di Marianna Rizzini
(Il Foglio)
“La Bellezza non può attendere”, si sono detti, e si dicono, gli occupanti del Teatro Valle – ora in festa, assieme al professor Stefano Rodotà, per aver depositato dal notaio lo statuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune, anche definita, dagli occupanti, la “prima istituzione dell’imprudenza”, il “salto nel vuoto”, la “lucida follia”.
Se lo dicono da soli, “lucida follia”, ma finora nessuno gliel’ha davvero detto da fuori, dalle istituzioni, immobili in nome del “laissez-faire” e della paura di andare a toccare quello che per un certo sentire è intoccabile, pena l’accusa di voler uccidere la “cultura” (anche se è da vedere che cosa sia “cultura” e che cosa no in quel susseguirsi di workshop e mostre di videoarte sperimentale e ore di “formazione” che ingombrano il cartellone autogestito di un teatro storico di Roma, anche bene demaniale).
La stagione, ridateci la stagione, provano a dire ogni tanto, inascoltati, i cittadini non occupanti (difesi a volte dall’Unità e dal Corriere della Sera edizione locale). Cittadini che vorrebbero tornare al Valle ma non sempre per partecipare a un “laboratorio” o, se va bene, per assistere a una serata collettiva dei multi-artisti sostenitori, corredata dal passaggio al bar di fronte per il bicchiere di vino e la pacca sulla spalla con l’immancabile Fabrizio Gifuni (nume tutelare assieme a Elio Germano e a Rocco Papaleo).
Gli artigiani storici di via del Teatro Valle qualche volta si affacciano e trasecolano, incuriositi per la varia umanità che siede ai tavolini a tutte le ore del giorno. “Ma il Valle, quello vero, quando torna?”, ha chiesto una volta un cliente del sediaio, solo che nessuno poteva rispondere.
E alla fine se lo dimenticano, il Valle per com’era il Valle, i molti cittadini che prima andavano colà a vedere spettacoli buoni e meno buoni, magari non Luigi Pirandello (lì debuttò, nel 1921, male accolto, il suo “Sei personaggi in cerca d’autore”), ma comunque adatti al cartellone di un teatro “bene pubblico” (non privatizzato da un gruppo di amici della “comune”). Come pure se lo dimenticano, il Valle, gli attori e gli autori che non sono d’accordo con l’occupazione a oltranza e la gestione “comunarda”: tanto, dicono, o sei dei loro o niente.
Meglio non fare nulla, si pensava in Campidoglio, evidentemente, nei mesi successivi all’occupazione; meglio non passare per rudi sgomberatori alla Zuccotti Park, era il pensiero sotterraneo dell’amministrazione Alemanno, arenatasi su scarni tentativi di mediazione (subito falliti). E ora che dal Pd è arrivato il sindaco in bici Ignazio Marino, l’assessore alla Cultura Flavia Barca si ritrova con un problema che lascia poco spazio alla soluzione demagogica...
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