Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

16/11/24 ore

Nella stanza di Marco Pannella: "senza giustizia preferisco morire"



di Francesco Merlo

(da repubblica.it)

 

Ha mangiato due mandarini per ringraziare Mario Monti, un menù da galera, forse in onore dei detenuti per i quali si batte. E così Marco Pannella ci ha regalato pure un sorriso, anche se per ricominciare davvero a bere e a mangiare vorrebbe qualche nome, Vasco Rossi per esempio, "che però non sta bene e ha paura di non essere capace", e "Umberto Veronesi e Franco Battiato e Roberto Saviano e poi ci sono tanti giornalisti, scienziati, cantanti come Celentano e i fratelli Bennato, e gli artisti..., ma non ho voglia di fare lunghi elenchi".

 

Vorrebbe quattro nomi trascinanti, di quelli "stoconMarco", che si candidino in una lista "rosa nel pugno per la giustizia e per l'amnistia", per farci spalancare gli occhi e costringerci a guardare l'ingiusto e il disumano delle prigioni, "il reato flagrante che lo Stato commette violando i diritti più elementari nelle carceri e il diritto alla normale durata dei processi: il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa condanna l'Italia da più di trenta anni".

 

Quattro nomi dunque per aprire le porte delle carceri e infilare l'Italia nel bugliolo, nella puzza. E nelle violenze di quell'universo concentrazionario, nella sua ripugnanza: "Attenzione però: non è un problema di pietà, ma di giustizia".

 

Sdraiato sul lettino di ferro da malato con le sue bretelle a quadretti, le lunghe calze blu, la maglia a righe orizzontali, le mani che un critico d'arte definì michelangiolesche, Marco parla in pannellese, che non è mai stato un linguaggio semplice, "non c'è sulla terra una sola parola che lo sia", ma che adesso è armoniosamente inarrestabile. Ed è percorso da sibili: "Quel Maroni è l'assassino degli immigrati che respinse in mare, glielo abbiamo detto e lui ha risposto che non gliene frega nulla". E poi fragorosi non-stop su argomenti come il sensus fidelium che un ironico sussurro trasforma in consensus fidelium.

 

Il suo colloquiare dirama per rivoli inaspettati sino allo spiritualismo e all'energia: "Il non uccidere vale anche per la legittima difesa, perché se sei bravo devi ferire, invece che uccidere". E ancora arrivano fischi perentori su uomini e cose che sembrano nominati per caso: "Napolitano non fa il garante ma l'impiccione e vuole fare il padrone dell'Italia".

 

Poi improvvisamente il lessico diventa quello immediato della libertà, più pericoloso di qualsiasi controprova e di qualsiasi violenza del potere: "Ho spiegato a Mario Monti che il mio sciopero della fame non vuole costringerlo a fare le cose che non vorrebbe fare ma, al contrario, che voglio aiutarlo a fare le leggi che non riesce a fare".Gli obietto che se ha parlato così con Mario Monti, allora forse lo ha un po' confuso. E mi racconta che Monti gli ha detto: "Quando uscirò da qui vorrei che tu ricominciassi a bere. Cosa posso fare?". Pannella gli ha risposto con le teorie dell'ascesi e della non violenza. Poi in serata ha mangiato appunto i due mandarini che ha dedicato a Monti con l'augurio del brindisi.

 

La sua battaglia ha sempre un sottofondo ilare, la risata gli veste la bocca scavata. A Monti ha pure parlato di Clemente, l'infermiere indiano che lo accudisce e che lo considera un guru, "una parola che secondo Clemente vuol dire più alto delle altezze dell'Everest". Clemente gli dice pure che "anche l'India avrebbe bisogno di gandhiani come me". E per un attimo ci passano davanti le ombre dei due marò italiani reclusi in Kerala. Ma poi, come solo Pannella sa fare, tutto è diventato concreto e hanno parlato di amnistia e di leggi...

 

prosegui la lettura su repubblica.it


Aggiungi commento