L’acceso scontro, a colpi di tweet, tra Giuliano Ferrara e Pierluigi Battista può dirsi rivelatore. Nel senso che fa scoprire aspetti significativi del momento politico che stiamo vivendo, dopo l’apertura della crisi all’interno della maggioranza di governo.
Sulla scelta del voto subito o del suo rinvio, si sono distinti i due giornalisti: Ferrara si dichiara contrario al voto e punta a un governo “istituzionale”, che inchiodi Salvini alla sua percentuale del 17% nell’attuale Parlamento escludendolo dai giochi, mentre Battista è per ridare la parola alle urne.
Dopo la crisi, è andata delineandosi – soprattutto sui media – l’opzione di un unanimismo cosiddetto istituzionale, teso a dar vita a un governo basato sull’alleanza fra 5Stelle e partiti di sinistra (dal PD a Leu), che raccolga la maggioranza dei seggi in Parlamento col sostegno magari di qualche “berlusconiano” nostalgico di Nazareno. Un “tutti dentro” tranne Salvini, che rispolvera un vecchio utensile del politicantismo e cioè il “contenimento” del nemico di turno.
Quanto una prospettiva del genere sia davvero ciò che serve è tutto da vedere, però. Anche perché ci si guarda bene dal proferire verbo sul programma di governo che andrebbe a realizzare. Nessun amalgama tranne quello di non votare e tutelare interessi e sistemi di relazioni ben consolidate dell’assetto corporativo del Paese.
Confermerebbe quanto già avvenuto dopo il 4 marzo 2018: che il trasformismo opera in funzione del gattopardismo delle oligarchie dominanti e che ciò che cambia sono solo gli equilibri interni dentro un sistema politico oggettivamente ad esse subalterno.
Che i due contendenti nella polemica – Ferrara e Battista – siano poi entrambi parte di quel ridotto cotè autodichiaratosi “altro” rispetto alle sub-culture prevalenti (cattolica e comunista), espressione di una evanescente area di intellettuali e commentatori, segnala inoltre quanto essiccata sia la tradizione liberale in Italia e come sia sempre esposta a una frantumazione dispersiva.
Anche perché deprivata della linfa di una cultura politica radicale, capace di proiettare sull’orizzonte largo della democrazia partecipata la forza dei suoi principi.
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