Complice l'accelerata impressa da Giorgio Napolitano, con l'ormai noto riferimento alle proprie imminenti dimissioni, il balletto sulle nomine quirinalizie ha ripreso la sua marcia, proprio sotto Natale. Matteo Renzi negli ultimi giorni ha mostrato forse per la prima volta dalla sua "scalata" presidenziale un andamento incerto, tanto da arrivare − lui, fautore del clima collettivo di salvezza nazionale, nonché delle nazarene larghe intese − persino a dichiarare che eleggere il presidente della Repubblica senza maggioranza qualificata, ma bensì con una mera maggioranza assoluta (dopo le prime tre votazioni), non rappresenterebbe "un fallimento". Il premier, tuttavia, è poi tornato sui suoi passi, precisando di ritenere necessaria "una maggioranza ampia".
Questo movimento oscillante pare semplicemente riflettere le quotidiane dinamiche di trattativa con le altre forze politiche sul nome da condurre al Quirinale. Se, in altre parole, Renzi smentisce da un giorno all'altro le sue stesse parole, affermando il desiderio di voler raggiungere un'ampia maggioranza, questo non è dovuto alla volontà genuina di trovare un Capo dello Stato in grado di svolgere il più ampiamente possibile la propria funzione di garanzia − rappresentando il più largamente possibile le forze politiche presenti in Parlamento − quanto semplicemente all'avvenuto raggiungimento di un accordo con altri attori politici.
Non è un caso, appunto, se Berlusconi abbia aperto al premier dichiarando di non voler porre veti a candidati per il Quirinale proposti dal Pd. Insomma, un consenso sul nome del prossimo presidente della Repubblica potrebbe essere stato trovato tra i due leader del patto del Nazareno. Veto o meno, tuttavia, permangono forti dubbi sulla capacità dell'ex presidente del Consiglio di mantenere unita la propria compagine parlamentare al momento effettivo dello scrutinio (segreto).
Il M5S, dal canto suo, appare in difficoltà, come sempre di fronte alla necessità di attuare un confronto e raggiungere un compromesso (vale a dire ogni qualvolta occorra prendere una decisione politica concreta, più che mai se ci si ritrova all'opposizione). Grillo non sa che pesci pigliare, tant'è che si è detto addirittura pronto a sostenere il candidato di altri partiti, se questa persona dovesse apparire al di fuori delle "logiche della politica" (da definire, opportunisticamente, dallo stesso Grillo).
Se il pupillo Di Battista, convinto che il Papa segua le sue orme, avesse almeno cinquant'anni probabilmente dall'alto delle sue manie di grandezza si auto-candiderebbe, ma la realtà, per fortuna, ci risparmia questo scenario. Pronti in rampa di lancio, allora, potrebbero esserci i soliti Dario Fo, Gino Strada, Stefano Ro-do-tà. Nomi buoni per mandare all'aria al momento giusto ogni ipotesi di trattativa e mettere in scena l'agognato spettacolo della crisi istituzionale.
Nel frattempo Emanuele Macaluso, in virtù delle tradizionali sorprese riservate dalle elezioni presidenziali e dell'attuale caos interno in molti dei gruppi parlamentari, teme che si possa assistere all' "elezione per il presidente della Repubblica più caotica di sempre". E se lo dice lui, da 70 anni sulla scena politica italiana, nonché amico di una vita e "consigliere" di Napolitano, c'è da fidarsi e, di conseguenza, anche da prepararsi.
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