Il testo dell'attesa riforma della giustizia sarà approvato dal Consiglio dei ministri il prossimo 29 agosto. Di fronte alle prime anticipazioni, tuttavia, cominciano a montare polemiche, invettive, resistenze corporative e, ancor prima di cominciare, i soliti rinvii.
La strategia dell'esecutivo, in linea con quanto suggerito dal presidente Napolitano, sarebbe quella di concentrarsi su pochi ma trasversali punti di riforma, rimandando a data da destinarsi − presumibilmente metà settembre − la discussione sulle cosiddette questioni divisive, quelle cioè che rischiano di produrre strappi irrimediabili nella coalizione di maggioranza. Con il pericolo, però, di delineare alla fine interventi solo marginali per riordinare l'elefantiaca macchina della giustizia.
E' rinviata la discussione, infatti, sulle tematiche calde, quali intercettazioni, prescrizione, separazione delle carriere, falso in bilancio, riforma del Csm, mentre sono ferme sul piano delle mere linee guida le trattative riguardo alla riforma del processo civile e alla responsabilità dei magistrati. Proposte che, nell'insieme, andranno a costituire un pacchetto composto da un decreto e ben 12 disegni di legge, a conferma di quanto i punti dello "sblocca-giustizia", nonostante la loro vaghezza, saranno suscettibili di essere immobilizzati e ribaltati poi in Parlamento.
Proprio attraverso un disegno di legge verrà discussa la questione della responsabilità civile dei magistrati, per la quale alcuni giorni fa il Guardasigilli Andrea Orlando ha reso noto le linee guida governative: ampliamento dell’area di responsabilità (sino alle ipotesi di “violazione manifesta delle norme applicate” e di “manifesto errore nella rilevazione dei fatti e delle prove", come richiesto dall'Ue), superamento del filtro di ammissibilità, certezza della rivalsa nei confronti del magistrato ed incremento della soglia di rivalsa (con il limite che passa da un terzo a metà dello stipendio annuale), maggior coordinamento con la responsabilità disciplinare.
Proposte sulle quali è immediatamente giunta l'indignazione dei magistrati, peraltro ampiamente rilanciata da alcuni organi di informazione con interviste ad hoc, come quella di Repubblica al presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli, che prima grida alla "stretta evidente" del governo contro i magistrati, e poi dichiara, "trattandosi di una materia delicata", di voler aspettare il testo definitivo "per esprimere un giudizio" (giudizio in realtà già espresso in precedenza, in maniera decisamente ideologica).
Stessa accusa di quella lanciata appena un mese fa (quando le linee guida erano ancor più vaghe) da Nino Di Matteo, il pm del noto processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia: "Non si può assistere in silenzio a questi tentativi finalizzati a ridurre l’indipendenza dei magistrati a vuota enunciazione formale con lo scopo di annullare l’autonomia del singolo pm". E su Renzi: "Fa riforme con un condannato".
Un slogan, anche questo, ripreso da più parti, in primis il Movimento 5 Stelle, che, di fronte ad una reale possibilità di cambiamento (per quanto complessa ed articolabile in molteplici forme), ha deciso di rifugiarsi ancora una volta sotto l'accogliente tetto dell'antiberlusconismo: "No a riforme con il pregiudicato". Un espediente non nuovo per fuggire dalla politica concreta, vero incubo per i pentastellati.
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