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23/12/24 ore

Ecco il piano nomadi della giunta Raggi: il fallimento annunciato



di Camillo Maffia e Gianni Carbotti

 

Finalmente prende forma anche la prima bozza del piano nomadi della giunta Raggi, il fallimento annunciato che ci riporta indietro non di anni, ma di secoli. Ed è con rammarico che occorre adesso riportare i punti fondamentali dell'ennesima occasione sprecata, per la Capitale, di lasciarsi il passato alle spalle.

 

La prima cosa che salta all'occhio nel leggere il progetto dell'assessore Laura Baldassarre è il fatto che sarebbe in linea con le direttive europee: al contrario, è in chiara violazione degli Accordi-quadro strutturali, della Comunicazione n. 173/2011 della Commissione UE, dei 10 Common Basic Principles on Roma Inclusion e della stessa Strategia nazionale d'inclusione che l'assessore dichiara in ogni sede di stare implementando.

 

Il che ci porta a un'osservazione drammatica ma indispensabile: la tanto decantata rete non è strumento di democrazia, ma semplicemente l'ultima novità in termini di propaganda, paragonabile alla radio negli anni Trenta e alla televisione negli anni Sessanta. Le direttive europee prevedono collegialità, mentre il piano nomadi della giunta Raggi prevede unilateralità; le direttive europee prevedono trasparenza, mentre il piano è particolarmente oscuro in merito al reperimento e all'utilizzo dei fondi necessari alla sua stessa attuazione; le direttive europee tutelano l'autodeterminazione della minoranza Rom, il piano la esclude; le direttive europee prevedono l'utilizzo di determinati e concordati fondi strutturali, il piano immagina di poter ricorrere ad altri; e si potrebbe continuare a lungo.

 

In merito all'autodeterminazione del popolo Rom, la Strategia prevede la creazione di un Forum delle comunità a cui spetta l'elaborazione di una rappresentanza. Stranamente, nel piano nomadi Raggi c'è scritto che la rappresentanza non è rappresentativa. È vero, sembra uno scherzo, eppure è scritto proprio così. Che significa? Questo non ci è dato saperlo; ma se parliamo d'inclusione e rispetto dell'autodeterminazione, è lecito supporre che anche il signor Rudyard Kypling avrebbe lamentato un approccio colonialista, in quanto l'amministrazione decreta che una minoranza non riconosciuta sul territorio debba essere oggetto di politiche speciali ma che non abbia diritto ad essere rappresentata poiché “la rappresentanza non è rappresentativa”, dunque con una motivazione che fa pensare non tanto alle direttive europee quanto ai capolavori di Lewis Carroll.

 

In relazione a questo inedito concetto di rappresentanza, inoltre, nel piano è scritto che il Comune intende privilegiare il rapporto con le famiglie. Trattasi quindi di piano nomadi “porta a porta”. Tentiamo un paragone: è come se un cittadino, il quale ha diritto a essere rappresentato presso i municipi dai consiglieri che ha eletto, apprendesse che il governo ha deciso che i rappresentanti non sono rappresentativi e che intende imporre la gestione delle questioni comunali citofonando direttamente a casa sua.

 

È chiaro che il livello di assurdità è pari solo a quello dell'esproprio democratico, anche perché se la rappresentanza è rappresentativa o meno la giunta Raggi non può saperlo, in quanto non ha convocato un Tavolo istituzionale come previsto dalla Strategia, non ha quindi elaborato la creazione di un Forum e non sa neppure se e quali sono i soggetti accreditati presso l'UNAR a proporsi, nella Capitale, per un ruolo rappresentativo.

 

Peraltro il solo punto lodevole del piano è anche il più debole proprio perché l'unico: finalmente il Comune intende liberalizzare la raccolta dei rottami. E questo è un enorme passo avanti, eppure non si comprende per quale ragione l'autorizzazione al trasporto rifiuti abbia un rilievo etnico tale da essere il solo progetto lavorativo d'inclusione definito all'interno del piano.

 

Nei campi nomadi esistono anche parecchie persone che hanno studiato, lavorano e non riescono a uscire dal campo per motivi legati principalmente al razzismo, ai documenti, ai pregiudizi, insomma a tutti quei problemi che la Strategia è stata varata appositamente per superare; accanto ad essi vi sono Rom e Sinti che hanno portato avanti battaglie decennali per la tutela e la valorizzazione dei mestieri tradizionali: si tratta insomma d'un panorama occupazionale potenzialmente variegato e anche incisivo dal punto di vista sociale, a saperlo o volerlo rivalutare. Raccogliere i rifiuti non è l'unica prerogativa del popolo Rom e non è un'attività a suo esclusivo appannaggio.

 

L'opposizione di centrodestra, durante la giunta Marino, aveva prodotto una delibera per la liberalizzazione della raccolta del ferro, ovviamente non su base etnica ma unicamente occupazionale e quindi rivolta a tutti i cittadini, che fu poi bloccata dalla maggioranza. Si tratta di un mestiere che a Roma riguarda persone di diversa provenienza ed etnia, dunque il lodevole intento di agevolarlo mal si sposa con un progetto d'inclusione destinato a una minoranza vessata, benché questa vi si dedichi con un tasso maggiore della media (ma non sarà forse anche perché tale gruppo è escluso da quasi tutte le altre occupazioni?).

 

In quest'ottica va inserita la scelta d'includere una sola associazione, anche questo in palese violazione della Strategia: il Consorzio equo. E si tratta di una cooperativa che appare più che virtuosa, ma che s'inquadra sempre nell'esclusività della raccolta del ferro, perché è di questo che l'associazione si occupa. In altre parole, questo non è un percorso d'inclusione socio-lavorativa, ma un progetto che consente a individui attualmente relegati a poche occupazioni di svolgerle in modo più sereno. In ogni caso è altamente improbabile che i Rom usciranno da una condizione di segregazione razziale e marginalità sociale rovistando con maggiore serenità nei cassonetti della Capitale: e questo è tanto ovvio che chiunque può capirlo.

 

La domanda infatti è un'altra: perché chi ha studiato e vuole una vita migliore non ha rappresentanza né individuale né associativa? E perché le competenze sviluppate con le borse-lavoro costate centinaia di migliaia di euro ai cittadini non vengono neppure prese in considerazione? E allo stesso modo, perché chi tenta di portare avanti altre occupazioni, siano essi musicisti o artigiani, non ha alcun punto di riferimento? La risposta è semplice: perché il Comune non è in grado di pensare ai Rom se non come a una categoria di marginalità sociale e vuole regolamentare la marginalizzazione sociale, non includere una minoranza.

 

È per questo che la possibilità d'includere la rappresentanza, convocare il Tavolo in maniera corretta e tentare almeno di accedere all'ampio quadro di finanziamento europeo è stata automaticamente scartata? L'attuale governo capitolino è disposto a rinunciare a fondi anche cospicui purché i Rom non mettano piede nelle istituzioni? È opportuno ricordare che per sbloccare i fondi UE è necessario il rispetto delle direttive.

 

È invece evidente l'ennesimo tentativo di aggirare le normative europee, rinunciando di conseguenza al Quadro di finanziamento europeo previsto dalla Strategia, sbandierando un “superamento dei campi” impossibile da attuare senza il rispetto dei criteri di collegialità e trasparenza previsti dalle linee-guida del documento e dell'ANAC. Il Movimento 5 Stelle ha inoltre convinto i cittadini romani che avrebbe abbattuto le dinamiche clientelari e ora apprendiamo dal piano nomadi che intende risolvere i problemi alloggiativi dei Rom “famiglia per famiglia”, dopo gli scandali di portata internazionale in merito ai favori di varia natura in cambio di soluzioni abitative nei campi nomadi. Parliamo di rivelazioni scioccanti che hanno coinvolto l'intero Dipartimento delle politiche sociali: la risposta dell'assessore è quella di un progetto che prevede un meccanismo ad personam per ottenere una casa?

 

Un passo indietro che si accompagna alla proposta di un censimento della comunità Rom, che stranamente la Baldassarre fa risalire a tredici anni fa, a quanto si apprende dalla stampa, mentre è invece noto a tutti che fu proprio Alemanno a gestire in questo modo il problema dei campi con gli esiti che purtroppo conosciamo. In merito al censimento su base etnica è sufficiente citare la Risoluzione del Parlamento UE del 10/7/2008, la sentenza del Tribunale Civile di Roma del 24/5/2013 e la condanna del Comitato europeo dei diritti sociali (decisione 58/2009), che indicano la palese irregolarità di tale misura. Le violazioni delle direttive dell'UE e dell'ANAC andranno quindi di pari passo con le violazioni dei diritti umani?

 

Tuttavia l'aspetto più grave è costituito dalla individuazione dei fondi europei. Il piano prevede il ricorso al PON Città Metropolitane in una Capitale già piagata dal degrado, abbandonata a se stessa e vittima di continue, drammatiche emergenze sociali. Roma potrebbe implementare la Strategia rispettando gli impegni presi dal nostro paese, attingere ai fondi già individuati dal documento e utilizzare invece i soldi del PON per risollevarsi dalla grave situazione in cui si trova e che si aggrava di giorno in giorno grazie all'immobilismo della giunta Raggi, che non sembra rendersene conto. L'assessore ha infatti annunciato una consultazione popolare affinché i romani suggeriscano un piano welfare, che terminerà a maggio: in altre parole, dopo un anno di sindacatura la Giunta prevede sin d'ora che non avrà un progetto di politiche sociali, ma potrà giovarsi dei consigli dei cittadini...

 

Se poi si passa dalla teoria alla prassi, il piano nomadi è già iniziato e le notizie che giungono in queste ore sono sempre più allarmanti, tanto che a giudicare dai blitz e dalle modalità del censimento sembra proprio di essere tornati ai tempi del sindaco Alemanno. Ma questo non può stupire, visto che la riproposizione di schemi legati al governo della destra romana da parte della Giunta a Cinque Stelle è purtroppo sempre più evidente: e se insistere su tali analogie sul piano giudiziario in queste ore è una imperdonabile mancanza di garantismo, è invece doveroso sottolinearle con forza sul piano politico.

 

Al di là di ogni altra valutazione, il piano nomadi Raggi è precisamente ciò che sembra: il lavoro di esperte che affiancano una sindaca giovane. Giovani da un lato ed esperti dall'altro: non è forse questa la ricetta di Beppe Grillo per le istituzioni italiane? Considerato che il giovane grillino è il ritratto della mancanza d'esperienza quanto quella dell'esperto poggia su basi puramente teoretiche, si ottiene quello che sta avvenendo nella Capitale: un governo tanto espressivo quanto astratto, qualità che si adattano più a un quadro di Jackson Pollock che a una giunta comunale. Eppure come europei queste cose dovremmo saperle, visto che ogni giorno sarebbe opportuno per noi ringraziare Dio del fatto che Hitler si affidò proprio a giovani ed esperti…

 

Un'ultima, indispensabile notazione riguarda la chiusura dell'unico campo che la giunta si prefigge di superare effettivamente: quello di via dei Gordiani. Si tratta del villaggio attrezzato più piccolo e meno problematico e considerate le emergenze ambientali, sanitarie e sociali di campi come Salone, La Barbuta o Castel Romano la scelta appare incomprensibile. Le ipotesi sono solo due: la prima è che la Giunta voglia far vedere in tempi brevi che sta ottenendo dei risultati, quindi una matrice propagandistica prevedibile quanto inaccettabile.

 

La seconda è più complicata: si dà il caso che il campo di via dei Gordiani sia attualmente abbandonato a se stesso. Le contraddizioni delle coop e del Dipartimento che si notavano così chiaramente in quel villaggio e che abbiamo denunciato tante volte su questa testata sono cadute in seguito all'intervento della Procura e non risulta neppure materialmente gestito da un racket come purtroppo avviene in altri campi: detto pane al pane, non sono lì i grossi “capoccia” con cui si deve discutere. Inoltre è l'unico villaggio attrezzato che sorge in una zona residenziale, proprio di fronte alla nuova metro C. Ne consegue che è inevitabile esprimere un dubbio: quel campo è stato scelto in base a criteri d'inclusione?

 

Oppure perché è attualmente l'unico in cui non si pestano i piedi né alle coop né agli omini de panza e al tempo stesso si fanno gli interessi dell'edilizia, visto che di fronte alla metro ci starebbe meglio un bel parcheggio invece di un campo nomadi? Del resto da quando la stazione è stata inaugurata i Rom temono di essere sgomberati, quindi per quanto infelice questa domanda sorge spontanea. Resta peraltro da capire dove i residenti sarebbero sistemati, perché su questo il piano nomadi non è affatto chiaro.

 

Appare infine curioso il fatto che da un lato il Comune impedisce l'elaborazione di una rappresentanza Rom in quanto “non rappresentativa” ancor prima di essere elaborata ed elimina le associazioni; dall'altro vuol intervenire sull'unico campo la cui chiusura non sembra toccare in modo diretto gli interessi delle coop e dei “capoccia”, tra cui i soggetti che in passato coincidevano con quei “portavoce” che l'amministrazione individuava “aumm aumm” senza consultare le comunità, come si propone invece di fare il Forum. “Capoccia” che continueranno di fatto a comandare fin quando non si elabora una vera rappresentanza tramite le istituzioni e la Strategia.

 

Certo questa potrebbe essere soltanto una coincidenza e l'amministrazione potrebbe essersi basata su altri criteri per individuare proprio quel campo tra i tanti più degradati e pericolosi tanto per la salute pubblica che per la sicurezza. Ma resta anche in questo caso il dato di una scelta politica: quella d'investire sulla marginalizzazione anziché sull'emancipazione, negando alla minoranza la possibilità di autodeterminarsi e quindi, in ultima istanza, d'includersi realmente nella società.

 

Si tratta di scelte che ricordano i celebri tentativi con cui gli uomini al potere tentavano d'arrestare il processo di liberazione della donna tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento: il padrone si mostrava magnanimo e dava alle donne la possibilità di lavorare proprio come gli uomini al di sotto di un certo livello sociale, al fine di escludere ogni possibilità di influenza che sarebbe inevitabilmente avvenuta tramite l'accesso concreto all'istruzione, alle professioni, ai ruoli dirigenziali e decisionali.

 

Potevano morire lavorando sedici ore al giorno in una fabbrica, ma non potevano votare: così ora i Rom possono raccogliere il ferro, ma non esprimere una rappresentanza.

 

- Piano Nomadi Giunta Raggi

 

 


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