di Guido Vitiello
(da Il Foglio)
A Parigi, nei primi anni Novanta, Enrico Vanzina s’imbatté in un libro della classicista francese Florence Dupont, “La vie quotidienne du citoyen romain sous la république”, lo lesse e pensò: quasi quasi propongo a mio fratello Carlo di fare un peplum, un film in costume antico romano, sull’Italia di Tangentopoli.
Nasce così il cinepanettone del Natale 1994, “S.P.Q.R. – 2000 e 1/2 anni fa”, a tutt’oggi il tentativo più ambizioso – anzi, semplicemente l’unico, mentre il cinema cosiddetto civile temporeggiava – di raccontare in un solo film la fine della Prima repubblica, le inchieste sulla corruzione, lo scontro tra magistratura e politica, la nascente mitologia del giudice combattente, il rapporto schizofrenico dell’italiano comune con la legge e la giustizia, l’irruzione scomposta delle leghe e dei qualunquismi.
Non so quale libro stesse leggendo Stefano Accorsi quando gli è venuta in mente l’idea di “1992”, la fiction su Mani pulite che andrà in onda in primavera su Sky Atlantic, e che era prevista per l’autunno, e io, mannaggia, avevo già preparato i popcorn; ma a giudicare dalle foto di scena circolate finora si direbbe che ha visto se non altro moltissime copertine di MicroMega, specie quella più famosa dove il trio Di Pietro-Davigo-Colombo è trasfigurato in icona warholiana.
Ecco allora, in una delle prime immagini di “1992”, il pool schierato come falange politica o come legione romana sui gradini del Palazzo di giustizia di Milano; una copia iperrealista dell’originale e, proprio in quanto iperrealista, involontariamente caricaturale. C’è un Antonio Di Pietro a braccia conserte, la mascella prominente bene in vista, quasi a richiamare l’immortale ritratto mussolineggiante che ne fece a suo tempo Giorgio Bocca (“una bella faccia italica piantata su un fusto muscoloso, da condottiero di ventura…”); alla sua destra un Gherardo Colombo inopinatamente spilungone, l’aria spaesata e timida dell’intellettuale che si trova catapultato sul fronte, un po’ come il soldato Joker di “Full Metal Jacket”; e alla sua sinistra il povero Piercamillo Davigo, qui ridotto a una specie di pupazzone inamidato senza braccia e senza collo, con la cravatta troppo corta, i vestiti tragicamente fuori taglia, gli occhialoni da ragionier Filini.
La didascalia perfetta sarebbe “Arrivano i titani”, titolo di un vecchio peplum di Duccio Tessari dove gli invincibili eroi erano richiamati dall’averno con la missione di catturare un re corrotto e portarlo a giudizio da Zeus. E’ solo una foto di scena, d’accordo, e chissà come sarà la fiction; ma offre l’occasione per meditare su una magnifica inversione ironica, quasi un chiasmo...
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