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16/11/24 ore

Perché fermare la deriva illiberale



di Biagio de Giovanni (da Il Messaggero)

 

È così raro che si apra una discussione non fatta di insulti, ma di idee diverse a confronto, che la tentazione - cui dò subito seguito - è quella di rispondere senza por tempo in mezzo all'editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera di ieri che riprende un dibattito cui avevo, con altri, partecipato. Tema: che giudizio dare del Movimento Cinque Stelle? Quale il suo rapporto con lo stato della nostra democrazia?

 

Adeguato o inadeguato, o addirittura fuori luogo, usare l'aggettivo “eversivo”? Galli della Loggia prova ad allargare l'orizzonte del problema in due direzioni, di una delle quali vorrei subito liberarmi, quella che dice: tutta la discussione punta ad escludere il Movimento da una possibile maggioranza di governo e a preparare l'intesa tra Renzi e Berlusconi, sotto l'egida (o l'alibi) della Grande Coalizione.

 

Almeno il mio interesse, l'unico di cui sono responsabile, è assai più disinteressato, appassionato come sono sia alla storia sia alle idee, e soprattutto preoccupato come sono (e qui siamo in tanti, compreso lo storico amico) sul futuro dell'Italia.

 

A chi, come il sottoscritto, aveva sottolineato sia il carattere dichiaratamente palingenetico del Movimento sia la sua idiosincrasia per ogni dialogo - o almeno riconoscimento politico e non magari giudiziario del “nemico”- e aveva parlato del carattere eversivo del Movimento, Galli della Loggia risponde: la storia politica d'Italia è piena di situazioni simili, dai tempi del vecchio Pci a quelli dell'irruzione di Berlusconi sulla scena politica nei primi anni Novanta.

 

Quanti insulti reciproci!

 

E Togliatti che, nel 1948, voleva cacciare De Gasperi dall'Italia con un calcio dei suoi stivali. Quanta violenza anche allora nel dibattito pubblico. Mi permetto di sollevare qualche dubbio. Il Pci, vivaddio. Un partito che nasceva dal più grande contrasto della storia del Novecento, un movimento che aveva mobilitato in tutto il mondo milioni di uomini e fatto scricchiolare interi sistemi di idee.

 

Certo che il discorso politico, nobilissimo se colto in questa dimensione, si sviluppava nel reciproco disconoscimento, anche se non è possibile dimenticare che in quello stato di cose la Costituzione fu approvata dal Parlamento quasi all'unanimità e i due grandi partiti di massa, Pci e Dc, contribuirono alla rinascita dell'Italia dalle macerie della guerra: vorrei proprio vedere oggi.

 

Berlusconi? Ricordiamo l'occasione della sua irruzione sulla scena? Era avvenuto un fatto senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali, un intero sistema politico democratico era stato azzerato da una inchiesta giudiziaria, la distruzione di tutti i partiti, complice il 1989, una anomalia che pesò sull'intera vicenda successiva portandosi dietro quella drammatica origine che ha pesato in vari modi sulla qualità della nostra democrazia e sull'equilibrio dei suoi poteri.

 

Berlusconi nacque sull'azzeramento politico totale della prima repubblica. E da qui l'asprezza di contrasti che apparivano irriducibili.

 

Oggi, lo stato delle cose somiglia anche vagamente alle situazioni ricordate? Nemmeno in sogno, tutt'altro il tipo di gravi problemi che ci troviamo di fronte. I caratteri della lotta politica in Europa sono ormai disegnati dagli anni dell'ultima crisi economica, e hanno i tratti di una lotta da ultima, o al massimo pen ultima, spiaggia. È proprio vero che l'Italia sia un Paese alla deriva e che il famoso 58%, astenuti+Cinque Stelle, ambigua somma di cose diverse, vada messo in un unico fascio? L'Italia è in difficoltà ma è in campo, prova a fare politiche, dialoga in Europa.

 

Cominciamo col dire che lo sguardo oggi deve (ed è un obbligo spesso disatteso) volgersi oltre i confini dei recinti nazionali, deve guardare più lontano, valutare da quella veduta il disegnarsi delle posizioni in corso.

 

È l’unico punto di prospettiva da cui giudicare le cose. La lotta è tra lo sforzo di preservare il nucleo serio e profondo dell’integrazione europea, misurarsi con una cultura difficile e complicata, tecnica e politica insieme, il tutto nel grande caos del mondo, oppure gettare tutto alle ortiche, il celebre bambino con l'acqua sporca: o per meditata (si fa per dire) intenzione, o per assoluta incapacità culturale a contribuire al governo di un sistema di quella complessità.

 

I cosiddetti populismi italiani, i Cinque stelle tra essi, si distinguono per un energico primitivismo culturale, cosa che oscura e falsa le ragioni che ne hanno determinato l'insorgere e che ne fanno, incontestabilmente, un pezzo significativo dell'elettorato. Va detto questo, o è troppo?.

 

Atteggiamenti eversivi nascono spesso da semplice incultura, non sono rappresentati da manipoli armati, non sono antidemocratici (parola assai vaga, per la verità, cui non saprei attribuire un significato), ma, sì, profondamente illiberali. Legati- insisto-al rigetto “violento" dell'esistente, violento in quella forma che, in prima battuta, è propria dell'uomo, la parola, e che coinvolge uomini e cose, ma in un orizzonte in cui nessun disegno politico si delinea.

 

Il Movimento Cinque stelle, in questo quadro, è l'anticamera di una democrazia illiberale, che  nega la nobiltà di principio della rappresentanza, e dunque il ruolo del parlamento, rifiuta la discussione politica nella società a favore di un clic e di un blog, e non aggiungo altro a cose già dette sulle mitologie che ha messo in giro, e che sono tante.

 

Vogliamo sostituire illiberale a eversivo? Per me non cambia molto purché si tenga fermo che quegli aggettivi, qualunque dei due si preferisca, mutano tutto nel giudizio sullo stato delle cose in Italia e sulle prospettive oscure che si disegnano nel suo destino politico. La Germania farà la Grande Coalizione.

 

La Francia è già ripartita. L'Inghilterra se ne va. I temi si complicano, sempre più sottili, esposti ai colpi di culture primitive, o da snidare, invece, con atteggiamenti  e idee che, almeno in punto di principio, sappiano con che cosa si ha a che fare e che cosa fare.

 

Un Movimento, con un carico, potente e fragile insieme, di illiberalismo e di demagogia palingenetica, non potrà fare la sua parte.

 

Continuerà a gridare "onestà, onestà”,grido che tutti noi che ci consideriamo onesti vogliamo accogliere, a una condizione che fu segnalata in un celebre saggio di Benedetto Croce sull'onestà in politica: dove il filosofo, uomo di specchiata onestà, scriveva che, sì, quel richiamo andava condiviso, purché ciò non dovesse significare far parte di quell'areopago di “imbecilli" (l’aggettivo è di Croce) che pensano che l'onestà possa sostituire la capacità politica e la competenza.

 

(da Il Messaggero)

 

 

 


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