Diciamolo pure: un po’ di delusione inizia ad affiorare. Annunciato in pompa magna le settimane scorse con il suo nome cool dal profilo tanto international, l’atteso Job Act dello staff di Matteo Renzi resta per ora una classica lettera d’intenti tutta da definire e da capire, derubricata come bozza su cui si è chiamati a partecipare per suggerimenti e integrazione, prima del sospirato parto.
Chi si aspettava con fiducia qualcosa di più concreto deve quindi pazientare. Intanto, è stato dato il via alla discussione (sterile) sui punti proposti sommariamente dallo stesso Renzi a mezzo web. Fra questi emerge “l’Assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro”.
Altri obiettivi in agenda sono la semplificazione delle norme, la riduzione delle varie forme contrattuali, l’ obbligo di rendicontazione online, l’istituzione dell Agenzia Unica Federale, la Legge sulla rappresentatività sindacale. Dei dettagli non è dato però sapere. Del resto, non sono cose che si gonfiano come i palloncini, direbbe Totò.
La “dotta” citazione vale prima di tutto per il fiore all’occhiello del progetto, l’Assegno Universale, che avrebbe bisogno di casse dello stato molto meno vuote, visto che - come ha dichiarato prontamente il ministro del lavoro Giovannini - alcune proposte, oltre a essere non nuove, “prevedono investimenti consistenti" e pertanto necessitano di risorse allo stato non disponibili, a meno che - aggiungiamo - non si vogliano violare i santuari intoccabili della spesa pubblica.
Qualunque siano, dunque, gli esiti di questa consultazione allargata voluta da Renzi, dopo aver fatto credere a tutti di avere le idee ben chiare in tema di lavoro, l’impressione è che all’atto della presentazione del famigeato piano, resterà irrisolta la domanda delle domande: chi paga?
In merito, la manifestazione di buona volontà di Matteo Renzi sottoforma di e.News, frutto anche della legittima e comprensibile ansia da prestazione, non induce all’ottimismo.
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