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19/11/24 ore

Il panorama jihadista del Sinai



Analisi del Centro Studi Internazionali

 

Lo scorso 31 ottobre, un aereo di linea della compagnia russa Kogalymavia, operante il volo 7K9268 / KGL9268 tra Sharm el-Sheikh e San Pietroburgo, è precipitato nella Penisola del Sinai, causando la morte di 224 persone, in grande maggioranza cittadini russi.  Quanto accaduto al volo 7K9268, nonostante la prudenza delle autorità sia egiziane che russe sulle cause dell’incidente, ha diretto l’attenzione dei media internazionali sulle attività di Ansar Bait al-Maqdis (ABM), gruppo attivo in Sinai e ufficialmente affiliato allo Stato Islamico.

 

In ordine di tempo, l’ultimo spettacolare azione di ABM è avvenuta lo scorso 16 luglio, quando un guardacoste egiziano di 26 metri è stato colpito da un missile, presumibilmente un 9K129 KORNET (nomenclatura NATO AT-14 SPRIGGAN) mentre era impegnato in uno scontro a fuoco con un gruppo di miliziani nei pressi di Rafah. L’imbarcazione, a seguito della deflagrazione dell’ordigno, ha subito ingenti danni, mentre fonti militari egiziane hanno confermato il ferimento di parecchi membri dell’equipaggio.

 

La responsabilità dell’attacco è stata rivendicata dai miliziani di Ansar Bait al-Maqdis, il gruppo terroristico attivo sin dal 2011 nella Penisola del Sinai e che, nel novembre 2014, ha effettuato il bayat  (giuramento di fedeltà) allo Stato Islamico. Il riconoscimento ufficiale da parte del Califfato in favore di ABM ha permesso di comprendere sia la forza raggiunta dal gruppo sia l’interesse che il movimento di Abu Bakr al-Baghdadi riserva alle realtà jihadiste del Sinai. Basti pensare che il privilegio dell’affiliazione è stato riservato soltanto al Califfato di Bayda in Libia e a Boko Haram in Nigeria, due realtà che condividono con ABM il determinante fattore della territorializzazione e della statalizzazione. Questo salto di qualità all’interno della geografia terroristica si è esplicitato con il cambiamento del nome dell’organizzazione in Wilayat Sinai (“Provincia del Sinai”), e facendo diventare la penisola formalmente uno dei distretti del Califfato.

 

ABM ha iniziato le proprie attività nel 2011, alcuni mesi dopo la destituzione del Presidente egiziano Mubarak, con il nome di Ansar Jerusalem. Fondata dall’ex membro dei Fratelli Musulmani Khairat al-Shater, ABM è guidata da Ahmed Salam Mabruk, una delle figure di maggior rilievo nel panorama jihadista egiziano, forte di comprovati legami con Aymar al-Zawahiri e con la leadership centrale di al-Qaeda (AQ). Tuttavia, come spesso accaduto nel recente passato di AQ, quando molti leader miliziani si sono gradualmente sganciati dall’organizzazione, anche Mabruk, con il passare del tempo, ha sposato un’agenda politica ed operativa sempre più autonoma. Tale processo ha raggiunto il proprio apice con l’affiliazione di ABM ad IS.

 

Dal punto di vista strutturale, ABM è nata dalla confluenza di tre elementi fondamentali. Il primo è costituito dai miliziani jihadisti egiziani di lungo corso, legati a gruppi protagonisti della lotta contro il governo centrale sin dagli anni 90, come al-Gamaa al-Islamiyya, Jamaat al-Tawhid wal-Jihad o le Brigate Abdullah Azzam. Queste realtà si sono rese protagoniste di una perdurante stagione di attentati nella Penisola del Sinai e contro i centri turistici di Luxor o Sharm el-Sheikh, con il duplice intento di colpire sia uno dei settori strategici dell’economia egiziana sia i visitatori occidentali qui presenti. Il secondo elemento è rappresentato dalla multiforme galassia di militanti entrati a far parte del gruppo tra il e il 2015, alcuni appartenenti al fluido network di al-Qaeda nella

Penisola del Sinai (AQPS), altri al flusso di prigionieri politici tornati in libertà dopo la caduta di Mubarak e l’amnistia concesso dal governo, altri ancora giunti dalle sezioni più estreme della Fratellanza Musulmana all’indomani della sua messa al bando seguita al colpo di Stato del Generale al-Sisi.

 

Oltre a queste componenti autoctone, ABM è stato l’approdo anche di attigui gruppi trans-nazionali e palestinesi, come il Consiglio della Shura dei Mujahideen nella regione di Gerusalemme (CSMG), movimento nato a cavallo tra la Striscia di Gaza e il Sinai. Infine, il terzo elemento riguarda le realtà tribali beduine dell’area. Le maggiori di queste sono la Sawarka e la Tarabin, situate nel nord, e la Muszeina a sud. Con la caduta di Mubarak, si è verificata la rottura dell’equilibrio e del complesso sistema di accordi che regolavano i rapporti tra le autorità del Cairo e le realtà beduine che abitano il Sinai.

 

Tali accordi si basavano sul principio di non ingerenza dello Stato negli affari delle tribù, che sostanzialmente si autogovernavano con le proprie leggi, amministravano autonomamente i territori di stanziamento e gestivano i traffici illeciti transitanti nella regione, in cambio dell’esclusione dei rappresentanti beduini dalle istituzioni civili e militari del Paese. In realtà, questo patto non scritto è risultato molto spesso farraginoso e di difficile applicazione, soprattutto quando, con lo sviluppo dell’industria turistica egiziana, i beduini hanno cominciato a chiedere un maggior sostegno finanziario da parte delle autorità.

 

La conseguenza di queste acredini è stata l’inizio di un perdurante conflitto a bassa intensità con il Governo. La rivoluzione del 2011 e la diminuzione del controllo del territorio da parte delle Forze Armate e di Polizia egiziane hanno permesso ai beduini di accrescere la propria influenza e il proprio potere, nonché di stringere una nuova e più solida alleanza con le reti salafite e jihadiste citate in precedenza. Il pericoloso collante tra realtà tribali e terrorismo è stato quindi reso possibile dalla presenza di un nemico comune: il governo centrale egiziano. Un’interazione che sarebbe ulteriormente cresciuta durante la crisi economica del Paese e che ha permesso ai gruppi salafiti operanti in Sinai di guadagnare terreno e consenso tra la popolazione. 

 

Ad oggi, ABM si è affermato come la realtà terroristica più influente del Sinai e risulta operativo soprattutto nei territori centro-settentrionali della Penisola, nei pressi del confine israeliano, tra Rafah, al-Arish e Sheikh Zuweid. Il gruppo si compone di miliziani egiziani e stranieri, compresi yemeniti, sudanesi e libici, e conta circa 2000 unità. A tal proposito, è opportuno sottolineare che, a seguito dell’affiliazione ufficiale avvenuta con IS, ABM potrebbe ora beneficiare anche sul network di reclutamento e sulle risorse umane provenienti dalla città siriana di al-Raqqa.

 

Prima che nella Penisola del Sinai, l’attività di ABM si era sempre concentrata verso il territorio di Israele, e questo primariamente attraverso il lancio di razzi. Il gruppo ha però cambiato radicalmente direzione strategica in seguito al colpo di Stato che, nel 2013, ha deposto il Presidente, nonché leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi. Infatti, da quel momento, ABM ha cominciato a concentrare i propri attacchi sia verso le città turistiche del Sinai sia verso le Forze Armate e di Sicurezza egiziane.

 

In secondo luogo, ABM ha compiuto una decisa evoluzione qualitativa in tema di armamenti e tattiche impiegate negli scontri, arrivando a dotarsi di razzi sempre più sofisticati, armi pesanti, anticarro e perfino MANPADS da utilizzare in questo caso nel contrasto all’Aeronautica Egiziana. Un salto di qualità resosi possibile grazie agli ingenti quantitativi di armamenti trafugati dalla Libia a seguito della caduta del regime di Gheddafi nel 2011, o giunti attraverso i canali del traffico iraniano-sudanese diretto verso la Striscia di Gaza ma interrotto in Sinai a causa della distruzione dei tunnel sotterranei.

 

Grazie a queste acquisizioni, ABM è stato in grado di aumentare la propria letalità. Uno degli attentati più eclatanti, dal punto di vista mediatico, è avvenuto lo scorso 1 luglio,

quando le milizie jihadiste hanno attaccato in maniera simultanea ben 21 postazioni governative nel Nord del Sinai, lasciando sul campo decine di morti tra le fila egiziane e costringendo Il Cairo ad inviare mezzi pesanti e caccia per il loro contrasto.

 

Il 9 giugno scorso, poi, ABM aveva attaccato il sito di al-Juna, base ospitante la componente aerea della MFO (Multinational Force of Observers). L’episodio, oltre che per la rilevanza in termini militari, costituisce un campanello d’allarme in quanto potrebbe indicare una crescente tendenza a scagliarsi contro obbiettivi occidentali-internazionali, una tipologia di target che fino all’attacco di al-Juna non aveva destato un particolare interesse per l’organizzazione del Sinai. Resterà da vedere come nel prossimo futuro evolverà il rapporto tra ABM e la casa madre di al-Raqqa, sia in termini di influssi in tema tecnico-operativo, visto il crescente impiego di autobombe ed ordigni artigianali, sia in termine di scelta degli obbiettivi da attaccare.

 

Centro Studi Internazionali (www.cesi-italia.org)

 

 


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