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18/11/24 ore

Marco Pannella: Radicali, ieri e oggi



 

La morte di Marco Pannella è per la storia Radicale una perdita grandissima. In queste ore di tristezza vogliamo ricordarlo con il testo (pubblicato su Quaderni Radicali 101, maggio 2008), di una sua conversazione in cui parlava dei “Radicali ieri e oggi” …

 

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Radicali ieri e oggi

 

Marco Pannella conversa con Giuseppe Rippa .....(tratta da Quaderni Radicali 101, maggio 2008)

 


 

Marco è al suo solito posto nell’angolo del lungo tavolo della direzione del partito radicale, con una marea di carte intorno, che di volta in volta aumenta quando gli portano gli ultimi aggiornamenti delle agenzie. Accende il suo Toscanello alla grappa e una nuvola di fumo invade la già affumicata stanza. Il telefono suona: è Bettini, il ‘braccio destro di Veltroni’. “…Va bene, ci vediamo domenica…” – gli dice mentre il cellulare avvisa a voce che un nuovo messaggio è arrivato. “…Volevo conversare un po’ con te sulla vicenda radicale…” gli dico. “…Ok – mi risponde – ma ad un certo punto interrompiamo perché devo andare a La7 per una trasmissione… una rara trasmissione in cui sono invitato… Nel caso completiamo domani…”.

 

Quale può essere il futuro della vicenda radicale in un quadro politico, socio-economico, istituzionale che nella sua strutturalità si presenta con tutti i caratteri di una democrazia fittizia; caratteri da sempre descritti dai radicali, penso al “caso Italia”, alle denunce in relazione alle violazioni sistematiche della legge costituzionale e dei diritti politici fondamentali dei cittadini da parte di quello che è stato da sempre definito un Regime… Quali sono i punti centrali della crisi letta, se sei d’accordo, nel contesto non solo italiano, ma europeo e anche della globalizzazione…

 

Il problema strutturale che tu evochi a me pare identico a livello globale e non solo nazionale. Si stanno raggiungendo dei punti di identità e non soltanto di simiglianza. Quando cerchiamo per esempio di riproporre…l’internazionalismo socialista, sottolineiamo che nello stesso tempo c’è il pensiero di Kant, (limitatamente a questo problema). Si tratta di una sua utopia più pragmatica di quanto non sembri. Può apparire un discorso sconnesso, ma ha una sua coerenza intellettuale e strategica. Ma questo aspetto lo analizziamo dopo. Vediamo la situazione italiana a proposito del problema della pace – problema concreto, urgentissimo – che va affrontato a partire da alcuni mutamenti strutturali. Lo indico di fronte ad una Unione europea che temo continuerà in questi anni (malgrado il precipitare di quello che Altiero Spinelli con il suo manifesto di Ventotene, e poi in tutti gli anni successivi fino alla morte, ha cercato di scongiurare) nell’alibi della ricostruzione democratica degli stati nazionali.

 

Proprio quello su cui Spinelli insisteva come rischio, e che è ciò che sta accadendo, perché è vero sempre più che la democrazia, a livello degli stati nazionali, va in crisi sempre più profonda. Ci sono alcune cose che si sono sottovalutate. Per esempio anche di quello che accadeva negli “anni d’oro” nella società svedese e in genere quella nordica. Un piccolo esempio: l’elettroschok si è continuato lì a praticare a livello di stato. Dunque le contraddizioni esistevano, e poi lo statalismo, le solitudini…

 

Oggi quello che penso sia necessario è una Unione europea che abbia lo stesso afflato, ben presente nel manifesto di Ventotene, che in qualche frase sottolineava “l’unità democratica d’Europa nell’unità democratica del mondo”, come leva per questo.

 

La stessa puntualizzazione…va fatta sulla realtà italiana. Se l’Europa avesse avuto in questi anni una politica volta ad accelerare invece che impedire la naturalissima, storica partecipazione piena della Turchia, di Israele e del Marocco, questo per fare un esempio mediterraneo, la storia a questo momento già sarebbe altra, mentre sta incubando il peggio che potevamo prevedere dieci anni fa o cinque anni fa. Se guardo a queste realtà strutturali di congiuntura, vedo una politica che prosegue in tutta la sua durata fin dall’atto unico di Lussemburgo. L’Europa ha dentro di sé questo peggio: l’opposizione al progetto di trattato di riforma votato dal parlamento europeo, che dopo un anno aveva tanto spaventato da provocare vecchi riflessi, vecchi Dna di resistenza…

 

L’Europa sta indietreggiando…

 

…Sta avanzando, nel modo pericolosissimo descritto, nel senso opposto, quello costitutiva in senso negativo dell’Europa, volto a rifare l’Europa delle patrie e non la patria europea.

 

…ma credi ci possa essere ora un asse franco-inglese…?

 

…sì franco-tedesco, franco-britannico…: non è questo il punto. L’elemento di potenza nazionale, di supremazia attraverso alleanze è quello che abbiamo conosciuto nei secoli precedenti e fino ancora alla prima guerra mondiale di sicuro con le soluzioni che poi si sono sviluppate…

 

Non vedi in nessun Paese ipotesi di dati istituzionali e intellettuali che si contrappongono a questa logica…

 

Ci sono dappertutto contraddizioni, ma dico che il prodotto collettivo è stato quello descritto. La stessa elezione diretta del Parlamento europeo ha provocato una reazione che ha fatto venire fuori la forza di quelle cose – sempre sottovalutate – che Spinelli prevedeva e che voleva scongiurare. L’illusione che – e in Danimarca è molto forte – per scongiurare l’Europa nazista, fascista, si possa attuare una politica isolazionista, ancora più forte di quella britannica. Pur aderendo, quindi, si diffida dell’Europa. Ma procediamo con ordine.

 

Facciamo una rapida fotografia a livello delle idee, non a livello nazionale. Dopo cinquantaquattro anni non vi era chi credesse che questa “cosettina” che è il partito radicale durasse più di mezzo secolo. Con una presenza che non è e non può essere negata. Immagina per esempio la fiducia che un personaggio come il Dalai Lama nutre nei nostri confronti. Dunque il partito della scadenza continua, che è sempre stato sul punto di sciogliersi o sul punto di essere battuto. Questo il miracolo. Ebbene, oggi c’è qualcosa che può rappresentare lo scarto di un nuovo slancio? Pensa nel 1993, quando quarantamila persone, sorprendentemente, si sono iscritte in un mese solo perché avevamo potuto usare un tantino la televisione.

 

Credo sinceramente che ci sia un insieme di idee politiche che costituisca una cosa tanto non evidente quanto per me piuttosto certa. Mi sentirei di parlare, senza timore, di un’egemonia politico-culturale, etico-politica di questo nostro partito. Impercettibilmente sul fronte italiano, intellettuali, politici, leader, semplici militanti, vecchi e nuovi, parlano comunemente dello stato di diritto. In nessun momento c’è stato il riconoscimento di un’errata interpretazione storica su che cosa è la giustizia, che cosa è il diritto, sullo stato di diritto come stato di classe. Si pensi all’immenso potenziale che è la questione della nonviolenza che abbiamo innestato. E altri elementi si aggiungono…, ecco la scomparsa del pacifismo. Certo ci sarà un ritorno, ma è come se avessero il pudore di usare ancora quel termine…

 

…pensiamo alla parabola “pacifista” della marcia Perugia-Assisi, alla deriva assunta fino alla conversione recente nella marcia di “tutti i diritti umani per tutti”…

 

…già, alla “tavola della pace”. Ma sempre a partire dal fronte italiano, ecco un’altra cosa. Abbiamo costituenti a gogò: socialista, democratica, liberale. E quello che appare evidente è che non c’è nessuna teoria della prassi, si va alla ceca. Cioè non vi è un solo dibattito su quello che, per esempio, a giudizio di numerosi costituzionalisti è dato per scontato: che i partiti sono un rottame, sono un peso. Si sente il solo D’Alema, che mimando il Berlinguer della “democrazia dei partiti”, accenna alla questione.

 

Dunque, quello che questo mezzo secolo ha finito per secernere è qui davanti a noi. Vedi quando il Dalai Lama, e non solo per la nostra venticinquennale amicizia, arriva a comprendere che l’indipendenza nazionale è la via giusta. I suoi militanti hanno pensato al fatto che lui avesse rinunciato perché riteneva di non riuscire a ottenere l’autonomia. No, non è così; in lui già c’è un discorso diverso. Quando io dico che il Dalai Lama deve imbracciare il manifesto di Ventotene… ecco, sta tutto lì. Dopo tutto quello che è stato l’ottocento e il novecento, il problema è altro, e deve riguardare la vita di un territorio, di una storia, di una popolazione…

 

Riecco Spinelli…

 

…resta il fatto che (si sente evidente che dietro questa riflessione c’è anche lo stesso Ernesto Rossi, ed è una intuizione che lo stesso Andrea Chiti Batelli non rileva), lui individua nel 1941 un passaggio fondamentale quando dice che una volta vinta la battaglia per l’Europa, il massimo pericolo sarebbe venuto fuori dalla illusione dalla restaurazione democratica degli Stati. Gli stessi spinelliani non danno adeguato peso alla cosa. Sembrava un visionario pazzo Altiero, eppure il tutto sarebbe accaduto pochi anni dopo, nove, dieci circa. Cosa comprende Spinelli: si sarà abbattuta l’illusione folle degli stati totalitari, ma il welfare senza la libertà ci condannerà. Lui pensa al federalismo come antidoto. È proprio da qui che viene il nostro richiamo a Kant. Una scelta un po’ profetica che può divenire antropologica con il passare degli eventi, comprendendo quali disastri producano le guerre da una parte e dall’altra la nascita di questa estrema consapevolezza laica che si chiama nonviolenza. Insomma un cammino che da Socrate continua…

 

In questa congiuntura che è la nonviolenza, in Italia non capìta eppure profondamente compresa da Capitini, in Francia con altre ipotesi definitasi, in Germania dove non vi sono stati esempi di questo genere…; bene: noi ci troviamo ad aver dato continuità ad una scommessa per gli altri (ho la presunzione di dire che per me non lo era): la nonviolenza. Ho raccontato quando abbiamo preso questo simbolo di Gandhi. Sono andato tre volte a rivedere il film su Gandhi, in francese, in italiano e anche, strano per me, in inglese. L’interrogativo che mi ponevo anche con Sciascia era il seguente: questo simbolo, quando ci sarà la crisi della Cina, sarà un dato che funzionerà? Leonardo prima concordò, poi ebbe un ripensamento e mi disse: “guarda Marco, come simbolo del partito prendiamo D’Alambert” (enciclopedista, matematico, fisico, filosofo, astronomo francese, che fu uno dei più importanti protagonisti dell’illuminismo - ndr). Gli telefonai subito: “Ma cosa abbiamo di D’Alambert, un disegno, non una foto? come può essere una cosa di massa per il futuro? Come può essere simbolo? Il nome potremmo rilanciarlo. In fondo noi siamo andati in Parlamento per ricordare il nome di Ernesto Rossi, del «Mondo», perché gli storici trovassero qualche traccia… D’Alambert non arriva a tutta la gente”. E lui mi disse subito: “…Hai ragione, mi sono sbagliato”.

 

Ecco, questa cosa divertente che ho raccontato mi serve per sottolineare che dopo venticinque anni noi siamo la sola organizzazione gandhiana che afferma la “politicità” di Gandhi. Al di là di noi abbiamo solo una serie di cosiddette manifestazioni nonviolente che a volte sono più espressioni di pacifismo che azioni nonviolente. Ma se questo c’è da una parte, abbiamo dall’altra questi partiti che la scienza definisce non più presentabili. Manca ogni critica positiva. Con che cosa si possono sostituire? Ecco, qui c’è un’altra cosa, la nostra storia, la nostra prassi.

 

A questo punto noi ci troviamo ad avere degli argomenti che non possono essere liquidati. Uno, il partito non può essere mono-tessera, perché in questo modo acquista un significato non laico, significa farlo entrare in un luogo chiuso. Voglio ricordare che in questi anni abbiamo avuto esempi di doppie tessere anche nel mondo comunista, che sono state tollerate e anche valorizzate; abbiamo avuto addirittura doppie tessere democristiane e anche di destra. Ora abbiamo uno dei leader del Partito democratico, mi riferisco a Franceschini, che dice: il partito è mono-tessera! Incredibile.

 

Pensiamo come dalla nostra parte sono nate aggregazioni che hanno conquistato forza e credibilità anche internazionale. Ricordo Nessuno tocchi Caino con la sua battaglia vincente sulla moratoria contro la pena di morte, ma anche Non c’è pace senza Giustizia, che con la Corte penale internazionale ha conquistato una credibilità in tutto il mondo. E ancora l’Associazione Luca Coscioni che ha costruito con la sua battaglia per la libertà di ricerca scientifica un solido e forte ancoraggio nazionale e internazionale. E poi il Partito Radicale Transnazionale, che al di là dei suoi limiti e i ritardi dei suoi congressi resta una ong di prima categoria dell’Onu. E la battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo. Noi siamo questo, in cinquant’anni siamo riusciti a resistere e abbiamo innervato grandi battaglie e momenti di lotta per il diritto e per i diritti. E gli altri parlano di costituente di qua, costituente di là, pensando di poter ignorare tutto quello che la prassi e la teoria radicale ha costruito…

 

Ora cosa accade. Dopo aver affermato impropriamente di essere i difensori dello stato di diritto, della democrazia, si auto-proclamano i difensori della stabilità, proprio attraverso quel bipartitismo, che male interpretano ma che pure, usando i nostri termini, si candidano a voler realizzare. Ma allora queste millecinquecento-duemila persone che si sono organizzate nel partito radicale, che da cinquantadue anni continuano ad esistere, come hanno fatto a rappresentare una simile longevità, ad essere comunque un vero e proprio caso?

 

Ragionando su un altro fronte, quello della laicità, sono sollecitato su questo da quanto scrive Luigi Castaldi (“Pannella si è fermato a Bose”, 29 agosto 2006: «…Pannella ha salda e antica convinzione che la Chiesa cattolica sia una comunità di brava gente che attende di essere liberata dal tallone di un’arcigna gerarchia di chierici che, di generazione in generazione, si passa le chiavi del tradimento al messaggio evangelico; Pannella crede fermamente che sia possibile, in qualche modo doveroso, un serrato dialogo con le componenti di questa comunità che diano mostra di essere meno supine a quell’autorità che regolarmente le riassorbe o le espelle, se non ritornano supine all’estremo richiamo; Pannella crede con tutte le sue forze che il Concilio Vaticano II abbia innescato un irreversibile movimento di liberazione di queste componenti e che la loro “laicizzazione” sia un processo lento, ma inarrestabile, per quanto possibile da incoraggiare…»), la mia concezione è questa: la religiosità può essere ateista o teista, perché l’ateo è uno che si rifiuta di dare nome al mistero nel quale siamo immessi. Il presupposto è che la scienza non accetta il mistero. Ma la scienza è un divenire, è una ricerca, è tutta un’altra cosa.

 

Quindi insisto, la religiosità all’opposto della confessione religiosa, della struttura è altro. Viene fuori quella che Popper chiamava la “società aperta”. Questa buddista è una “religione aperta” se si riflette su come si sviluppa. Poi scopro, nella mia ignoranza forse, che loro hanno un’attenzione molto forte alle bioscienze. Ho recentemente visto a Napoli il figlio di Revel, il monaco buddista Matthieu Ricard, che – allievo del Dalai Lama – è membro del Mind and Life Institute e partecipante alla ricerca sull’allenamento della mente e della plasticità del cervello. Dunque ricerche sulla corteccia cerebrale, quella prima del neurone. Oggi Ricard è con il Dalai Lama, e il capo spirituale dei tibetani grazie a Ricard, ma anche a molti altri, si tiene al corrente su tutto quello che emerge dalla ricerca scientifica, soprattutto sul cervello. Questo ha spinto il leader buddista a modificare alcune posizioni tramandate in relazione a questo contributo di ricerca. Dunque emerge che loro comprendono che la scienza, la conoscenza probabilmente riuscirà a spiegare come è fatto lo spirito, quello che chiamiamo lo spirito. Dunque la ricerca sui neuroni, la rivoluzione che porta con sé, cambia molte cose quali quelle relative forse al fatto che i neuroni possano riconoscersi a distanza. Ecco i ricordi del nostro liceo, Eraclito, la caduta degli atomi, che però si riconoscono e si incontrano e danno vita a terze cose.

 

Guardiamo ad esempio alla recente discussione suscitata dalle parole di Margherita Hack che sostenendo il funerale civile, una realtà generalmente accettata nell’Europa del Nord, dove le società laiche e umaniste si sono dovute attrezzare allo scopo di assicurare le cospicue richieste per la celebrazione di riti non religiosi, è stata contestata da quanti dicevano: e se c’è l’anima? Ci sono – dice lei – per ogni cosa milioni di molecole che tornano a disperdersi nell’universo… Di fronte a queste cose si deve constatare: chi opera nel campo della libertà di ricerca trova la struttura radicale (vedi in questo caso l’Associazione Coscioni). È l’unica realtà politica dove, è il caso di Maria Antonietta Farina, moglie di Luca Coscioni, ma militante della battaglia da lui ispirata, trova una forma di rappresentatività oggi in parlamento. Onorare il valore e il merito è un modo per onorare le istituzioni.. È il caso di Pergiorgio Welby, che come Luca è simbolo di coraggio, di impegno e che nella vicenda radicale trova spazi di espressione. La forza delle parole di Piergiorgio nella lettera al presidente della Repubblica è il prodotto di questa forza organizzante la domanda politica che trova visibilità grazie all’iniziativa di Marco Cappato e degli altri membri dell’Associazione Coscioni.

 

Tutto questo è il prodotto di una realtà particolare, il partito radicale, che ha saputo dare forma a queste domande politiche e consentire ad esse di non essere disperse e annullate in un contesto politico che annulla più che consentire. Io stesso senza il Partito Radicale non sarei stato nemmeno immaginabile. La forma partito è in crisi un po’ dappertutto nel mondo. Anche il mondo anglosassone ha i suoi problemi. I liberaldemocratici inglesi, per fare un esempio a noi vicino, sono un disastro. Stanno portando lì il finanziamento pubblico dei partiti, e tutte le altre forme corrosive che conosciamo. Ma proprio la forma partito, cioè la forma della democrazia si lega ed ecco emergere molti degli aspetti di cui ho accennato: il federalismo, quello di Kant con le sue articolazioni. Noi radicali ci siamo perché la viviamo. Ora il Dalai Lama comprende la nostra impostazione sul federalismo, ma non credere sia semplice. La stessa conversazione che si realizza con il Dalai Lama si complica quando fa da interprete Ricard, scienziato eccezionale, ma con una visone interpretativa diversa. Di qui urla, simpatiche urla, per la complicazione a trasferire attraverso più passaggi contenuti così precisi. Lui può iscriversi al Partito Radicale, se lo può permettere perché resta in ogni caso l’autorità spirituale indiscussa dei buddisti tibetani.

 

Ecco, questa la nostra materia, il nostro vissuto. Il sociologo potrebbe allora pure approfondire per capire la tenuta e la qualità della nostra identità. La stessa comunicazione, così come l’abbiamo vissuta, usata, subita. La nostra storia è anche quella di Radio Radicale, la forza interattiva che ha sprigionato (vedi il milione di telefonate di “radio bestemmia” da cui è venuto fuori anche un libro).

 

È il nazionalismo che produce effetti rischiosi. Quando io sento il re di Giordania, che parla senza un appunto, afferma: la prospettiva storica alla quale dobbiamo ubbidire è quella di costruire una sola realtà, i trecento milioni che siamo noi in questa area e i seicento milioni di europei. E voglio ricordare che Hassan II, padre dell’attuale sovrano marocchino, a metà degli anni ottanta ha chiesto l’adesione piena all’Unione europea. Come si vede, è chiaramente una religiosità laica che fa la differenza, che definisce come viene vissuto il potere, i compiti di una classe dirigente. Se si mette a confronto questa situazione, questo modo di essere e di fare, con l’Algeria, viene fuori quanto quest’ultimo paese sia dilaniato e distrutto.

 

In un mio articolo, credo fosse del 1981, ponevo la prospettiva, non formalmente s’intende, degli Stati Uniti del Mediterraneo come contrappeso agli Stati Uniti d’America. Come c’è la storia del baltico, come c’è quella centrale, c’è fondamentale la storia del Mediterraneo, la storia di una civiltà estremamente importante. Questo è il Dna radicale.

 

Dopo tre generazioni c’è qualcosa che inizia ad iscriversi nella influenza ambientale. La prospettiva nostra riguarda lo stato e le religioni, Cesare e la Chiesa. Va ribadito con forza che i pochi che eravamo, abbiamo avuto sulle grandi battaglie vincenti il mondo cattolico con noi. La sera del 13 maggio a piazza Navona, quando si festeggiava il successo al referendum sul divorzio, io esordii proprio ringraziando per il trionfo ottenuto il voto dei cattolici.

 

Le grandi battaglie per i diritti civili sono state vinte con il voto cattolico… che senso ha parlare di voto cattolico come se fosse un’entità a se stante e monolitica in un paese che è nella quasi totalità cattolico!?

 

Mi ricordo di Giorgio Spini uno dei massimi storici evangelici del Novecento, studioso di fama internazionale, considerato il più illustre protestante d’Italia. In un Congresso del 1973 a Genova, il grande storico pronunciò una cosa che più o meno era così: “io sono l’inviato del Signore… e Pannella è qui per farci vergognare per il fatto che nell’ultimo Sinodo noi abbiamo fatto un giorno di digiuno rituale, mentre lui pratica il digiuno come forma di dialogo e svolge funzione profetica”. Un concetto che lo stesso Gianni Baget Bozzo aveva riproposto affermando che “Pannella è anche cristiano e non sarà mai profeta re” e proprio su «La Repubblica» nel 1977 scriveva: “I radicali incalzano noi e la chiesa su il corpo, i carcerati, i malati, le prostitute: Ci incalzano proprio sul terreno che è il nostro. E anche Marek Alter (Sos Racisme) disse una volta “quando il re cessa di farsi interpellare dal profeta, lì non c’è più possibilità di libertà… Per me e per l’Italia Marco Pannella e il Partito Radicale ha la funzione che nella nostra storia abbiamo avuto noi nella diaspora nei vari paesi dove gli ebrei sono andati dispersi…”. E la frase che il Dalai Lama mi ha dedicato “al mio compagno di lotta nonviolenta e per la giustizia per il bene supremo dell’umanità…”. Ecco, questo sono e questo siamo… per taluni saremmo anticristiani e anticattolici…roba da non credere.

 

Ma qual è a tuo avviso il destino dei radicali? Concretamente… operativamente… su cosa bisogna operare?

 

Sono convinto che oggi in Italia, e non solo, è un’esigenza vitale far fare un salto agli imprenditori, ai produttori (non nell’ottica marxista), ai piccoli e medi imprenditori; fare un salto di qualità che può essere paragonato a quello, realizzato attraverso l’uso di un’arma nonviolenta dell’incrociare le braccia, come accadde alla classe operaia inglese, le Trade Unions che si costituirono indirettamente come partito e che ancora oggi sono partito, al di là delle burocratizzazioni sopravvenute, appunto nel Labour Party (Lo sciopero dei portuali londinesi del 1889 segnò la nascita del “nuovo unionismo”, che iniziò a organizzare anche i lavoratori meno qualificati.

 

L’esigenza di riforme e di sostegno all’azione sindacale spinse, al volgere del secolo, alla costituzione del Labour Party (Partito laburista), che mantenne una linea politica gradualista. L’ampia autonomia delle singole unioni, la debole autorità degli organismi di coordinamento, la scarsa permeabilità alle idee socialiste di palingenesi sociale, furono i caratteri peculiari del movimento sindacale inglese (- ndr).

 

Oggi il partito della piccola e media impresa, se solo facesse i conti su quello che è costata la politica di tutti i governi nei loro confronti, proprio utilizzando i caratteri che furono delle Trade Unions, nel quadro delle autonomie d delle localizzazioni di cui sono già in possesso pratico e operativo, potrebbero realizzare una vera rivoluzione. E quale modello è più congeniale a questa cultura se non quello federativo, disarticolato, anticentralistico, se non quello sperimentato dall’azione politica cinquantenaria del Partito Radicale. Un mondo in cui il novantacinque per cento della aziende è così, con gli elementi negativi che, pure insiti in questa situazione che potremmo definire di “nano-condizione”, possono divenire forza trainante e ceto con consapevolezza di sé, come terzo stato che prende coscienza di sé o altrimenti non è nulla.

 

Se uno fa l’analisi dei motivi per cui tutti questi attori economici e sociali si sono impegnati a dare mezzi senza un impegno politico diretto, scorge che esistono motivi concreti per attribuirsi un protagonismo politico più che legittimo. Se questi contenuti di analisi e di progettualità fosse possibile portarli ad un livello di conoscenza, attraverso una serie di dibattiti televisivi in grado di coinvolgere i protagonisti diretti, sono sicuro che questo innesterebbe una vera politica antistatalista. Verrebbe a crearsi un fronte che interrompe il perverso ciclo di finanziamento pubblico su tutto, dai partiti agli obiettori di coscienza, a tutti le forme statali e parastatali che creano la voragine del debito pubblico e che sono punitivi proprio dei soggetti economici e sociali legati all’autonomia della produzione. La vera spina dorsale dell’economia del paese, da sempre offesa e senza rappresentanza reale.

 

Lo statuto del 1967 del Partito radicale tutte queste cose le conteneva. Dalle doppie tessere, al modello sindacale. Quando avviammo la battaglia sulla fame nel mondo io sottolineai che oltre che le ragioni morali (di per sé sufficiente a porre la questione come prima priorità); oltre alle ragioni politiche (le migrazioni di massa che abbiamo conosciuto e che conosciamo) vi è una motivazione economica. L’interdipendenza tra i paesi industrializzati detentori di tecnologia e carenti di materie prime e fonti di energetiche, e i paesi in via di sviluppo, avrebbe consentito a molte aziende di portare contributi fondamentali per l’avvio di processi produttivi e fornito opportunità a quanti in economie stanche di paesi industrializzati finivano per essere puniti e marginalizzati. Chi più dei piccoli e medi produttori potevano approfittare, se organizzati, di questa grande opportunità di progettualità e di ricchezza senza saccheggio, contribuendo assieme al proprio benessere a porre la questione centrale dei rapporti nord-sud del mondo?

 

(tratta da Quaderni Radicali 101, maggio 2008)

 

 


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