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22/12/24 ore

Fine anno politico. Messaggio e conferenza nel racconto di una informazione subalterna


  • Luigi O. Rintallo

Consumati i due riti giornalistici del discorso di fine anno del Presidente della Repubblica e della conferenza stampa del Presidente del Consiglio, si possono fare alcune considerazioni tanto sullo stato del confronto politico-istituzionale, quanto su quello della nostra informazione.

 

Come di consueto, anche il nono messaggio di auguri di Sergio Mattarella ha raccolto i generali apprezzamenti. Né poteva essere diversamente, visto che auspici e preoccupazioni del presidente non erano certo diversi da quelli di sempre. Tuttavia, merita di essere osservato cosa lo ha preceduto e – soprattutto – cosa non è stato poi evidenziato dai commenti che lo hanno seguito.

 

Alla vigilia, la pattuglia di giornalisti quirinalizi accreditati presso le grandi testate si era prodigata ad annunciare un intervento particolarmente severo del Capo dello Stato verso il governo Meloni e la sua maggioranza (Marzio Breda, Corriere della Sera del 30 dicembre). Il che per certi versi significava ricondurre il suo intervento su livelli prosaici, che invece il presidente ha evitato nel messaggio rivolto agli Italiani dalla tv a reti unificate.

 

L’indomani poco sono stati evidenziati taluni passaggi del discorso, abbastanza rilevanti da un punto di vista politico e anche dissonanti rispetto alla retorica prevalente nel circuito dei media nostrani. Ci riferiamo, in particolare, al tema della ricerca della pace. Mattarella ha espresso giudizi nettamente distinti da certo pacifismo, uso a invocare la pace piuttosto che a costruirla. Queste le parole usate: “non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflittiVolere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole”. 

 

Precedute dalla condanna senza appello verso la strage compiuta da Hamas  –“Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità” – tali espressioni respingono con forza ogni relativismo inerte e colpevole, come pure lo strumentale opportunismo di chi ha contribuito a riattizzare il mai sopito anti-semitismo circolante in Europa. 

 

Del resto, come ministro della Difesa, Mattarella non esitò a impegnarsi fattivamente per porre termine alla guerra in Bosnia nella primavera 1999 e sa bene che il pacifismo rischia spesso di essere alleato del sopruso. Altrettanto asimmetrica, rispetto a una lettura ricorrente e ripresa anche da papa Bergoglio, è la considerazione che alla guerra non basta la “la spinta di tante armi”, dal momento che la guerra nasce “dalla mentalità che si coltiva” ed è chiaro che se le ideologie si fondano sull’odio necessariamente porteranno alla guerra.

 

Come si vede, nel discorso di Sergio Mattarella vi sono alcuni spunti di riflessione che non si allineano alla narrazione di media spesso portati più a deformare che a informare correttamente. È significativo che essi non siano stati poi ripresi nei commenti successivi al discorso, che anzi si sono per lo più esercitati a enfatizzare ciò che in esso non c’era pur di confermare il messaggio precostituito a tavolino del contrasto Quirinale-governo. 

 

Questo pone, con sempre maggior forza, il problema di quali siano i modi in cui viene gestita l’informazione in Italia. Se poi si considera che la gran parte delle testate giornalistiche sono “dipendenti” da pochissimi soggetti finanziari, c’è poco da meravigliarsi se diminuiscono i lettori e in generale i cittadini percepiscano gli operatori dell’informazione come inaffidabili. 

 

Come avvenuto ad esempio per la magistratura, la delegittimazione non proviene dall’esterno ma dai comportamenti assunti: il sindacato della stampa che teme di essere delegittimato dalle iniziative legislative, dovrebbe preoccuparsi piuttosto del ridotto grado di autonomia e indipendenza dimostrato in questi anni oltre che del distacco siderale dal sentire comune dei cittadini. 

 

Lo si è ben visto nel corso della conferenza stampa del 4 gennaio con la presidente del Consiglio, quando in oltre tre ore e dopo quarantatré domande non è stato in pratica affrontato nessuno dei problemi al centro dei reali interessi del Paese, mentre sia i giornalisti che la premier parevano più che altro preoccupati di mettere in scena una recita. 

 

Peccato che ciò avvenga a scapito del nostro grado di consapevolezza su quanto ci riguarda da vicino.

 

 


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