di Vincenzo Olita (da Società Libera)
Nel giro di pochi anni abbiamo registrato un massiccio mutamento di opinione a proposito di liberalizzazioni ed intervento statale, si è passati dal plauso incondizionato e confuso, che non rilevava neppure la differenza tra privatizzazione e liberalizzazione, all’invocazione dell’intervento statale in ampi settori.
Siamo alla presunzione di un’estesa regolamentazione pubblica senza aver preso in considerazione che eccessi del capitalismo non sono il frutto di un fallimento dell’economia di mercato, ma di pratiche e politiche sconsiderate condotte in assenza di regole certe, controlli costanti e valori condivisi.
Il giudizio sul capitalismo non può non contemplare anche un atto d’accusa alla leaderschip politica che ha consentito, per assenza di vigilanza, dovuta ad una marcata confusione di ruoli, pure la crescita di un distorto sistema finanziario. L’insegnamento non sembra essere stato compreso visto che si indicano, come soluzioni e rimedi, massicci interventi pubblici, da più parti interpretati come propedeutici al ritorno dello Stato nella gestione del processo economico.
Sulla necessità di liberalizzare e semplificare, sburocratizzandoli, ampi settori che si intrecciano con la nostra quotidianità, riporto per i fautori di statalismo e nazionalizzazioni, una massima vecchia di circa 2500 anni del saggio filosofo cinese Lao-Tzu: “Più ci saranno proibizioni, più il popolo sarà povero; più leggi saranno promulgate, più ladri e banditi saranno in circolazione”.
Lo statalismo è una prassi politica che Luigi Sturzo nel 1959 definì come: “disordine, disarmonia, sopraffazione, violazione della personalità umana, rottura dell’organismo statale”, descrizione chiarissima per il pericolo che corrono le libertà individuali quando lo Stato, e quindi la politica, controlla ampi settori dell’economia.
Credevo sarebbe stato sul terreno dell’arretramento della politica e del ridimensionamento dell’apparato pubblico che avremmo misurato il cambiamento, invece siamo spinti a fare la valutazione sui livelli retributivi e sulla rivisitazione dei vitalizi dei parlamentari, modeste e minimali narrazioni che assurgono a rango di fuorvianti miti.
Nel frattempo, a proposito di apparato pubblico e burocrazia, il ministro della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno ci ha comunicato l’intenzione di assumere, entro il 2019, 450 mila dipendenti, con la motivazione che occorrono più Vigili del Fuoco e più cancellieri per l’Amministrazione giudiziaria, per questi è del 2017 l’effettuazione di un concorso per 1400 unità.
Anche volendo incrementare le due posizioni di qualche decina di migliaia di posti, è necessario chiedersi quale intercapedine della burocrazia occorra ulteriormente rafforzare. Siamo all’espansione della struttura burocratica, altro che ridimensionamento e modernizzazione.
Se non fossi un po’ avveduto rispetto alle vicende politiche e culturali, se non fossi culturalmente abituato a stare lontano da falsi miti e da cattivi maestri, non potrei con sicura onestà affermare, come affermo, che la connotazione politica, espressa in particolare dai 5Stelle, va assumendo caratteri di ridicolaggine sconcertante.
L’autosoddisfazione, l’autobenevolenza, il compiacimento, in politica, non sono solo modelli di comunicazione, ma anche annuncio di futura stagnazione e di un prossimo certo declino. Non c’è bisogno di citare esempi o fare riferimenti, é sufficiente che ognuno faccia scorrere un rapido riavvolgimento della propria memoria storico-politica, per verificare e avvalorare la mia considerazione.
Come ammiratore di Popper e delle sue teorie sulla fallibilità e la confutazione, quanto mai lontane da un razionalismo costruttivistico, che crede nella possibilità di poter sempre dirigere e predeterminare processi e trasformazioni socio-politici, non mi è difficile persuadermi che l’essere dei consapevoli liberali deve poter presupporre il non lasciarsi ingabbiare da nessun potere, specie da quello politico, men che mai se espresso da una evanescente, ma statalista, dirigenza a 5Stelle.
(da Società Libera)