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16/11/24 ore

Primarie centrosinistra, le fantasie economiche di Bersani e Renzi


  • Ermes Antonucci

Chiusa la parentesi televisiva, il confronto tra i candidati delle primarie del centrosinistra prosegue in vista del voto del prossimo 25 novembre. Il tema centrale ovviamente resta – e lo sarà per le stesse elezioni politiche nazionali – la grave situazione di crisi economica che sta attraversando il nostro Paese, e nel complesso l’Europa.

 

 

Ma cosa propongono concretamente i due principali sfidanti, Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, per porre un argine alla spirale depressiva e rilanciare la crescita? Alcuni punti dei rispettivi programmi lasciano perplessi.

 

Per il segretario del Pd, “il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari”. Un’azione del genere non può prescindere da una reale svolta nella lotta all’evasione fiscale, la più alta d’Europa, e di questo Bersani è consapevole: “Bisogna parlare prima di lotta all'evasione, senza quella è difficile fare qualsiasi operazione”.

 

Tuttavia – paradossalmente – nella famosa Carta d’intenti firmata da Pd, Sel e Psi, la questione “evasione fiscale” viene citata una sola volta, in modo generico, e nulla viene detto circa le modalità con cui intensificare questa battaglia. Occorre, infatti, andare a guardare le dichiarazioni di Bersani (alcune rilasciate anche nel confronto televisivo) per sapere su cosa il suo Pd intende intervenire: lotta ai paradisi fiscali, mai più condoni, tracciabilità dei pagamenti in contanti (oltre i 300 euro), incrocio sulle banche dati, imposta personale sui grandi patrimoni immobiliari, tracciabilità dei patrimoni finanziari. Ma di cifre, purtroppo, non v’è traccia.

 

Il secondo passo da compiere, recita il programma, è “contrastare la precarietà”, ma in modo sbalorditivo anche qui non viene specificata quale via intraprendere. Per di più nel dibattito su Sky, Bersani si è limitato a dire che sulla riforma Fornero “per quanto riguarda la precarietà io non sono soddisfatto”.

 

Il terzo passo, continua sempre il programma, è “spezzare la spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione”. Anche questo è un punto poco chiaro, e l’intervento di Bersani sempre lunedì scorso ha chiarito solo le finalità: “Bisogna cercare di mettere dentro il sistema produttivo più innovazione, più tecnologia, più agenda digitale, più efficienza energetica, perché è qualificando la produzione a quel punto le imprese devono assorbire manodopera qualificata, scolarizzata, diplomata e laureata”.

 

Questa sensazione di superficialità viene alimentata anche dall’assoluta astrattezza di alcune proposte. La conclusione del capitolo relativo all’economia è da questo punto di vista emblematico: “Fondare sul lavoro e su una più ampia democrazia nel lavoro la ricostruzione del Paese”, perché “pensiamo che il lavoro non sia solo produzione, ma rete di relazioni, equilibrio psicologico, progetto e speranza di vita; la possibilità offerta a ciascuno di noi di trasformare la realtà”.

 

Passando a Matteo Renzi, il punto centrale del suo programma economico è ben diverso da quello del suo avversario, e cioè “ridurre il debito attraverso un serio programma di dismissioni del patrimonio pubblico”. Il piano prevede, tra cessione di immobili pubblici, cessione di partecipazioni in aziende e capitalizzazione delle concessioni statali, un rientro di 140 miliardi di euro. Un’operazione, per la sua entità, mai realizzata e sulla quale permangono forti dubbi sulla sua realizzazione futura, anche in relazione alle condizioni di mercato.

 

Era il ministro dell’Economia Vittorio Grilli ad affermare, in un’intervista pochi mesi fa al Corriere: “Sarei felice di dare un colpo secco al nostro debito pubblico e portarlo a quota 100, sarebbe bellissimo. Purtroppo, diciamo la verità, non ci sono più gli asset vendibili dello Stato e degli enti pubblici, come 20 anni fa. Vi è un patrimonio di difficile valorizzazione, come insegnano le esperienze non felici di Scip1 e Scip2 (società create per vendere o cartolarizzare le proprietà degli enti), molte attività sparse a livello locale”. Ma Renzi, evidentemente sa qualcosa che ora neanche il ministro dell’Economia conosce.

 

Sulla questione dell’evasione fiscale, il comportamento del sindaco di Firenze non cambia: la proposta è quella di ridurre entro 5 anni l’evasione di un terzo, e recuperare così 40 miliardi di euro. Tutto ciò attraverso la creazione di un’unica Agenzia “che abbia anche poteri di coordinamento della Guardia di Finanza”, fornendo alle strutture “dotazioni tecnologiche di avanguardia che consentano di incrociare le dichiarazioni dei redditi con i dati rilevanti del contribuente”. I numeri anche in questo caso appaiono a prima vista decisamente pretenziosi, volti più a stimolare la fantasia dell’elettore che non a fornire un quadro concreto dell’efficacia delle strategie che si intende intraprendere.

 

In definitiva, osservando le diverse proposte economiche concretizzarsi in progetti superficiali, in iniziative discutibili dal punto di vista realizzativo, o in veri e propri slogan elettorali, si spera che nella pratica i due contendenti sapranno dimostrarsi più abili che nella teoria.


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