Il referendum sulla riduzione dei parlamentari, a cui siamo chiamati a partecipare per confermare o non confermare l’assurda legge costituzionale, prevede la riduzione del numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi era previsto il 29 marzo 2020. La pandemia da Covid-19 ha portato ad uno slittamento della data che è stata accorpata, con grave decisione, alle elezioni regionali previste a settembre 2020.
Come previsto dall’art. 138 della Costituzione, la legge può essere sottoposta a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Un quinto dei senatori, come previsto dal dettato costituzionale, ha richiesto di sottoporre la riforma al vaglio popolare. La richiesta, firmata da 71 senatori e depositata il 10 gennaio 2020, è stata ritenuta conforme all'articolo 138 della Costituzione dall'Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione.
Il numero 117 di Quaderni Radicali è completamente dedicato al tema del referendum costituzionale e esprime chiaramente la posizione della redazione profondamente contraria alla riduzione dei parlamentari, per molteplici ragioni sia politiche che giuridiche.
L’aspetto più inquietante, al di la del merito, è che sull’argomento, che va a intaccare l’essenza ella democrazia rappresentativa vi sia l’assenza totale di informazione.
Agenzia Radicale, insieme a Quaderni Radicali, con commenti, interviste, conversazioni in audiovideo e dibattiti, sta sviluppando una forte iniziativa di informazione per fronteggiare lo scandaloso carattere disinformativo che i media hanno tenuto e tengono su questa scadenza determinante per la democrazia.
Quella che segue è una conversazione che il direttore Giuseppe Rippa ha realizzato con Roberto Granese, webmaster della redazione e attento osservatore del sistema informativo, sia della carta stampata che della televisione e naturalmente di quello dell’informazione web.
Nell’articolo nel fascicolo “Meno parlamentari, meno democrazia” di Quaderni Radicali, Granese tra l’altro sottolinea: “… Quello che vogliamo qui chiederci è dunque perché, chiaramente, l’informazione non informa venendo meno alla sua ragione d’essere e come questo avviene in relazione al mezzo di trasmissione della stessa ed alla volontà o meno del cittadino come del giornalista di essere informato e o di informare.
Nonostante il fatto che a breve sia prevista la consultazione per confermare o smentire una riforma costituzionale, la maggior parte della popolazione non ne sa nulla nei dettagli, chi ne parla lo fa, per lo più, a sproposito, il blocco televisivo da un’unica interpretazione faziosa e deterministica della faccenda, anche in questo caso, senza fornire nessun dettaglio rispetto all’argomento della stessa e sul web circolano più strilli pubblicitari, attribuzioni e insulti che motivazioni e approfondimenti.
I giornali non vendono più anche perché, avendo rinunciato ad un ruolo di approfondimento reale dei fatti (cosa che sarebbe stata più consona alla loro natura non opposta, ma complementare all’informazione diffusa sul web) ed essendo i giornalisti, come tutto i resto della società - classe politica compresa - del resto, concentrati sul “modello social” di promozione del proprio brand diventano con quest’ultima i protagonisti prediletti dei cosiddetti programmi di approfondimento televisivi che, essendo a loro volta diventati programmi di infotainment in cui di informazione c’è poco o nulla e in intrattenimento, sul modello del teatro di avanspettacolo, tantissimo, trasformano queste figure onnipresenti in Tv in “personaggi” da seguire sui social come si farebbe con un cabarettista, uno sportivo, un cantante o un attore.
Questa precondizione, insieme ad un linguaggio molto semplice e a tinte forti (quello della propaganda per intenderci) fa in modo che il pubblico si divida nettamente nel seguire i propri “beniamini” come ad una partita di calcio e contribuisca attivamente a diffonderne i post sui social aumentandone la popolarità.
I dati dei social, a loro volta, alimentano l’informazione dei Tg e fanno in modo che i programmi di “approfondimento” selezionino nuovamente gli stessi personaggi per condurli ad una specie di combattimento canino (notare la semantica… la gabbia, l’arena) in cui le posizioni sono già note e predeterminate (si nutrono infatti di polemiche ad arte per lo più provocate e amplificate poi da Troll sulla rete) e quello che si predilige non è il dibattito ma lo scontro, improduttivo di contenuti, ma produttivo di audience e di riprese e condivisioni sul web che ricominciano il giro descritto… “.
(Agenzia Radicale Video)
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