Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/12/24 ore

Giudici e politica. Le timide proposte del Csm



di Sabino Cassese

(da corriere.it)

 

Il Consiglio superiore della magistratura ha fatto sette proposte sui rapporti tra giudici e politica al ministro della Giustizia, perché questi promuova un disegno di legge sulla materia. Sono proposte dirette ad allineare il trattamento dei magistrati che entrano nella politica locale a quello dei giudici impegnati a livello politico nazionale e a regolare, per gli uni e gli altri, i casi di prolungato impegno fuori dell’ordine giudiziario.

 

Oggi, infatti, un magistrato può fare il presidente di una Regione o il sindaco esercitando contemporaneamente la funzione giurisdizionale, sia pure in altra circoscrizione, oppure può svolgere a lungo attività politica e al termine ritornare nei ranghi.

 

Si tratta di proposte giuste, ma timidissime e corporative. Partono da una diagnosi parziale, quella di «gruppi politici, in crisi di autorevolezza, [che] cercano magistrati noti al pubblico per le indagini svolte o incarichi di prestigio ricoperti per candidarli ad assemblee elettive e affidargli incarichi di governo».

 

Non tengono conto che c’è anche l’opposto, una politicizzazione endogena, costituita da giudici e procuratori che corrono verso la politica, con una esondazione pervasiva tale da far scrivere che da uno Stato di diritto si ritorna a uno Stato di giustizia. Basti dire che i parlamentari-magistrati sono triplicati negli ultimi venti anni.

 

Tre gli interrogativi che la proposta suscita. Poteva, in primo luogo, il Consiglio della magistratura fare esso stesso di più, lungo la linea delle sue due circolari del 2009 e del 2014, con la sua attività «paranormativa», per arginare un fenomeno che mina l’indipendenza dell’ordine giudiziario?

 

Proprio ieri l’Associazione nazionale magistrati, nel suo congresso barese, ha ribadito la tesi del «governo autonomo della magistratura»: perché l’organo di governo non ha invitato o non invita i magistrati a garantire la propria distanza dalle carriere politiche amministrative?

 

Secondo: perché il Consiglio non si preoccupa anche delle cariche non elettive? L’imparzialità del giudice non è minata anche dalla nomina governativa a posizioni di vertice dell’amministrazione o di enti e autorità pubbliche?

 

Terzo interrogativo: basta dire che un magistrato che si dedica ad attività politiche o politico amministrative deve farlo fuori della circoscrizione in cui ha svolto la sua precedente funzione e deve mettersi fuori ruolo, salvo ritornare, poi, nei ranghi giudiziari?

 

Non è comunque minata la sua immagine di persona indipendente e imparziale, per aver manifestato pubblicamente una appartenenza politica, per essere andato nelle piazze a nome di un partito, per aver goduto della fiducia di un governo, nazionale o locale? Quale assicurazione di indipendenza e di imparzialità potrà dare, dopo aver svolto l’attività politica per un partito, a chi dovrà essere sottoposto alle sue indagini o al suo giudizio? …

 

- prosegui la lettura su corriere.it

 

 


Aggiungi commento