di Arturo Cancrini* (da formiche.net)
Tra i problemi che il Covid-19 ha fatto emergere in merito al settore degli appalti pubblici ve ne è uno evidente che però, a parere di chi scrive, rappresenta un ottimo trampolino di lancio per dare il via a una riforma di sistema ormai non più prorogabile. Mi riferisco all’avvenuta conferma (casomai ve ne fosse stato bisogno) della difficoltà dell’Autorità Nazionale Anticorruzione a far fronte al multiforme assortimento di compiti ad essa riservati dalle norme del Codice dei contratti del 2016 (interpretativi, regolatori, consultivi, ispettivi e sanzionatori, oltre a quelli più prettamente amministrativi).
Difficoltà che oggi, nella crisi senza precedenti in cui versa il macro-cosmo delle pubbliche gare, ha palesato limiti strutturali nella capacità fornire una risposta efficace per la gestione dell’emergenza. Circostanza ancora più pesante ove si consideri che la pandemia in atto ha sconvolto ulteriormente gli equilibri di un settore già provato da diversi anni da una sfavorevole congiuntura economica e da un quadro normativo foriero di rilevanti ambiguità, equivoci e opacità applicative.
Ora, non è questa la sede per ripercorrere le criticità collezionate, sin dall’entrata in vigore del decreto legislativo numero 50 del 2016, dall’Autorità che il nuovo Codice dei contratti (caso unico tra tutti i Paesi europei chiamati a recepire le Direttive del 2014) ha designato quale vero e proprio “tuttofare” della contrattualistica pubblica. Basti menzionare, al riguardo, la confusione ingenerata negli operatori del settore dalle cosiddette “Linee guida” e dalle indicazioni fornite con ritardo dall’Autorità nei propri pareri di precontenzioso; i tempi biblici per il completamento dei procedimenti di controllo; la mancata attuazione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e dell’albo dei commissari di gara (sospeso “per disperazione” nell’ambito della riforma del 2019).
E a monte, anche senza entrare nel merito delle attività dell’ANAC, appare già disfunzionale di per sé che la vigilanza sul delicato ambito dei contratti pubblici sia stata affidata a un ente denominato “anticorruzione”. L’Autorità, infatti, nell’assumere il (pur) lodevole obiettivo della lotta alla corruzione a principio cardine di ogni sua singola iniziativa, ha finito per alimentare un’ingiustificata (contro)-cultura del sospetto, ingessando le pubbliche gare al punto da costringere il Legislatore, nell’aprile dello scorso anno, a intervenire con il decreto “Sblocca-cantieri”.
A conferma di quanto appena premesso, non può che saltare agli occhi, oggi, il contributo decisamente marginale e poco incisivo sinora apportato dall’Autorità rispetto alla gestione dell’emergenza sanitaria da Covid-19. L’intervento dell’ANAC, invero, si è tradotto in poco più che sollecitazioni, suggerimenti e ridondanti “memo riepilogativi”. Persino l’ultimo atto di segnalazione inoltrato al Governo e al Parlamento – inerente alla (senz’altro opportuna) necessità di consentire alle Amministrazioni di procedere al pagamento delle imprese appaltatrici anche in deroga alle disposizioni dei documenti di gara e del contratto – non rappresenta di certo una trovata innovativa.
Con tale “segnalazione”, difatti, l’Autorità non ha fatto altro che mutuare di sana pianta le indicazioni che una stazione appaltante di rilievo nazionale (ANAS) aveva – lei sì – già tempestivamente impartito nel corso delle prime settimane dell’emergenza.
Troppo poco a fronte del generalizzato blocco degli affidamenti e della grave crisi di liquidità delle imprese che l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha provocato. E troppo poco, soprattutto, rispetto a quanto sarebbe stato lecito aspettarsi da un soggetto cui il legislatore ha delegato specifiche competenze regolatorie. Nell’ottica delle incerte (e complesse) dinamiche della ripresa post-emergenziale, dunque, occorre interrogarsi su come attuare il riavvio degli affidamenti e delle attività di cantiere senza infliggere alle gare pubbliche danni ancor più gravi di quelli già cagionati dal Covid.
Al riguardo va detto che, sin dall’entrata in vigore del codice degli appalti, è stato accesissimo il dibattito sul ruolo e le prospettive dell’ANAC; si è passati dalla sua abolizione alla creazione di un’Autorità “ancipite”, munita di un ramo appositamente dedicato alla vigilanza sul settore dei contratti pubblici. L’opzione corretta, a parere di chi scrive, si colloca però nel mezzo e consiste in un benefico e auspicabile “ritorno al passato”.
Le difficoltà riscontrate a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo numero 2016, invero, hanno costretto gli strenui difensori del “nuovo ad ogni costo” a prendere coscienza del fatto che non sempre “novità” si coniuga con “efficienza e qualità” (a maggior ragione se il “nuovo” è l’attuale Codice dei contratti). Alle volte, quindi, laddove le circostanze lo richiedano, la scelta più ragionevole coincide con un (meditato) “passo indietro” rispetto all’applicazione di norme e/o di meccanismi rivelatisi inefficaci e finanche controproducenti.
Ne è la prova l’approccio che il Legislatore ha adottato negli ultimi anni ogniqualvolta vi sia stato il bisogno di fronteggiare un’emergenza o di soddisfare esigenze “straordinarie”: ossia una deroga assoluta rispetto all’applicazione delle norme codicistiche (si ricordano, tra i tanti, il ponte Morandi, gli interventi da realizzare a Cortina per i Mondiali di sci, il G7 di Taormina e, da ultimo, l’acquisto di mascherine e degli altri necessari apprestamenti anti-Covid da parte della Protezione civile). Anche la via percorsa con lo “Sblocca-cantieri” per favorire la ripresa di lavori fermi da anni è consistita nella nomina di Commissari autorizzati a operare in deroga rispetto alle norme del Codice, oltre che nella sospensione, fino al 31 dicembre 2020, di quegli istituti catalogati come principali responsabili della paralisi degli affidamenti.
Con specifico riferimento alle competenze assegnate all’ANAC, poi, va senz’altro segnalato l’abbandono delle (improduttive) “Linee guida” in favore di un Regolamento attuativo unico (in linea con il sistema adottato in vigenza della legge Merloni e del “vecchio” codice degli appalti). Si tratta di una scelta legislativa che denuncia la condivisibile volontà di addivenire ad una significativa obliterazione delle competenze regolatorie dell’Autorità, quanto meno rispetto alle materie che saranno disciplinate dalla nuova normativa secondaria.
Sulla scia del “ritorno” al Regolamento unico, allora, si potrebbe prospettare un “ritorno” anche ad una Autorità specifica sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, cui conferire un’adeguata dotazione di personale appositamente formato in materia di contrattualistica pubblica. Ciò consentirebbe di ridimensionare e razionalizzare i compiti oggi affidati all’ANAC, riconducendoli a quelli già svolti dall’allora AVCP, con un taglio netto alle ingombranti competenze (in primis quelle regolatorie) inopinatamente attribuite all’Autorità dal decreto legislativo numero 50 del 2016.
La soluzione, seppur apparentemente drastica, risulta necessaria ove si consideri che – come emerge dalla pagina web dell’ANAC –, le funzioni svolte dall’Autorità sono già oggi (almeno in teoria) suddivise in due gruppi, “quelli relativi ai contratti pubblici e quelli in materia di anticorruzione e trasparenza”. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Questo significa che una mera riorganizzazione interna (sia pure mediante la creazione di una distinta “divisione contratti pubblici”) è ben lungi dall’essere sufficiente. Si rende dunque imprescindibile una separazione, anche formale, del soggetto istituzionalmente deputato alla vigilanza sulle gare pubbliche, lasciando l’Autorità Nazionale Anticorruzione ad occuparsi per l’appunto (e unicamente) della lotta alla corruzione.
Nelle more di una simile riforma di sistema, nell’ottica di attenuare gli inevitabili strascichi dell’emergenza sanitaria da Covid-19, andrebbe poi valutata concretamente, medio tempore, la possibilità di una integrale sospensione delle funzioni dell’ANAC, onde sottrarre le gare da svolgersi in regime post-emergenziale dagli appesantimenti che il nuovo Codice ha introdotto sin dal 2016.
* avvocato e professore di Legislazione delle opere pubbliche presso l'Università di Roma Tor Vergata
(da formiche.net)