Prima l’annuncio che quello attuale sarà il suo ultimo incarico politico, poi la promessa-scommessa che "se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica". I detrattori della riforma della Costituzione, nonché nemici del segretario del Pd, sono così avvertiti sull’occasione per provare a prendere due piccioni con una fava, quando gli italiani saranno consultati sulla riforma costituzionale. Almeno se si vogliono prendere per buone le parole pronunciate nella conferenza stampa di fine anno dal fautore dello “stai sereno”. Nell’attesa, va detto che - come prevedibile - nulla di nuovo è emerso nella maratona renziana con i giornalisti.
Che infatti il vino dell’osteria di Palazzo Chigi per l’annata 2015 fosse buono, l’avevamo appreso nei giorni precedenti. L’occasione rituale ha permesso di ribadirlo con maggiore dovizia di particolari: le slide con i gufi, i numeri estrapolati ad hoc per dimostrare la tesi di fondo, i fiumi di parole condite dall’efficace quanto buffa mimica facciale. La formula scelta - per altro già sintetizzata nella e-news del giorno prima, per dare conto dei risultati raggiunti migliori delle presunte attese e delle previsioni nefaste dei profeti di sventure - è stata quella del fact checking, senza possibilità tuttavia di contraddittorio o chiarimento nel merito.
Fatti, circostanze e opinabili numeri su Pil, occupazione, debito e deficit pubblico, spending review… sono stati infatti accompagnati più o meno con la frase “se volete ne parlo nel dettaglio, ma non mi sembra forse il caso...”. Un modo anche per evitare di rovinare il quadro che si andava presentando, soprattutto sui temi maggiormente oggetto di critiche, a proposito dei quali è stata chiarita una volta di più la strategia del governo, che punta decisamente sul "fattore C": non solo quello più volgarmente inteso (che pure conta), ma quello che riguarda la propensione al consumo degli italiani, sulla quale l’esecutivo affida totalmente le sorti dell’economia. “Se non ripartono i consumi interni- ha detto infatti Renzi - l’Italia non va; e la legge di stabilità è un tentativo di dare fiducia” e non una legge di mancette come è stata da più parti bollata. Da qui si spiega anche l’ossessione del Premier per l’ottimismo e l’astio su chi diffonde, anche solo per caso opinando, il germe iettatorio.
Quanto alle riforme, delle quali il 2015 è stato foriero, la linea tenuta da Matteo Renzi nel corso della conferenza stampa ha confermato la strategia comunicativa che mira a far passare, visto l’immobilismo atavico, il messaggio che una legge di riforma purchessia è di per sé sinonimo di cosa buona, giusta e dall’immediato effetto salvifico. E questo a prescindere dal merito o anche dall’iter non ancor completato, fra approvazione e decreti attuativi.
In tal senso, non meraviglia che l’Italicum sia stato da Renzi definita “l’operazione parlamentare più difficile di quest’anno”: “un capolavoro”! Il che è tutto dire.
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