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15/11/24 ore

Riflessi nazionali del voto in Sicilia


  • Ermes Antonucci

L'esito del voto in Sicilia porta con sé ovvie ripercussioni sulla politica nazionale e permette di avanzare alcune considerazioni che vanno aldilà dei confini isolani. Nel centrosinistra il dibattito si concentra principalmente sul tipo di alleanza da realizzare in vista delle prossime elezioni di aprile. Rosario Crocetta è riuscito a prevalere con il sostegno di una coalizione composta da Pd, Udc, Api e Psi, e in molti vedono in questa unione a tendenza moderata la strategia migliore per il futuro.

 

Secondo il leader dell’Udc Pierferdinando Casini “il rapporto tra moderati e progressisti si conferma l’unico antidoto contro populismi ed estremismi”. Una lettura condivisa anche da settori interni al Partito Democratico: Beppe Fioroni, che guida la corrente vicina ai centristi, ha invitato Bersani ad allearsi con Casini e a sostenere un nuovo governo Monti, mentre Marco Follini (che proprio dall’Udc proviene) ha consigliato di meditare sul fatto che “l’alleanza tra Pd e Udc è vincente”.

 

Considerazioni che lasciano il tempo che trovano, se si tiene conto dello storico appeal – difficilmente visibile ed “esportabile” altrove – che il partito centrista da sempre possiede sull’elettorato siciliano. Insomma, pensare che la leggendaria roccaforte della Democrazia Cristiana possa rappresentare un panorama sul quale elaborare analisi politiche a carattere nazionale – oltre che progettare ardite riproposizioni di tali dinamiche – risulta essere del tutto ingenuo.

 

Ancor più singolare, se possibile, è apparsa essere l’affermazione del segretario del Partito Socialista Riccardo Nencini per la quale in Sicilia ha vinto Crocetta e “l’alleanza che da aprile governerà l’Italia”. Non si comprende bene a quale alleanza si riferisse Nencini, dato che l’unico accordo per ora formalizzato in vista delle politiche è quello tra Pd, Psi e Sel di Vendola, decisamente antitetico ad un immaginario connubio tra progressisti e centristi.

 

All’interno del Pdl, invece, infuriano le polemiche dopo il crollo di circa 20 punti percentuali rispetto alle elezioni regionali del 2008. Secondo il segretario Angelino Alfano l’errore principale è stato quello di presentare un centrodestra diviso alle urne: “In Sicilia abbiamo perso perché abbiamo diviso i moderati”. Dello stesso parere Adolfo Urso, presidente di Fareitalia e promotore della lista Musumeci: “Il centrodestra unito avrebbe vinto”.

 

Il vice presidente dei deputati del Pdl Osvaldo Napoli si è scagliato contro le “anime ribelli” del partito che nei giorni scorsi avevano invocato le dimissioni di Alfano: “Non è trascurabile il fatto che il segretario Angelino Alfano ha subito un bombardamento atomico dentro il suo stesso partito, poche ore prima che si aprissero le urne. E sarebbe lecito e ragionevole attendersi il silenzio stampa da parte di chi ne ha invocato le dimissioni sabato sera. Temo, invece, che non sarà così. All’imbecillità non c'è mai fine”. Sulla stessa linea Ignazio La Russa: “Il mea culpa lo devono fare quelli che hanno gridato che il Pdl era morto”.

 

Ma a queste parole sembra non aver badato Michaela Biancofiore, “l’amazzone” fedelissima di Berlusconi, che ha sparato a zero contro la dirigenza: “Tutto si può fare in politica tranne andare contro la volontà degli elettori: i nostri dirigenti lo hanno fatto costantemente. Ora si dimettano e permettano a Berlusconi di rifondare totalmente il centro destra, avendo dimostrato sempre che il suo intuito è quello vincente”.

 

Più timidi Franco Frattini e Stefania Prestigiacomo, che invocano “un’autocritica costruttiva”. Un modo gentile per chiedere un radicale cambiamento, che stenta ancora a vedere un suo inizio all’interno del partito, complice anche l’ambiguità del proprio leader.


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