e alla luce del sole. Il Qatar usa la sua televisione di Stato Al-Jazeera - non nel canale in inglese che seguono gli occidentali, ma nel canale arabo - come megafono di Hamas.
Perché la famiglia regnante degli Al-Thani, così integrata in Occidente, sostiene i fondamentalisti?
«Loro sono materialisti, non certo fanatici religiosi. Ma il Qatar è un regno lillipuziano, dunque usano i terroristi come strumento per la loro sopravvivenza. Poiché li proteggono e li finanziano, si assicurano la loro fedeltà nel caso un giorno dovessero aver bisogno di un sostegno armato»…
(da Corriere della Sera)