Il M5S ha detto sì al direttorio proposto da Beppe Grillo per guidare una nave che piano piano sta affondando. Una rivoluzione democratica, esultano i soliti. E pazienza se il giorno prima si è dovuto assistere all'ennesima epurazione autoritaria. Pazienza se la stessa nuova struttura organizzativa sia stata calata dall'alto, senza passare per l'assemblea del movimento, calpestando dunque ancora una volta le regole democratiche prefissate. E pazienza, poi, se in realtà alla fine, direttorio o meno, nulla cambierà nelle dinamiche interne di un partito per natura allergico alla democrazia.
La settimana di fuoco del Movimento era cominciata con l'ennesima richiesta di espulsione, attraverso un post sul blog di Grillo senza firma, dei deputati Massimo Artini e Paola Pinna, rei di non aver restituito parte del proprio stipendio così come stabilito dal codice di comportamento. "E’ tutto rendicontato sui nostri siti e pagine personali" hanno ribattuto i due, sventolando tutte le ricevute del caso, ma ormai era troppo tardi: la caccia alle streghe era ripresa, e per i due accusati non c'era alcun modo di avanzare le proprie difese, alla faccia - ancora una volta - della fantomatica deliberazione consapevole dei cittadini.
Ma il tipo di utenti che affolla il blog e il portale ideati da Grillo e Casaleggio è ormai ben noto, e così nonostante le evidenti deficienze democratiche (in primis il fatto di non esser passati, per la prima volta, dal voto dell’assemblea congiunta dei parlamentari o dalla sfiducia dei Meetup), la mozione di espulsione è passata con larga maggioranza, quasi il 70%.
Non importa se, in verità, solo un parlamentare grillino su 143 ha presentato la rendicontazione delle spese fino a ottobre, e per quasi tutti gli altri le rendicontazioni sul sito del movimento risalgono allo scorso giugno. La ragione reale della espulsione era un'altra, e lo sa bene in particolar modo Artini, che nei giorni successivi al mezzo flop del M5S nelle elezioni regionali si era permesso di criticare la gestione del movimento, ponendo una semplice quanto scomoda domanda: "Dobbiamo chiederci perché gli elettori hanno preferito stare a casa piuttosto che votarci".
A rendere ancor più imbarazzante il quadro di stretta verticistica e di isteria collettiva, ci hanno pensato poi anche i dubbi riguardanti la validità del voto stesso avvenuto sul portale del M5S. Un gruppo di ex attivisti (anch'essi espulsi) ha fatto notare, infatti, che l'orario sul post del blog in cui si annunciava l'esito della votazione anticipava di circa due ore l'effettiva conclusione della consultazione: "Più potente di Piepoli, più preciso di Nostradamus, lo staff sa cosa voterete e quando" hanno ironizzato gli attivisti. E il disagio aumenta.
Poche ore dopo, mentre esplodeva la polemica, Grillo ha annunciato a sorpresa la proposta di creare una sorta di direttorio, composto da cinque personalità di spicco del movimento che possano aiutarlo ad "esaminare la situazione politica" e con lui prendere eventuali "decisioni urgenti". Dopo il via libera degli internauti, che hanno approvato la decisione con una maggioranza plebiscitaria di quasi il 92%, i più hanno immediatamente salutato la novità come una svolta democratica.
Peccato, però, che le modalità stesse con cui questa presunta apertura democratica sia stata realizzata mettano in dubbio ciò che di fatto rappresenta una novità solo in apparenza. Si è trattata infatti, in linea con la logica partitocratica dell'odiata casta politica, dell'imposizione dall'alto di una vera e propria lista bloccata, sulla quale gli elettori pentastellati non hanno potuto in alcun modo dire la loro. Prendere o lasciare, in altre parole.
Il fatto che a votare "sì" sia stata la stragrande maggioranza degli attivisti non aggiunge alcunché al precario gradiente democratico che caratterizza il movimento, dal momento che a ratificare la creazione della nuova struttura sono stati alla fine gli stessi che poche ore prima avevano deciso di contribuire al clima di caccia alle streghe, confermando l'espulsione di due rappresentati sulla base di mere illazioni unilaterali.
L'ambiguità più evidente, tuttavia, è costituita dalla mancanza assoluta di indicazioni circa le funzioni e il lavoro che questo fantomatico direttorio sarà effettivamente chiamato a svolgere. Si è votato, in poche parole, per la nascita di un organismo senza sapere in realtà cosa questo dovrà fare, e ciò la dice lunga sul tipo di discontinuità che questa novità potrà determinare. Tutto resterà nelle mani di Grillo, che potrà stabilire a proprio piacimento il ruolo dei cinque presunti co-garanti, senza che nessuno possa appellarsi al rispetto di inesistenti regole o linee guida.
Un dato rimane così più emblematico che mai: dei 163 parlamentari portati a Roma dal M5S alle politiche del 2013, ad oggi ne sono rimasti 143, e in tanti si dicono disposti a fare altrettanto. Alla fine, insomma, ne resterà veramente solo uno, o forse due (incluso Casaleggio).
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