di Stefano Folli
(da la Repubblica)
Lasciato finora in disparte, il referendum sul taglio dei parlamentari per il quale si voterà il 20 settembre insieme a Regionali e Amministrative rischia di essere quasi dimenticato. Resta sullo sfondo, bandiera politica dei Cinque Stelle che altri non hanno interesse a sventolare più di tanto per non fare il gioco del Movimento.
La destra, certo, sarebbe tentata di usare la carta dell’anti-parlamentarismo, com’è nella sua tradizione, tuttavia sa che il dividendo politico stavolta non sarebbe suo, se non in piccola parte: si aggrappa perciò (Fratelli d’Italia) all’eterno miraggio del presidenzialismo. Un modo per parlare d’altro.
Nel centrosinistra il Pd preferisce aspettare in silenzio. Non è la sua battaglia, vi si è accodato solo nell’ultimo dei quattro voti sulla legge costituzionale tra Camera e Senato. Lo ha fatto perché non aveva alternative, avendo inaugurato da poco l’alleanza di governo con il M5S: ma anche per le garanzie ricevute circa il sollecito varo di una legge elettorale proporzionale, ricalibrata sui nuovi numeri di deputati e senatori (400 e 200).
Siamo a luglio inoltrato, in un periodo che non potrebbe essere più complicato per i lavori parlamentari, e di questo accordo sulla riforma elettorale non non c’è traccia. Vedremo quanto dureranno le vacanze estive delle Camere in questo anno eccezionale, ma il rischio di arrivare al 20 settembre senza che la riforma sia stata messa a punto e votata almeno in un ramo del Parlamento, come vorrebbe il Pd, è molto alto.
Ecco allora che di questo referendum si parla poco e in modo approssimativo. Persino i Cinque Stelle, alle prese con la loro crisi interna, hanno altre priorità. Senza dubbio considerano che la battaglia è già vinta in partenza e può darsi che abbiano ragione. Potrebbe servire a bilanciare la sconfitta che si delinea per loro nelle regioni e che qualcuno sogna di evitare o di annacquare con un patto elettorale dell’ultim’ora con il Pd, peraltro improbabile.
Ma cosa succederà il 22, a risultati acquisiti? Il M5S tornerà per un attimo alle origini, dirà in ogni talk show che la battaglia contro la “casta” continua, che il sistema è stato di nuovo ferito. In realtà a essere colpito sarà solo l’assetto della democrazia rappresentativa. Non perché il numero dei parlamentari sia un totem intoccabile, ma per il modo con cui si è arrivati al taglio: come coda velenosa del vecchio slogan grillino sul Parlamento “da aprire come una scatola di tonno”.
Si è voluto punire la classe politica precedente — presentata come corrotta, inefficiente, soprattutto costosa — e in realtà si getta sabbia nei meccanismi istituzionali, specie se dovesse restare lettera morta il riequilibrio promesso al Pd. Sarebbe davvero singolare se le lacerazioni dei 5S fossero dimenticate all’improvviso grazie alla cura ricostituente referendaria.
Prima di allora vedremo come si comporteranno gli altri, fino a che punto vorranno accompagnare e facilitare la riscossa del movimento. Fino a che punto, ad esempio, il Pd combatterà per non arrivare al 20 settembre a mani vuote.
Sappiamo d’altro canto che i sostenitori del “no” sono pochi e non troppo organizzati. Però esistono e la loro voce dovrà essere ascoltata, come vuole la regola. Si tratta di un fronte composito e trasversale che abbraccia quasi tutti i gruppi. Per ora è attivo soprattutto sui “social”, ma dovrà darsi da fare prima che sia troppo tardi.
(da la Repubblica)