Nel 1990, tempi da prima repubblica, Fabrizio De Andrè scriveva : “Prima pagina venti notizie / ventuno ingiustizie e lo Stato che fa / si costerna, s'indigna, s'impegna /poi getta la spugna con gran dignità”.
Oggi, all’indomani di un’immane tragedia come quella di Lampedusa, mentre le istituzioni contribuiscono, con il sostegno europeo a rinverdire, con una dose di dignità sicuramente più controllata, i versi del poeta genovese, La Repubblica (il quotidiano), sulla cui dignità non discutiamo, magnifica la sua iniziativa di raccolta firme per l’abolizione della legge Bossi Fini; 22.000 firme fra cui una lunga serie di Soliti Noti da Dario Fò a Camilleri passando per la Camusso e il vescovo di Mazara.
Il sempreverde Stefano Rodotà firma l’articolo, datato 8 ottobre, di promozione dell’iniziativa da cui vengono fuori frasi di definizione di quanto sia turpe ed offensiva questa norma, tanto che “In questi anni sono stati soltanto i pericolosi giudici, la detestata Corte costituzionale, a cercar di porre parzialmente riparo a questa vergognosa situazione, a reagire a questa perversa "cultura".” L’appello si chiude con una interessante chiosa “Miserie di una politica che, in tal modo, rivelerebbe una volta di più la sua incapacità di cogliere i grandi temi del nostro tempo. Siano i cittadini attivi, spesso protagonisti vincenti di un'"altra politica", ad indicare imperiosamente quali siano le vie che, in nome dell'umanità e dei diritti, devono essere seguite.”
Basta scorrere la pagina del sito web del quotidiano di largo Fochetti e notare i primi commenti per evidenziare le contraddizioni di fondo che cortocircuitano il paese e quella sua inquietante “cultura di (cosiddetta ndr) sinistra” di cui De Benedetti, …La Repubblica, l’Espresso e tutti i vari simboli della “libera informazione italiana” presumono di rapparesentare il simbolo più solido ed articolato.
Nei primi commenti al puntuale e accorato appello del “saggio” Rodotà si incominciano ad intravedere due termini accostati che rischiano di far cadere tutto l’impianto farsescamente montato del gioco delle parti…referendum e radicali.
Ma come, non era fino a pochi giorni fa in corso una campagna di raccolta firme per un referendum abrogativo della legge Bossi-Fini, promosso dai seguaci di Pannella? Come mai le squadre del buoncostume culturale non hanno detto pressoché nulla sui giornali e le tv del gruppo? Forse perché si trattava di uno strumento istituzionale che avrebbe costretto il quadro politico a dover prendere posizione, mentre una generica raccolta firme non procurava fastidio a nessuno e con la quale o senza la quale tutto rimaneva tale e quale?
Ora questo episodio può essere usato come misura di quell’inquinamento dei pozzi liberali di cui parliamo da tempo su queste pagine. Un paese malato di una degenerazione della civiltà del suo popolo, magistralmente impiantata ed orchestrata da una classe dirigente chiusa in una autoreferenzialità premoderna che inibisce e stronca qualsiasi possibilità di cambiamento. Fingendo ovviamente i essere avanguardia della modernità e della civiltà.
Una cultura politica che si costerna e si indigna davanti ad una strage ed usa quella strage stessa per rivendicare una posizione che, oramai al sicuro dalla possibilità (il referendum) del doversi impegnare nel cambiamento reale, permette un grande indignitoso gioco di volti e di parole che potrà concludersi con la solita, gattopardesca farsa: la soluzione del problema … ovvero nessuna soluzione.
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