Decine e decine di casi di uccisioni per rappresaglia di civili ucraini inermi al di fuori di qualunque scontro militare in atto. Di sparizioni nel nulla di autorità locali delle città ucraine occupate dalle forze russe, della deportazione di 300mila bambini
di Ernesto Galli della Loggia
(da Corriere della Sera)
Ma si troverà prima o poi qualcuno in Italia disposto a spendere il proprio nome chiamando certe cose con il loro nome? Si troverà pure prima o poi qualche pensoso intellettuale, qualche celebre attore o accademico, qualche eminente prelato noto alle cronache o almeno qualche conduttore di talk show, disposto a parlare chiaro e a dire che quello che le autorità russe stanno facendo in Ucraina è qualcosa che prima di oggi solo Hitler e Stalin avevano osato fare? Magari auspicando anche un tribunale per giudicare le loro colpe? Non parlo della guerra che Putin ha scatenato il 24 febbraio.
La guerra, si sa, è una sporca faccenda in cui non si va per il sottile. Sono sacrosanti i tentativi di darle qualche regola, naturalmente, ma bisogna rassegnarsi al fatto che il più delle volte queste regole lascino il tempo che trovano. Nulla e nessuno, ad esempio, riuscirà mai ad impedire ad un belligerante l’uso di un’arma cosiddetta «proibita»(tipo le bombe a grappolo che i russi infatti impiegano con la massima disinvoltura) se non il timore che pure l’avversario impieghi la medesima arma contro di lui.
Ma qui si tratta di cose diverse, di cose che con la guerra, con lo scontro tra i combattenti non c’entrano nulla. Qui si tratta di decine e decine di casi di uccisioni per rappresaglia di civili ucraini inermi al di fuori di qualunque scontro militare in atto. Di sparizioni nel nulla (quindi di presumibili soppressioni) di autorità locali delle città ucraine occupate dalle forze di Mosca.
Di un feroce e radicale tentativo di snazionalizzazione di tutti i territori occupati, a base di libri in lingua ucraina proibiti e distrutti, del divieto di istruzione nelle scuole secondo i programmi fin qui adottati, di soppressione di tutti i mezzi di comunicazione (radio, tv, telefonia) e di connessione che non siano quelli russi. E si tratta infine — fatto di una crudeltà inimmaginabile, repugnante ad ogni animo umano — della deportazione in Russia non si capisce a qual fine (semplicemente per privare di forze future il nemico? Per «rieducarli»? Per darli in adozione?) di migliaia e migliaia (c’è chi dice trecentomila!) bambini ucraini.
Si badi: di ognuna di queste azioni compiute dalle autorità russe vi sono troppe notizie circostanziate, troppe prove raccolte sul campo, troppe testimonianze dirette, perché si possa nutrire un ragionevole dubbio su quello che è il dato centrale: nei territori dell’Ucraina che occupa, Mosca sta mettendo in atto una vera e propria politica di tipo genocidiario mirante alla cancellazione di fatto dell’identità nazionale di quel popolo. Una politica del tutto analoga a quella che la Germania nazista mise in atto, ad esempio, durante la Seconda Guerra mondiale nella parte di Polonia occupata che intendeva annettere. Non si prefigge del resto oggi il medesimo scopo Putin?
Ebbene, ma se questo è vero bisogna allora dire alto e forte che è inutile, addirittura grottesco, che un Paese coltivi in tutte le occasioni la sua memoria antifascista, celebri ogni anno la «giornata della memoria» e la «giornata del ricordo», non cessi di evocare ad ogni occasione le colpe di chi contro le infamie del totalitarismo ottanta anni fa «doveva parlare ma non parlò», per poi oggi osservare, invece, un sostanziale silenzio su quanto sta accadendo dalle parti del Donbass e dintorni.
Sì, come avete capito, quel Paese è l’Italia. Siamo noi. Come è possibile che il nostro discorso pubblico ma anche quello culturale e religioso (certo, anche quello culturale e religioso) avvezzi così tanto a frequentare i diritti umani, la legalità, la solidarietà, la giustizia, preferiscano però discettare magari sulla «pace» ma di fatto continuino da settimane a non dire nulla circa i crimini su grande scala che la Russia sta commettendo in Ucraina?
L’unica speranza di fermare i quali è invece che se ne parli, che se ne parli molto (in modo tra l’altro che Sua Eccellenza l’ambasciatore Razov informi adeguatamente il suo governo) e forse che non ci si limiti a parlare. Ma magari anche per auspicare che gli organi di giustizia internazionale si attivino maggiormente per raccogliere prove e nomi di sospetti criminali russi, di responsabili russi, da trascinare domani in giudizio come si fece ottanta anni fa in una città tedesca che tutti sappiamo come si chiamava.
(da Corriere della Sera)