C'era una volta, e ora non c'è più, l'indice di gradimento di Giuseppe Conte, il più amato dagli italiani secondo i sondaggisti del circo mediatico della politica politicante. Lo certifica l'unico sondaggio che conta, quello che vivaddio si fa ogni tanto andando alle urne.
La caduta libera del M5S è ormai inesorabile e il suo nuovo condottiero non l'ha frenata. All'inizio del pomeriggio elettorale la Swg aveva alimentato false speranze con una proiezione sbagliata, dando conto di un presunto testa a testa Raggi-Gualtieri-Calenda per il secondo posto in griglia a Roma. Enrico Mentana ci contava tanto per rendere più interessante la sua maratona di esercizi di stile che nemmeno Raymond Queneau... Poi tutto è rientrato e i risultati del voto sin sono rivelati spietati con i 5 stelle, ridotti ai minimi termini secondo le peggiori previsioni della vigilia.
Le indagini statistiche che ci propinano telegiornali e talk tv da mesi hanno invece raccontato un'altra storia ed evidentemente un'altra Italia. Si attribuivano al Movimento 5 Stelle, non si sa su che basi, tra il 15 e 18 per cento di consensi, “forchetta più, forchetta meno”, e Giuseppe Conte svettava tra i più popolari, Draghi escluso. Dati che, se confermati dal voto comunale, ci avrebbero consegnato tutt'altro scenario politico.
Non è la prima volta, anzi sta diventando una regola quella del fallimento dei sondaggi. Eppure media e politici si aggrappano strumentalmente alle intenzioni di voto settimanali, nonostante la loro conclamata scarsa attendibilità.
Mario Draghi, nel rispondere a Salvini sulla delega fiscale, ha detto che il governo non può seguire l'agenda elettorale. Forse è stato ottimista. Qui c'è chi segue nonostante tutto il sondaggio del lunedì del Tg di La7.
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