Discussioni, litigi, grida, persino pianti. Questi, secondo le cronache, sarebbero stati i drammatici risvolti dell'assemblea interna organizzata dal Movimento 5 Stelle per chiarire ciò che è stata già definita la "parentopoli" grillina.
Le senatrici a 5 stelle Barbara Lezzi e Vilma Moronese sono finite nell’occhio del ciclone per aver assunto come assistenti, rispettivamente, la figlia del compagno e il proprio partner. Un sacrilegio per i grillini più ortodossi, da sempre in prima linea contro ogni genere di parentopoli e di scorciatoia familistica. La riunione del gruppo (per fortuna senza diretta streaming, in linea con la “democrazia ad intermittenza” del duo Grillo-Casaleggio) è stata infuocata e si è conclusa con la senatrice Moronese in lacrime e con la rescissione da parte di Lezzi del contratto di collaborazione con la figlia del compagno.
La polemica, però, continua ad avere strascichi, e ora lo scontro si consuma tra coloro che intendono affrontare ulteriormente la vicenda in un’assemblea congiunta di deputati e senatori, e coloro che invece vogliono evitare di fare altre figuracce e di alimentare un clima da caccia alle streghe. I grillini, insomma, sono vittime del loro stesso pseudo-moralismo: un moralismo sbandierato come tale, ma che ben poco ha a che vedere con reali questioni etiche sollevate.
Perché se da una parte i grillini vorrebbero opporsi con tutta forza alla cultura italiana dei favoritismi parentali (quella vera), dall’altra parte hanno loro stessi un urgente bisogno di essere supportati nel proprio lavoro da persone di fiducia, un problema ancor più attuale all’interno di un movimento allestito in fretta e furia, come dimostrano le “democraticissime” nomine dei candidati poi finiti in Parlamento con 40 o 50 voti (presumibilmente di amici o parenti, a conferma del circolo vizioso moralistico).
La questione è stata sottolineata dalla stessa Barbara Lezzi nel tentativo di difendersi dagli attacchi: “Io ho assunto una ragazza che ho conosciuto al Meetup insieme al padre, con il quale oggi ho una relazione. Non ho assunto il padre, ma la figlia, una giovane laureata in economia. L’ho presa anche per estrema fiducia, cosa che tra noi è stato un elemento fondante per scegliere il collaboratore personale”.
E proprio la senatrice, proseguendo la difesa, ha finito per cogliere il punto del problema: “Molti di noi hanno scelto degli amici o degli attivisti, quindi con legami pregressi”. Dalla parentopoli all’”amicopoli”, dunque, se si volesse seguire la logica grillina, che però ora va a scontrarsi con la concretezza della quotidianità, rappresentata dalla vitale necessità di circondarsi di persone fidate.
L’intero moralismo sbandierato da Grillo, alla fine, si manifesta per quel che è, vale a dire un miscuglio populistico di presunti principi etici, che in realtà – come molti dei proclami del guru genovese – non vanno mai a riguardare la vera natura del problema che si intende affrontare. Nel caso in questione, ad esempio, la cultura nepotista, questa sì ben presente nella società italiana e certamente bisognosa di attenzioni di tutt’altro ordine.
Il paradosso è evidente se si guarda anche alle ultime notizie emerse dall’inchiesta sulle cosiddette “spese pazze” del consiglio regionale dell’Emilia Romagna (nella quale risultano indagati tutti i nove capigruppo dell’attuale legislatura). Dalla lista delle spese per pranzi e cene sostenute dai gruppi consiliari in 19 mesi, è risultato che i due rappresentanti del M5S (Andrea Defranceschi e Giovanni Favia, poi espulso da Grillo) hanno registrato una spesa procapite più alta dei tanto osteggiati consiglieri del Pd.
E così, mentre fino a qualche mese fa ci si indignava in continuazione per gli scandalosi costi della politica, ora Defranceschi e i grillini esigono di non essere gettati nel calderone delle “illazioni”, riconoscendo di fatto l’inevitabilità di queste spese per il mantenimento delle proprie attività istituzionali. Chi di moralismo ferisce…
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