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19/11/24 ore

Il pragmatico Bonaccini nella trappola del referendum riduzione parlamentari


  • Luigi O. Rintallo

Secondo quanto prescrive la Costituzione, ogni sua modifica dev’essere sottoposta a doppia votazione di Camera e Senato. La riduzione del numero di parlamentari, voluta in primo luogo dal Movimento 5 Stelle, non ha fatto eccezione e per tre votazioni su quattro il Partito Democratico ha votato contro, tranne nell’ultima.

 

Per giustificare il cambiamento di posizione il partito di Zingaretti ha evocato improbabili futuri aggiustamenti, ma come è apparso chiaro il motivo vero sta nel fatto che l’approvazione della norma rappresentava la pregiudiziale per costituire il secondo governo Conte, con la nuova maggioranza imperniata sull’alleanza fra 5Stelle e PD, contornati da Leu e Italia Viva di Renzi, l’ex segretario del PD che di essa è stato il principale plasmatore.

 

Proprio la vicenda relativa alla riduzione dei parlamentari è uno dei massimi indizi dello stato di subordinazione al quale sottosta il PD, nonché del suo essere una delle principali fonti di equivoco della politica italiana. Nonostante la proclamata adesione al riformismo della tradizione socialista europea, nel PD grava la zavorra dei modi in cui si è prima costituito e poi pervenuto alla guida del Paese.

 

Nella sua traiettoria verso il governo, il PD ha cavalcato prima l’onda giustizialista e quindi ha assecondato l’anti-politica, nelle forme gradite dalle oligarchie e corporazioni dominanti che le hanno imposte alla narrazione offerta dalla gran parte dei mezzi d’informazione da esse fortemente condizionati. In fondo è su questi presupposti che si è davvero amalgamato l’attuale impasto dell’alleanza governativa coi 5Stelle.

 

Tuttavia, emerge in questi giorni la consapevolezza che sulla modifica costituzionale introdotta si rischia grosso, dal momento che potrebbe determinare a valanga una serie di ripercussioni capaci di snaturare in profondità il nostro ordinamento democratico. Purtroppo, nel PD non si manifesta un’adeguata presa di coscienza della situazione, né d’altra parte c’è il coraggio di svincolarsi dalla condizione di subalternità e affrontare con determinazione e chiarezza il problema.

 

Di qui gli avvitamenti che registriamo nelle ultime dichiarazioni di alcuni suoi esponenti. Il loro tentativo di attenuare le obiettive negatività della riduzione dei parlamentari, con l’adozione del sistema elettorale proporzionale palesa tutta la sua debolezza argomentativa. Anziché ammettere che la legge costituzionale approvata comporta gravi rischi in sé, ci si affida all’idea che assemblee elette proporzionalmente li scongiurerebbero. Ma è facile osservare come le leggi elettorali sono leggi ordinarie e che pertanto possono essere approvate a maggioranza, per cui nulla vieterebbe di ritornare a forme di maggioritario in seguito. 

 

È la modifica introdotta dalla riduzione dei parlamentari a minare l’edificio costituzionale, in quanto contiene la carica virale capace di far ammalare definitivamente la nostra democrazia. Un Parlamento di 600 membri, con commissioni compresse e dove si potrebbero costituire maggioranze schiaccianti, risultanti da stratagemmi elettoralistici ma privi di effettivo riscontro nel consenso reale dei cittadini, rischia di diventare un organo paragonabile a una Duma dell’autocrazia incarnata task force irresponsabili e autoreferenziali.

 

Non può allora che sorprendere come il presidente della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, giustamente segnalato sui media per le sue doti di pragmatismo, tanto da prospettarne una prossima ascesa, abbia rilasciato dichiarazioni al riguardo nel segno di una certa condiscendenza al ritornello cantato insistentemente dai media.

 

Affermare di essere a favore di un Parlamento meno pletorico (quasi che quello italiano fosse chissà quanto diverso dagli altri, mentre non è così) e di rimanere fedele al programma della sinistra perché si riducessero deputati e senatori, significa proporre una riflessione ignorando del tutto lo speciale contesto nel quale si calerebbe questa modifica

 

Se poi ci aggiungiamo la concessione alla solita piaggeria, un po’ troppo demagogica, per cui “in questo momento le risposte economiche e sociali sono molto più urgenti di quelle istituzionali, pur importanti”, non resta che registrare questa presa di posizione di Bonaccini come un vero e proprio passo falso, rispetto alle attese fatte presagire dai suoi recenti comportamenti. Aspettarsi una decisa inversione di rotta vuol dire in questo caso augurarsi il bene del Paese.

 

 


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